Gli ultimi due anni hanno visto il ritorno sulle scene di un protagonista che sembrava sparito dal dibattito economico: l’inflazione. L’uscita dal periodo pandemico prima e lo scoppio del conflitto in Ucraina poi sono stati i due fattori detonanti, amplificati dal tentativo (riuscito) dei padroni di approfittare dell’aumento del costo di varie materie prime per aumentare ulteriormente i prezzi e i propri profitti. In questo contesto, la risposta delle Banche Centrali delle principali economie avanzate e della Banca Centrale Europea in particolare è stata la solita: aumentare i tassi di interesse a tutto spiano allo scopo di creare disoccupazione e indurre i lavoratori ad accettare riduzioni dei propri salari e farsi carico di tutto il peso del contenimento dell’inflazione.
Dopo mesi e mesi e mesi di questa politica monetaria scriteriata, la BCE – così come le altre principali Banche Centrali – ha timidamente invertito la tendenza e ha iniziato ad abbassare i principali tassi di interesse sotto il suo controllo, con l’obiettivo di indurre una riduzione dei tassi di interesse che la persona comune si trova a fronteggiare quando richiede un prestito, e che sono stabiliti dalle banche commerciali.
Questa misura arriva decisamente troppo tardi ed è molto meno che insufficiente nel rimediare ai danni fatti, ma non è di questo che ci occuperemo in questo articolo. C’è, infatti, un’implicazione dei semestri di tassi alle stelle che è passata relativamente sottotraccia e che può essere sintetizzata molto semplicemente: le banche commerciali ci hanno fatto un sacco di soldi!
Per spiegare come, facciamo un passo indietro e cerchiamo di capire come al giorno d’oggi operino le banche. Per funzionare correttamente (eseguire gli ordini di bonifico, ad esempio), le banche hanno bisogno quotidianamente di liquidità, in gergo le riserve. Tale liquidità può essere generalmente reperita in tre modi: o se ne dispone, o la si prende a prestito da altre banche che hanno liquidità in eccesso, oppure la si prende a prestito dalla Banca Centrale Europea (BCE). Nelle fasi di stagnazione, il sistema bancario tenderà ad accumulare liquidità, cioè riserve. Per evitare che le riserve in eccesso non rendano nulla, le banche possono depositarle presso la BCE, ottenendo, di norma, una piccola remunerazione. Di norma, sottolineiamo, perché nel periodo post-2014 la BCE -per evitare che le riserve rimanessero immobilizzate presso i propri depositi e per indurre le banche a prestare all’economia reale (imprese e famiglie) – ha ridotto talmente tanto questa remunerazione fino a portarla in territorio negativo: praticamente, le banche che decidevano di depositare le proprie riserve in eccesso presso la BCE erano costrette a pagare, invece che riscuotere.
È bene ricordare che in quegli anni le banche erano piene zeppe di liquidità per effetto delle politiche espansive promosse dalla stessa BCE, con lo scopo dichiarato di favorire i prestiti a famiglie e imprese. Tuttavia, la maggiore disponibilità di credito non si è tradotta in maggiori richieste di prestiti: in quegli anni, nonostante i bassi tassi di interesse, la domanda di credito da parte di famiglie e imprese era molto bassa, in virtù di prospettive economiche che non inducevano all’ottimismo nei vari Paesi dell’Eurozona.
L’esistenza di tassi negativi nel periodo 2014-2022 ovviamente non è piaciuta molto alle banche, le quali hanno cercato di rifarsi aumentando i costi per la clientela, applicando in alcuni casi tassi negativi sui depositi dei correntisti (in Germania, ma non in Italia) e aumentando i costi di gestione, movimentazione e mantenimento dei conti correnti. Per provare a invertire questa tendenza, la BCE ha introdotto nel 2019 un sistema volto ad evitare che gli effetti dei tassi di interesse fissati dalla stessa BCE colpissero troppo la profittabilità bancaria. Il sistema, chiamato a doppia remunerazione dei depositi (two-tier system), permetteva alle banche di pagare i tassi negativi solamente su una parte dei depositi delle banche presso la banca centrale. Contestualmente, la BCE ha avviato le operazioni mirate di rifinanziamento a più lungo termine (TLTRO-III), cioè prestiti alle banche a tassi più negativi di quelli dei depositi presso la banca centrale, con il risultato che, usando dei numeri esemplificativi, le banche prendevano denaro in prestito ricevendo un 3% di remunerazione, e lo depositavano presso la banca centrale pagando solo l’1%, con un guadagno per le banche di 2% su ogni prestito ricevuto. In poche parole, le banche hanno ricevuto miliardi di sussidi (alcune stime parlano di 4-8 miliardi a livello europeo e più di 2,5 miliardi alle banche italiane).
Con l’avvento della pandemia, invece, lo scenario è mutato: le deteriorate condizioni economiche hanno favorito l’indebitamento di imprese e famiglie, e pertanto il sistema bancario ha ricominciato a prestare all’economia reale, fornendo altresì la liquidità necessaria alla sopravvivenza del sistema economico. Questi prestiti erano spesso garantiti dallo Stato. Ne è risultato che le banche potevano prestare senza rischi: se le cose fossero andate bene (ossia, se i prenditori avessero rimborsato i prestiti), avrebbero fatto profitti; se il prenditore fosse risultato inadempiente, avrebbe pagato invece lo Stato. Insomma, nel periodo pre-pandemico ci ha pensato la BCE a tutelare le banche, mentre nel periodo pandemico ci ha pensato lo Stato.
La ripresa post-Covid si è portata appresso, come dicevamo e come abbiamo modo di vedere tutti i giorni facendo la spesa, il rialzo dei prezzi. Per rispondere all’inflazione, la BCE ha deciso di alzare i tassi di interesse praticati alle banche, a partire dal 2022. Le banche, a loro volta, hanno alzato i tassi sui prestiti, mantenendo bassissimi quelli sui depositi, aumentando dunque la differenza tra i due. Una delle principali entrate bancarie deriva proprio dalla differenza tra il tasso a cui prestano denaro e quello pagato ai propri correntisti. Sostanzialmente, le banche sono riuscite ad aumentare i loro profitti pagando meno ai depositanti e ricevendo di più dai mutuatari.
Inoltre, la questione della remunerazione dei depositi delle banche presso la BCE si è evoluta in favore delle banche. Con il rialzo dei tassi è venuto meno il sistema di doppia remunerazione, ma attualmente le riserve in eccesso che le banche depositano presso la BCE sono pagate dalla stessa BCE a un tasso del 4%. È quindi molto conveniente per le banche lasciare il denaro “parcheggiato” presso la Banca Centrale: oggi, lasciando il denaro fermo, le banche guadagnano più di quanto due o tre anni fa ottenessero da un mutuo. È evidente che, per usare il denaro in maniera rischiosa e più profittevole, il tasso richiesto dalle banche (per esempio su un mutuo) sarà ben maggiore del 4%.
Perché le banche hanno potuto aumentare i tassi attivi sui prestiti e lasciare bassi quelli passivi sui depositi? La ragione è che, grazie alle politiche espansive che la BCE ha condotto fino al 2022, sono piene di liquidità e non hanno bisogno di farsi concorrenza l’un l’altra per accaparrarsi i depositi del pubblico. In una situazione di forte concentrazione, l’effetto finale è una concorrenza praticamente nulla, in un contesto in cui i costi di gestione dei depositi e dei conti correnti sono rimasti ai livelli a cui erano stati portati in precedenza, e dunque maggiori rispetto al passato.
Il risultato finale di tutto questo? I profitti bancari nei Paesi europei sono schizzati alle stelle, e l’Italia si è particolarmente contraddistinta in questo campo, tanto che la stampa nostrana ha potuto definire il 2023 come l’anno d’oro delle banche, con profitti di oltre 43 miliardi di euro.
Ecco, quindi, che la politica monetaria, da mero strumento tecnico che serve a garantire il regolare funzionamento di un’economia di mercato, si rivela per quello che è realmente: uno strumento della lotta di classe, dalla natura eminentemente politica e che è in grado di modificare in maniera violenta la distribuzione del reddito. Uno strumento che crea vinti (i lavoratori) e vincitori (il capitale e le banche), mentre il Governo Meloni rimane a guardare benevolo, varando la farlocchissima imposta sugli “extraprofitti” bancari, che ha avuto il notevolissimo risultato di riscuotere 0 euro.
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