No al ghetto
di Marco Trombino
I disordini etnici che stanno interessando la Gran Bretagna a partire dal 3 agosto affondano le radici in un grave difetto culturale dell’ideologia occidentalista. In generale, i paesi dell’Europa dell’ovest (ci limitiamo quest’area geografica per brevità) hanno affrontato l’accoglienza degli enormi flussi migratori tra la seconda metà del XX secolo e i giorni nostri reagendo sulla base di due modelli fondamentali: la “società multiculturale” e la “società dell’assimilazione” (1). Il primo è tipico della Gran Bretagna e altri importanti paesi nordeuropei, il secondo della Francia.
Il primo modello ha il grave difetto di essere basato su un’etichetta inesistente. “Multiculturale” di per sé non vuol dire niente: si intendono diverse lingue, diverse religioni, diverse gastronomie, diverse architetture urbanistiche? La celebre “cucina cinese” in realtà è basata su 4 tradizioni gastronomiche completamente diverse tra loro; possiamo quindi dire che la Cina sia “multiculturale”? L’errore scaturisce da una definizione della parola “cultura” che viene data troppo per scontata. In realtà, quasi qualsiasi nazionalità del mondo è “multiculturale” ad eccezione di nazioni ridotte in numero di cittadini e ristrette per territorio.
Il punto è che, quando in uno Stato, fra abitanti che condividono la stessa cittadinanza, si percepiscono diverse identità nazionali siamo in presenza di una società plurinazionale, che è cosa ben diversa dal multiculturale. Ed è qui che casca l’asino. E, sia ben chiaro, non è sinonimo di “multietnico”, perché una comunità può essere formata da persone con tanti colori della pelle ma un unica identità nazionale, così come è vero l’esatto contrario – un gruppo etnico ma nazionalità distinte. Facciamo esempi per capire. Cuba è una società assolutamente multietnica (bianchi, mulatti, creolo-meticci, neri) ma quasi tutti gli abitanti percepiscono l’unica identità nazionale “cubana” di cui vanno di solito molto orgogliosi. La Bosnia-Erzegovina è una società monoetnica (tutti slavi) ma in cui si distinguono le tre nazionalità serba, bosgnacca e croata, ed è ben noto che questa divisione sia stata la base ideale delle guerre jugoslave 1992-1995.
Il caso della società britannica è quindi quello di un paese plurinazionale, in cui – accanto alle tradizionali identità secolari: inglese, scozzese, irlandese, gallese – si sono venute a sovrapporre popolazioni, tramite i recenti flussi migratori citati, che percepiscono l’appartenenza ad altre nazionalità ancora, spesso legate a paesi del Commonwealth. Se è vero che il passaggio dalla società plurinazionale alla guerra civile non è automatico, nella società mononazionali questi conflitti sono impossibili, a meno che intervengano fattori politico-ideologici come quelli del XX secolo i quali comunque non dividono la società per faglie etnico-nazionaliste (il caso della rivoluzione cubana fa accademia). La società plurinazionale invece ha in sé i germi di potenziali conflitti che possono diventare drammatici in situazioni di crisi economiche o attriti politici. Quanto è avvenuto in Gran Bretagna in questi ultimi giorni nasce proprio da questa configurazione: se le popolazioni immigrate fossero assimilate nella nazionalità inglese, a nessuno verrebbe in mente di aggredire concittadini sulla base dell’origine. Siccome invece vivono in compartimenti stagni con rapporti quasi esclusivamente economico-commerciali con le altre, nasce il concetto del “diverso che vive vicino a me”, che ha la brutta conseguenza psicologica di far sentire l’appartenente all’altra comunità come un potenziale avversario.
L’altro modello menzionato all’inizio è quello assimilazionista. In questo caso i migranti, perlomeno quelli di seconda e terza generazione, vengono portati all’interno dell’identità nazionale prevalente e col tempo finiscono per non essere più distinguibili dal resto della popolazione. Un esempio significativo è dato da molti paesi latinoamericani, dove i migranti di “seconda ondata” si sono perfettamente assimilati alla popolazione ospitante, al punto che i conflitti sociali – se ci sono – risultano del tutto trasversali rispetto all’origine etnica; per esemplificare, i “Tupamaros” del secolo scorso avevano indifferentemente cognomi spagnoli, italiani e tedeschi, proprio come i poliziotti che li arrestavano. Si potrà contestare che tale modello in Europa abbia fallito e il caso della Francia, dove nelle celebri “banlieue” nasce e cresce una generazione di giovani che si sentono diversi dal resto della comunità nazionale, nonostante una forte spinta assimilativa da parte delle istituzioni e delle scuole; ma in questo caso l’errore è stata la concentrazione demografica dei migranti in sobborghi squallidi e degradati, dove la conseguenza psicologica è quella di sentirsi separati dal resto del mondo, il che ha indotto alcuni giovani alle scelte sbagliate di gettarsi nelle braccia della criminalità spicciola o del terrorismo di matrice religiosa.
Le scene provenienti dalla Gran Bretagna in cui abbiamo visto, negli ultimi giorni, posti di blocco organizzati da estremisti che selezionavano i passanti sulla base del colore della pelle è di quanto più vergognoso ci abbia mostrato il XXI secolo. Per evitare che immagini del genere non debbano mai verificarsi in Italia, in quanto palese violazione dell’art. 3 della nostra Costituzione, occorre mettere in atto quelle politiche assimilative che hanno a lungo andare impedito le violenze interetniche, come nel caso latinoamericano descritto, evitando tassativamente di creare quei quartieri-ghetto che rappresentano vere e proprie fabbriche dell’odio. Affinché l’assimilazione si realizzi è obbligatorio impostare politiche di tutela salariale e sociale, impossibili all’interno di un sistema economico neoliberista. E’ da quest’ultimo che dobbiamo uscire al più presto.
(1) Piero Angela, “Perché dobbiamo fare più figli”, Mondadori ed., 2007, cap. VIII “La nuova ondata”
Spesso la differenza religiosa è molto più importante di quella nazionale come è il caso della Bosnia.
Inoltre nel caso francese c’è molto lo zampino della pianificazione urbanistica che in Francia ha molto puntato sull’intervento pubblico: la separazione funzionale, gigantismo edilizio, interventi di emergenza dopo il ritiro dall’Algeria. Ottenendo quartieri schifosissimi; poi copiati anche in Italia, vedi Cordiale o Scampia.