Tutelare i minori dai rischi della connessione permanente?
di GLI ASINI (Simone Lanza)
Si discute dell’approvazione della legge in Australia, dove tra un anno le piattaforme saranno vietate ai minori di 14 anni, e si è discusso molto attorno alla proposta a settembre di Alberto Pellai e Daniele Novara sullo stop a smartphone e social sotto i 16 e 14 anni. Un nostro collaboratore spiega le ragioni dell’appello e per noi è un tema da indagare e approfondire con attenzione. Apriamo una serie di riflessioni con questo primo intervento. (Gli asini)
L’appello di Pellai e Novara e altr* prim* firmatari (Stop smartphone e social sotto i 16 e 14 anni: ogni tecnologia ha il suo giusto tempo) ha raccolto molti consensi intorno a due punti che oggi sono rivendicati in sempre più parti nel mondo da genitori e comunità scientifica; tali misure sono per altro già in discussione nelle sedi istituzionali di Svezia, Australia, Usa, Francia, etc…. Ben venga quindi anche in Italia un appello che chiede due misure politiche fondamentali:
• Evitare l’accesso ai social network prima dei 16 anni;
• Evitare il possesso di uno smartphone personale prima dei 14.
Questo appello ha destato critiche entrando nel vivo del conflitto sull’uso degli smartphone nell’età dello sviluppo perché invita a prendere una posizione etica (su un problema pubblico) prima ancora che pedagogica (su un problema privato). Presentando delle inevitabili semplificazioni vorrei replicare ai principali fraintendimenti creatisi.
A giudicare dalle reazioni, il principale problema è dato dalla richiesta di disciplinare con norme che proibiscono l’uso. Sebbene abbiamo un governo che impone e vieta libertà con misure poliziesche anticostituzionali (ddl1660) e intenda trasformare l’educazione civica in religione della patria e del neoliberismo, la richiesta di divieto dei pedagogisti va nel senso nobile della tutela dei diritti dei minori, come quello del lavoro minorile.
Da prima del Covid-19, sulla base di un vasto e consolidato numero di studi scientifici, associazioni dei pediatri di molti paesi inclusa la Società Italiana di Pediatria, danno indicazioni alle famiglie per limitare l’esposizione precoce e prolungata agli schermi poiché vi sono ripercussioni negative su tutte le dimensioni dello sviluppo psicomotorio, ben visibili da chi lavora nel mondo scolastico e dell’educazione: effetti su vista, udito, alimentazione, sovrappeso, sonno; attenzione, memoria, linguaggio, problemi scolastici; minor empatia, disturbi legati alla sfera sessuale-affettiva, bullismo, ansia, isolamento sociale, depressione, dipendenza, suicidi. Ma non basta che i pediatri siano preoccupati della salute pubblica.
Vediamo ora le principali critiche che sono state rivolte.
1) Il problema è molto complesso
Non è dimostrato scientificamente che gli smartphone causano problemi negli adolescenti, sono solo paure dei tecnofobici. Lo psicoterapeuta Matteo Lancini sostiene una tesi che si potrebbe definire negazionista: “La tecnologia nelle mani dei bambini, fin dalla più tenera età, viene consegnata dagli stessi genitori e non dal mondo esterno, dalle istituzioni o peggio ancora da ‘altri’ nemici, cattivi”. Il problema della dipendenza deriverebbe quindi dalla “mamma che a fatica riesce ad accettare la separazione” (sic); è lei “la principale sostenitrice della larghissima diffusione dei telefoni cellulari tra i bambini piccoli” (Adolescenti navigati). Su questa base, molti specialisti non consigliano di limitare o curare il legame patologico con lo schermo (con diete digitali, progressive riduzioni, etc…), ma lavorano solo ed esclusivamente sulle fragilità psicologiche.
Oggi nel mondo molti genitori e istituzioni stanno portando avanti processi contro Tik Tok e Meta responsabili dell’istigazione al suicidio, dal momento che è su queste app che i loro figli sono venuti in contatto con comunità in cui si spiega come suicidarsi, come tagliarsi meglio, come diventare una vera anoressica, come soffocare il partner durante le relazioni sessuali, etc… L’appello di Novara e Pellai ha il merito di spostare la questione dal piano privato a quello pubblico: non è vero che le tecnologie sono neutre, le responsabilità sono delle multinazionali che le mettono in commercio e degli stati che ne permettono lo smercio. Le famiglie sono le vittime, e quelle più povere lo sono doppiamente. È inutile continuare a incolpare i genitori per un cattivo utilizzo.
2) È ridicolo pensare che se non si usa lo smartphone si legge di più.
Sulla lettura digitale c’è una convergenza degli studi sul fatto che l’uso frequente e prolungato della lettura digitale (in particolare dello smartphone) modelli oggi un nuovo stile di lettura frammentata che sta riducendo drasticamente le capacità di lettura sia degli adulti sia ancor più dei giovani. Negli ultimi 40 anni gli studenti statunitensi sono passati da 100 ore mensili di studio sui libri a 25. Oggi per superare gli esami universitari non è così necessario studiare sui libri. Avendo intervistato professori universitari (di pedagogia), dirigenti scolastici, docenti di ogni grado e persino una consulente del Piano Nazionale Scuola Digitale posso assicurare che il problema non è che questi studi diano risultati “contraddittori”, ma banalmente che questi studi sono sconosciuti: gli studi mostrano che leggere su carta è meglio che leggere su video; spiegano molto bene che leggere su carta permette un’attenzione maggiore, una migliore comprensione, un maggior trasporto emotivo e quindi anche una memorizzazione più duratura. In pratica sui video si tende a saltare e a scorrere il testo, come spiega benissimo il documentatissimo lavoro di Wolf (Lettore vieni a casa). Non è un problema da boomer ma da esseri umani! Il problema è che passando tutto il giorno (e la notte) a leggere sullo smartphone si diventa disabili della lettura profonda e abili solo nella lettura frammentata. Del resto è esperienza comune dei genitori vedere che non appena arriva lo smartphone, il libro non è più ricercato.
3) Vietare è inutile, in campo educativo ciò che conta è la relazione
In campo educativo vietare non serve, i buoni comportamenti si promuovono con il dialogo e nella relazione. C’è persino chi è arrivato a citare la legge 189/2012 che vieta la vendita e la somministrazione di alcool ai minori di 18 anni, rilevandone l’inutilità pratica. Il fatto che certe leggi possano non essere efficaci significa però che non debbano esistere? Vogliamo abolire le leggi contro il lavoro minorile perché esso ancora esiste? Le leggi che hanno tutelato infanzia e adolescenza sono state passi avanti, così come la legge 71/2017 sul Cyberbullismo che è una delle più avanzate al mondo. Sono condizioni necessarie ma non sufficienti.
Altre argomentazioni simili sostengono che vietare è poco utile e generalmente si ottiene l’effetto opposto a quello desiderato. L’appello propone di normare a livello pubblico per promuovere il dialogo in famiglia! Proporre una legge che tuteli con divieti è il contrario di promuovere una pedagogia autoritaria. È poi utile ricordare (in ambito strettamente educativo e non politico) che vietare non è il contrario di educare, ma che l’educare passa anche dal sapere porre paletti, barriere, limiti e divieti. “Vietato vietare” era forse rivoluzionario nel ‘68, ma oggi suona come veramente ingenuo: chi pensa ancora che non dare limiti e divieti sia molto libertario e non sia invece la quintessenza della deregulation educativa neoliberista? Il problema è che gli smartphone stanno alterando proprio la relazione genitoriale: se genitori e figli stanno davanti agli schermi si ascolteranno sempre meno. Certamente gli adulti devono dare l’esempio ma queste leggi potrebbero essere solo d’aiuto.
4) Le famiglie non devono delegare al governo le proprie responsabilità educative
Gianluca Nicoletti sulla Stampa (Smartphone ai ragazzi, impossibile vietarlo) è arrivato a sostenere che con leggi del genere le famiglie delegherebbero le proprie responsabilità educative allo stato. Altri sostengono che è una lotta culturale e non ha senso contrastarla con dispositivi giuridici. Come se il movimento operaio avesse dovuto continuare a portare avanti la lotta per il diritto di sciopero senza richiederne la legalizzazione. Come se le donne avessero dovuto portare avanti la lotta emancipatoria (sociale e culturale) senza richiedere una legge per il diritto di voto o contro il “delitto d’onore”. Le lotte culturali vere hanno bisogno anche di un piano legale per potere avanzare. Oggi c’è una grande pressione sociale: tutti a 11 anni vogliono lo smartphone perché ce l’hanno tutti. Una recente ricerca del team di Marco Gui (Centro di Benessere Digitale dell’Università Bicocca) ci informa che la maggioranza dei genitori intervistati a Milano darebbe lo smartphone dopo i 14 anni, ma effettivamente l’ha già dato a 11 anni. Quindi di fronte a questa differenza tra ciò che le famiglie desiderano e ciò che sono costrette a fare per la pressione sociale, è così balzano un intervento istituzionale? Dalla mia esperienza i genitori che promuovono i patti digitali di comunità o che non danno lo smartphone alla primaria sono tra quelle persone che si assumono più responsabilità. Inoltre la medesima ricerca dice che l’arrivo dello smartphone è tendenzialmente precoce laddove le famiglie hanno un basso status socio-culturale. Il problema non è che le famiglie delegano ma che lo Stato che deve fare il suo dovere: tutelare. Lo Stato deve vietare affinché le famiglie non siano lasciate sole a doverlo fare.
5) Vietare significa pensare agli adolescenti come individui amorfi che usano i social network facendosi del male
Una frase simile (e forse peggiore) è circolata su Facebook da parte di un pedagogista, ma l’idea che chi propone l’appello abbia una bassa stima degli adolescenti che sanno navigare benissimo è assai diffusa. Temo che si tratti di un’argomentazione sleale. Chi ha firmato questo appello ha a cuore il bene di bambini/e e adolescenti tanto quanto chi non l’ha firmato e nessuno vuole colpevolizzare bambine/i e giovani, né li ritiene inetti o amorfi. Gli adolescenti non hanno le stesse abitudini ed esistono forti differenze di classe: negli Usa nel 2020 i bambini di età compresa tra 0-8 anni delle famiglie a basso reddito fruivano di un tempo schermo doppio rispetto a quelli delle famiglie a reddito più elevato, mentre dieci anni prima anni la differenza era molto minore (Rideout 2020). Anche in Italia i giovani ricchi hanno indicatori di pervasività minori di quelli poveri: guardano meno di notte e durante i pranzi il loro smartphone, come evidenziano ancora un altro studio di Marco Gui. Ingegneri della Silicon Valley danno lo smartphone ben dopo i 14 anni, non lasciano i propri figli più di una volta a settimana coi videogiochi, evitano loro i social network fino a sedici anni, etc… Quindi la legge proposta fa un po’ come Robin Hood: facciamo in modo che non solo i figli dei ricchi siano protetti. Recentemente dati inquietanti ci parlano di una Generazione ansiosa (Haidt) ma forse sarebbe meglio descriverla come generazione oppressa. Non esistono solo le differenze generazionali ma anche quelle di classe, per questo è utile la tutela legale dei diritti dei minori non può riguardare solo 1% dei super-ricchi.
6) È importante educare e accompagnare a un uso sensato del dispositivo
Siccome queste tecnologie esistono e fanno parte della vita di tutti i giorni, non possiamo tornare “indietro”: ben vengano questi schermi portatili che sono la Tecnologia inevitabile; piuttosto che rifiutarla è meglio educare all’uso consapevole dei media, offrendo agli studenti strumenti per comprendere come funzionano, questa è l’unica via possibile.
Credo che le famiglie possono e debbano educare a usare bene le tecnologie. Nei primi otto anni di vita, secondo uno dei più autorevoli report statunitensi (Rideout 2020) il tempo schermo è dedicato per la maggior parte alla visione di brevi filmati (73%) e ai videogiochi (16%). La lettura, i compiti e le video-chiamate occupano una piccola parte residuale (5%). Evitare di dare uno smartphone a 2, 4, 6, 8 o 12 e 14 anni significa evitare che si trovi, come succede, a guardare film porno, filmati violenti, o banalmente a stare tre ore davanti allo schermo con video corti e stupidi, o con chat infinite quanto inutili o davanti a videogiochi senza senza la scritta “game over”. Una volta acceso lo schermo la prima cosa che l’adolescente perde è il controllo del tempo, ma ciò non dipende né da lui/lei né dai suoi genitori.
Ogni genitore è convinto giustamente che i propri figli usino in modo intelligente gli schermi, e solo quando non si staccano più dallo schermo se ne pente. L’età media della prima esposizione alla pornografia per i minori si sta abbassando in vari paesi nel mondo, (in Spagna parlano di Generación porno); la media (e ciò implica che una buona parte sia anche sotto) è oggi compresa tra i 7 e i 10 anni e viene favorita dalla disponibilità di un proprio smartphone. Secondo voi quando filmano il proprio spogliarello o quando guardano il loro primo porno vi vengono a chiedere di essere accompagnati alla visione? Ma che senso ha “accompagnare” se oggi bambini/e vengono svezzati, addormentati, cullati,intrattenuti con lo smartphone proprio dai genitori? Di quale consapevolezza si parla? E vogliamo fare lo stesso discorso per l’abitudine alla violenza?
7) Non si può fare, è irrealizzabile
La proposta dell’appello è semplicemente irrealizzabile.
Se questa è la critica principale, come sostiene sempre Nicoletti, allora significa che il problema non è la legittimità ma la modalità di realizzazione. Si tratta solo di capire come fare a evitare l’uso?
Certamente se la legge ponesse solo divieti anche secondo me sarebbe limitativa. Se la legge fosse anche accompagnata da dei fondi per delle campagne culturali di formazione serie condotte nelle istituzioni scolastiche e sanitarie, i genitori sarebbero almeno più informati. Finalmente saprebbero che il mito dei nativi digitali è falso! Vietare significa in primo luogo informare i genitori che qualcosa non va fatta, come il divieto di balneazione! Il progetto Pediatri custodi digitali, per esempio, ha formato i pediatri di una regione italiana (Friuli Venezia Giulia) per dare le informazioni durante i bilanci di famiglia. Ci sono stati risultati positivi, come la riduzione di circa il 23% delle famiglie che lascia di notte i ragazzi delle “medie” in stanza da soli con lo smartphone. Con programmi di formazione nemmeno troppo onerosi si potrebbero far giungere le informazioni giuste che genitori, docenti, Dirigenti scolastici, pediatri, ostetriche, etc… semplicemente ancora non hanno ricevuto. In ogni caso con dei gruppi di lavoro multidisciplinare, con un dibattito pubblico serio, si possono cercare insieme soluzioni tecniche, giuridiche, pedagogiche sensate che vadano nel senso della protezione dei diritti dei minori. È anche probabile, benché non questo non sia così auspicabile, che siano le multinazionali stesse a proporre navigazioni “sostenibili” per i minori pur di preservare i profitti che derivano dall’uso da parte dei minori di queste piattaforme “gratuite”, e che – diciamolo! – non sono ”servizi” ma “vettori pubblicitari”. Oppure non si può fare perché la legge deve essere europea o mondiale? Bene firmiamo e diamoci da fare per farla diventare legge mondiale.
Conclusioni
Sicuramente l’appello non dà indicazioni articolate sul ruolo della scuola. Sicuramente se ci saranno misure legislative dovranno essere pensate meglio, avendo anche un occhio per il futuro comprendendo già alcune tendenze come l’uso di orologi Smartwatch o di caschi virtuali. Giustamente molti hanno lamentato i problemi della società adulta, dicendo che il problema sono gli adulti. Ma se l’eccesso di alcool è nocivo agli adulti, questo è un motivo per non proibirlo ai minori? In effetti è scandaloso che chirurghi rispondano in sala operatoria ai cellulari, autisti di mezzi pubblici guidino autobus pieni con lo smartphone in mano e i docenti consultino continuamente lo smartphone in classe. Sono necessarie misure serie ad ampio raggio, ma questo significa che la tutela delle nostre ragazze non è doverosa? Che non si debba iniziare a proteggere loro?
Il tempo schermo è un fenomeno che riguarda la società di comunicazione di massa: esso sta aumentando e isolando le relazioni, rimuovendo il corpo, riducendo le esperienze multisensoriali e riducendo i tempi del sonno, della lettura, del gioco libero, del contatto con la natura. Si tratta di temporalità fondamentali per la crescita durante l’infanzia e l’adolescenza. É un problema sociale politico che ha anche bisogno di tutele legali.
In questo senso lo Stato italiano ha sottoscritto in particolare la Convenzione sui Diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, il cui articolo 17 prevede che gli stati “vigilano affinché il fanciullo possa accedere a una informazione e a materiali provenienti da fonti nazionali e internazionali” e proteggano “dalle informazioni e dai materiali che nuocciono al suo benessere”.
Oggi il problema non è più SE tali misure siano necessarie, ma CHI scriverà le regole di protezione. Meta si è già fatta avanti con le sue regolamentazioni sostenibili. Vogliamo lasciare che siano le multinazionali a scrivere le regole di uso di internet e social media? O preferiamo che sia chi non ha conflitti di interesse? Le leggi non risolveranno certamente il problema, ma è giunto il momento di dire chi e come le scriverà.
Le proposte di legge possono e devono essere riviste collettivamente nella forma, ma l’essenza è che occorrano leggi che tutelino i diritti dei minori dal bombardamento mediatico perpetuato dalle agenzie del Web che incassano miliardi sulla pelle di bambini/e. Nell’attesa, i genitori possono resistere coi “patti digitali di comunità” o altre forme. Intanto ben vengano discussioni serie sul tipo di tecnologie da usare. Molte cose non sono alternative tra loro. Intanto questo appello segue le indicazioni della Scuola di Barbiana: “Il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è la politica. Sortirne da soli è l’avarizia.”
FONTE:https://gliasinirivista.org/tutelare-i-minori-dai-rischi-della-connessione-permanente/
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