Il dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ha detto di stare valutando la possibilità di forzare lo scorporo di Google in più società per “prevenire e limitare il mantenimento del monopolio” in mercati come quello della ricerca online.
Il 90 per cento delle ricerche su Internet negli Stati Uniti passano per il motore di ricerca dell’azienda, permettendo a quest’ultima di trarre grandi profitti con le entrate pubblicitarie. Nel secondo trimestre dell’anno, infatti, la sezione “Google Search & Other” ha riportato un reddito di 48,5 miliardi di dollari, il 57 per cento del reddito totale di Alphabet (la società madre di Google).
LE PROPOSTE DEL DIPARTIMENTO DI GIUSTIZIA PER ROMPERE IL MONOPOLIO DI GOOGLE
Le opzioni valutate dal governo americano, in realtà, sono diverse, e lo smantellamento obbligato non sembra essere la più probabile. Il dipartimento ha fatto sapere di stare “valutando rimedi comportamentali e strutturali” che impediscano a Google di utilizzare prodotti come Chrome (il browser), Play Store (il negozio di app) e Android (il sistema operativo per dispositivi mobili) per avvantaggiare Google Search (il motore di ricerca) e le funzionalità correlate “rispetto ai rivali o ai nuovi operatori”.
Potrebbero venire limitati o vietati del tutto gli accordi economici – dal valore di decine di miliardi di dollari – tra Google e i produttori di smartphone, come Apple e Samsung, volti a far sì che Google Search venga impostato come opzione predefinita sui loro dispositivi. Il dipartimento di Giustizia ha proposto di introdurre una “schermata di scelta” sugli smartphone nella quale gli utenti possano selezionare il loro motore di ricerca preferito.
Attraverso queste e altre azioni – come ad esempio l’obbligo di condivisione dei dati nell’indice di ricerca con le aziende concorrenti -, il dipartimento vuole mettere fine al “controllo di Google sulla distribuzione oggi” e garantire che “Google non possa controllare la distribuzione di domani”.
Ad agosto un giudice federale negli Stati Uniti ha stabilito che Google è monopolista nel mercato della ricerca online e che ha agito illegalmente per mantenere questa posizione, violando la Sezione 2 dello Sherman Act, la legge in materia. Google ha già annunciato che farà ricorso in appello.
LA RISPOSTA
Lee-Anne Mulholland, la vicepresidente per gli Affari regolatori di Google, ha definito “radicali” le proposte del dipartimento di Giustizia. “Questo caso riguarda una serie di contratti di distribuzione di ricerca. Piuttosto che concentrarsi su questo, il governo sembra perseguire un programma di ampio respiro che avrà un impatto su numerosi settori e prodotti”, ha detto, “con significative conseguenze indesiderate per i consumatori, le imprese e la competitività americana”.
IL CASO PLAY STORE
Lunedì, in un caso separato, un giudice distrettuale negli Stati Uniti ha ordinato a Google di modificare il proprio servizio di distribuzione delle applicazioni per i dispositivi Android – noto come Google Play o Play Store – e permettere agli utenti di utilizzare store alternativi.
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