La lingua di un popolo è la sua anima.
Rivela ciò che ha perso, ciò che ha ottenuto, ciò che vorrebbe essere e ciò che invece è.
Le parole di cui si è sbarazzata e quelle che invece ha accolto, diffuso e rimarcato, sono i suoni che ancora riecheggiano dalla storia delle sue guerre, dei suoi idoli antichi e dei suoi dei moderni, delle sue speranze e delle sue paure, delle sue glorie e delle sue colpe.
Le parole che sentiamo oggi nei Tg, nei giornali, parlano spesso di paura: paura della crisi, paura di non farcela, paura di non essere all’altezza. e parlano spesso anche di colpe: di essere troppo corrotti, troppo incompetenti, troppo bamboccioni, troppo italiani, magari, e poco europei.
Sono parole che riecheggiano dalla verbosità di una guerra moderna che si sta combattendo, appunto, con le parole. Infatti sono parole che mirano a svilire, a intimare, a minacciare, a distruggere, ogni residua ribellione, ogni speranza di parole nuove.
Questa è oggi la nostra lingua. Questa è ormai la nostra anima che ha accolto, diffuso e rimarcato colpe e paure che non conosceva e da cui è stata letteralmente invasa con le armi dell’assolutismo mediatico. La fonte dell’invasione, v’è forse bisogno di cercarla? sappiamo ormai tutti dov’è.
Quel che magari rimane da cercare è com’è l’anima del popolo tedesco e quale, dunque, l’origine della sua lingua.
E se si cerca si trova, anche se, come talvolta accade, i libri migliori non sono più in commercio, come la “Grammatica dell’antico nordico” di Marco Scovazzi.
Resa dunque debita gratitudine al luminoso istituto delle biblioteche, scopriamo che:
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Di solito, per un processo di astrazione abbastanza diffuso, si parla semplicemente di una lingua germanica, cioè quell’insieme di elementi linguistici che, per il fatto di essere comuni ai dialetti parlati dai germani in età storica (gotico, antico nordico, antico alto tedesco, antico sassone e anglo-sassone) hanno fatto supporre l’esistenza di una più antica fase linguistica comune, da collocarsi cronologicamente nella preistoria.
In realtà non si deve vedere nel protogermanico un sistema linguistico fisso e preciso da cui, per differenziazioni successive, si sarebbero poi originati i dialetti germanici documentati, parlati e scritti. Vanno invece inclusi nel sistema una varietà infinita di forme nate altrove.
L’evoluzione del complesso linguistico nordico si sviluppa nell’arco di tre periodi:
1) periodo runico (all’incirca dal secolo V agli inizi del secolo IX)
2) periodo vichingo (dagli inizi del secolo IX alla fine del secolo XI)
3) periodo nordico classico o norreno (dalla fine del secolo XI alla metà del secolo XIV)
– Nel periodo runico ci si serviva delle cosiddette rune, particolari caratteri che si diffusero nell’area germanica antica e che erano stati modellati sugli analoghi segni degli alfabeti etrusco-italici.
Con ogni probabilità quei segni alfabetici si diffusero dall’area mediterranea a quella scandinava seguendo le vie dei commerci che, agli albori dell’età volgare, collegavano, più strettamente di quanto si possa pensare, anche terre così lontane.
Forse già nella cosiddetta “patria comune” dei germani, cioè in quella zona che doveva abbracciare la penisola scandinava meridionale, la penisola dello Jütland e le coste baltiche della Germania, si costituì l’alfabeto runico primitivo di 24 lettere, di cui si avvalsero poi, in maniera particolare, i popoli del nord.
Le iscrizioni runiche hanno un contenuto elementare e mirano a fissare concezioni ed eventi che si riferiscono alla sfera politica, religiosa e familiare.
Non bisogna però credere che la scrittura runica sia caratteristica della sola area scandinava. Essa si diffuse, per effetto della diaspora sempre più ampia delle tribù germaniche, anche nell’area occupata dagli anglo-sassoni e in quella che fu scelta come propria sede dai tedeschi antichi.
– Nell’età vichinga le parlate delle terre nordiche, pur continuando ad essere fissate quasi esclusivamente con i segni runici, andarono incontro ad una rilevante evoluzione.
Il movimento vichingo, cui si accostò parallelamente il flusso migratorio dalla Norvegia all’Islanda (a partire dall’870), ebbe per effetto l’inserimento dell’area culturale e politica scandinava nell’ambito della storia e delle civiltà europee.
I vichinghi si spinsero nelle pianure russe e veleggiarono fino alle coste del Labrador; conquistarono l’Irlanda e gran parte della Britannia; costituirono infine nella Normandia, quella piattaforma di penetrazione politica e militare che tanta importanza avrebbe assunto nella storia dell’Europa medievale.
L’improvviso moto di espansione non poteva non avere riflessi sulla lingua che in questi secoli si arricchì in misura cospicua, non solo per l’accoglimento di parole e locuzioni nuove, ma per la diffusione di mezzi morfologici e di strumenti sintattici fino ad allora sconosciuti.
A questo proposito torna utile ricordare che in tale periodo fu assai viva l’attrazione esercitata dalla civiltà latina medievale che per il tramite e l’autorità dell’impero carolingio, s’irradiò verso le terre boreali. E quasi contemporaneo fu il progredire dell’attività delle missioni evangelizzatrici in Scandinavia.
Ma accanto a queste forze e impulsi nuovi, occorre considerare anche la reazione che si produsse in Scandinavia in seguito agli eventi politici. Quando il sovrano Haraldr Hárfagr decise di unificare sotto il suo scettro tutte le terre norvegesi, e di costituire sui modelli carolingi uno stato a organizzazione feudale, molti fra i suoi avversari politici preferirono l’esilio e si trasferirono in Islanda. Questa migrazione diede vita, oltre a una forte espansione dei dialetti norvegesi antichi, a un’importantissima reviviscenza di valori culturali: i coloni che migravano in Islanda rimanevano fortemente attaccati alla tradizione norvegese seriamente minacciata dalla tirannide sovvertitrice di Haraldr, cosicché quei coloni trapiantarono nelle terre d’Islanda gli antichi istituti politici e sociali, le tradizioni poetiche e religiose più arcaiche della propria terra d’origine.
Nasce in questo contesto la grande letteratura islandese medievale, prima tramandata oralmente di generazione in generazione, da poeti e narratori, poi fissata definitivamente per iscritto con la diffusione dell’alfabeto latino in Islanda.
I carmi più antichi dell’Edda, la maggior parte delle saghe e i versi degli scaldi, hanno avuto la loro genesi in questo periodo eccezionale del mondo nordico, segnato dai due moti di espansione, così diversi e così fecondi: l’egemonia dei vichinghi e la diaspora degli esuli norvegesi in Islanda.
Basterà appena qualche esempio per dimostrare l’influenza e a volte persino l’estrema identità tra la nostra matrice linguistica e il cronologicamente successivo protogermanico:
latino: angor (affanno); antico nordico: angr (preoccupazione)
latino: rīpa (riva); antico nordico: rífa (dividere)
greco: nûn (ora); antico nordico: nú
latino: augēre (aumentare); antico nordico: auka (accrescere); gotico: aukan
greco: steíchein (camminare); antico nordico: stíga (salire)
latino: ventus (vento); antico nordico: vindr (vento)
latino: Venus (dea dell’amore); antico nordico: vinr (amico)
– Il terzo periodo vede, accanto all’appassionata opera di raccolta e trascrizione dei capolavori sopravvissuti nella tradizione orale, anche un’intensa attività letteraria. Va ricordata soprattutto la figura del grande letterato Snorri Sturluson e la sua opera di alto valore storico e stilistico: la Heimskringla, in cui narrò le vicende dei sovrani di Norvegia.
Per quel che riguarda più specificamente la lingua dobbiamo dire che pur nei limiti di una tendenza conservatrice frutto dello spirito tradizionalmente arcaico della società islandese, questo terzo periodo è apportatore di palesi innovazioni. La prosa di Snorri è diversa da quella delle saghe più antiche e queste ultime sono lontane, per modi espressivi e locuzioni sintattiche, dalla Sturlunga Saga (composta agli inizi del XIV secolo), l’avventurosa e affascinante descrizione delle ultime vicende della libera nazione islandese, soggiogata dalla monarchia norvegese nell’anno 1264.
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Riassumendo:
– i primi modelli linguistici germanici sono di origine italo-etrusca.
– i secondi sviluppi linguistici sono legati all’influenza scandinava, ma è sempre viva e presente quella della civiltà latina medievale.
– successivamente vi è un misto di tradizione e innovazione
Ricordatevene quando qualcuno vi dice di prendere a modello i tedeschi, o di aspettare sempre con le ginocchia molli l’ok di Berlino prima di fare qualunque cosa in casa nostra.
Riattingiamo alle belle parole della nostra lingua e della nostra anima: dignità, lavoro, Italia.
E se proprio qualcuno volesse ancora prendere a modello i tedeschi, ora sa che lo può fare in un unico modo: prendendo a modello noi stessi.
Persino quelli che chiedono “più Europa”, per essere un po’ più crucchi, non hanno che da diventare un po’ più italiani.
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