Perle di logica eurista
Il dibattito che ruota attorno all’Unione europea e alla sua irenica creatura chiamata euro ci permette a volte di godere di talune mirabolanti piroette (il)logiche e di alcuni curiosi siparietti i cui protagonisti sono ignari di dare sfoggio di clamorosa quanto inconsapevole idiozia.
Le performances più strabilianti costoro le regalano quando discorrono amabilmente degli effetti “catastrofici” che a detta loro costituirebbero il certo epilogo di un eventuale ritorno a “lirette” o simili succedanei. Questi esimi statisti chiamati da altrettanto brillanti giornalisti a far da comparse in ineffabili talk televisivi srotolano argomentazioni che sarebbero confutabili persino da un simpatico bardotto. Basta infatti ascoltarli con un minimo di attenzione per constatarne la totale quanto evidente inabilità al pensiero (figuriamoci all’azione).
Nello specifico, vorremmo evidenziare l’insensatezza di alcuni argomenti che lor signori sono soliti addurre di sovente al fine di rigettare recisamente un ritorno – che al contrario noi definiamo plausibile e auspicabile – ad una valuta nazionale. Tralasciando l’analisi delle varie forme di auto razzismo sottintese dall’uso di termini spregiativi del tipo “liretta” o “italietta” (con la minuscola ovviamente) ed estese a qualsiasi altro portato della nostra italianità, prima di soffermarci su alcuni esempi di nonsense argomentativo, sgomberiamo preliminarmente il campo da un’assurdità che spesso e volentieri si sente ripetere. “Se uscissimo dall’euro, saremmo travolti da un binomio svalutazione/inflazione del 50% e oltre”. Peccato (o per fortuna) che le cose non stiano esattamente in questi termini. Nessuna sventura inflazionistica colpirebbe il nostro Paese e le nostre tasche. In effetti, la svalutazione da attendersi equivarrebbe con tutta probabilità al differenziale d’inflazione accumulato dall’Italia nei confronti della Germania, l’amorevole e paterna locomotiva d’Europa, durante gli anni dell’euro. Per intenderci, i dati che abbiamo relativi al periodo in questione parlano di un cumulo di poco superiore al 10%. Presumibilmente, dunque, la svalutazione dovrebbe attestarsi, secondo le stime prudenziali dei più seri studi in materia, intorno al 15-20%.
A tal proposito, un errore grossolano che gli euristi più incalliti commettono sistematicamente è quello di credere che la svalutazione si scarichi interamente sull’inflazione. Secondo loro, insomma, una svalutazione del 50% equivarrebbe ad un eguale aumento dell’inflazione. Anche qui occorre fare chiarezza dunque. La svalutazione influenza infatti il potere d’acquisto sui mercati internazionali, non sul mercato interno. Pertanto, se la svalutazione, realisticamente, dovesse attestarsi attorno al 20%, non vi sarebbe certo un aumento inflattivo di 20 punti. I molti studi a disposizione sulle dinamiche svalutazione-inflazione registrate nelle economie più avanzate mostrano che solo il 30-40% della svalutazione si scarica sull’inflazione. Se l’Italia dovesse perciò svalutare del 20%, l’inflazione ad un anno dovrebbe attestarsi intorno al 7%. Nessuna apocalisse all’orizzonte.
Soffermiamoci però su un altro punto, che è il nocciolo della presente critica. Gli illustri luminari di cui sopra non si rendono in realtà minimamente conto di una contraddizione logica in cui ricadono i loro insensati sproloqui. Nel momento in cui ammoniscono dei rischi derivanti da una sicura svalutazione cui sarebbe soggetta la nuova valuta nazionale essi stanno implicitamente ammettendo, seppur in modo inconsapevole, che stiamo attualmente utilizzando una moneta sopravvalutata rispetto ai fondamentali e alle necessità del nostro sistema economico. Se infatti così non fosse, perché mai dovremmo svalutare? Costoro pertanto non si avvedono che quella svalutazione che paventano non sarebbe altro che il salutare e naturale riaggiustamento atto a sanare i persistenti squilibri causati dall’euro.
Ma non finisce qui. La stringente logica eurista dà prova della sua ferrea consequenzialità anche quando si parla del ruolo della Bce. Di fronte alla tirannia dei mercati che costringono gli Stati ad indebitarsi, questi farisei esterofili e schizofrenici si appellano alla Bce al fine di fare di quest’ultima una sorta di prestatore di ultima istanza, ossia chiedendole di svolgere un ruolo che non le compete per statuto, quello di finanziare gli Stati in difficoltà acquistandone i titoli. Toh, ma guarda un po’! Si sta cioè oggi chiedendo alla Bce di fare quello che ieri, negli anni ’80, si impedì di fare alla Banca d’Italia. Misteri della fede europeista!
In conclusione, qui l’unica catastrofe è quella riscontrabile nel sistema n(euro)nale di questi esilaranti euristi. Già, davvero esilaranti. Attenzione però, perché per il troppo ridere si potrebbe anche morire.
Leggo questa frase nell’ultima parte del terzo paragrafo:
Presumibilmente, dunque, l’inflazione dovrebbe attestarsi, secondo le stime prudenziali dei più seri studi in materia, intorno al 15-20%.
Credo che “inflazione” vada sostiuito con “svalutazione”.
Sì esatto, c’era un errore ovviamente. Che si è provveduto subito a correggere.
Qualcuno poi dovrebbe spiegare come fanno a “Sopravvivere” in Europa tutti quegli stati che pur aderendo alla Unione Europea, non adottano l’Euro!
La Lira ai tempi era una valuta molto piu’ forte delle varie Corone Nordiche!
Mi permetto una previsione, se dovesse uscire dall’euro, per prima la Francia, per incanto tutti “Quegli economisti” si accorgerebbero della Giustezza di tale mossa, che andrebbe seguita a ruota “Che loro l’avevano sempre sostenuto”…