Chi c’è dietro il nuovo deep state statunitense che sta distruggendo l’economia mondiale
DA OTTOLINA TV

Ho un po’ di timore a parlarne, perché l’ultima volta ho preso una discreta cantonata; d’altronde capita, quando ti fidi di un giornale di propaganda degli Elkann come l’Economist: mi riferisco a quando, ormai un anno e mezzo abbondante fa, abbiamo ventilato l’ipotesi che nel 2024 l’economia USA potesse avviarsi verso la crescita zero. Sull’Economist, come su altre testate specializzate, in realtà il dibattito non era manco se questo sarebbe avvenuto, ma su come: hard landing o soft landing? Atterraggio duro o morbido? Alla fine non è atterrato proprio niente e l’economia USA, nel 2024, è continuata a crescere; e graziarcazzo, aggiungerei: con il 7% di deficit ci mancava solo crollasse. Ma l’atterraggio potrebbe essere stato solo rimandato: è quello che cominciano di nuovo a sospettare le solite testate specializzate. “Con Trump, ci sarà una recessione?” si chiede il Wall Street Journal: quanto sia fondato questo timore, difficile dirlo; il Journal sta facendo una campagna spregiudicata contro Forrest Trump e i cavalieri della tavola rotonda di Mar-a-Lago.
Na una differenza, rispetto a un anno e mezzo fa, c’è: allora infatti, mentre le testate parlavano di hard landing, i mercati sembravano vederla diversamente e la bolla continuava a crescere; ora, invece, i fantomatici mercati sembrano crederci sul serio. Cos’è cambiato? Diverse cosine: per salvare il culo alla Bidenomics, tanto i padroni del mondo dei grandi fondi, quanto la fed, erano in prima linea; con Forrest Trump sono in prima linea per fargliela pagare. Come gli alleati europei: durante l’amministrazione Biden si sono mantenuti fedeli al copione dell’austerità, che è il grande complice della fuga dei capitali europei oltreoceano; ora, invece, non fanno che annunciare imponenti iniezioni di denaro pubblico in grado di far ripartire (almeno sulla carta) un po’ la crescita e, quindi, offrire ai padroni del mondo titoli europei sui quali puntare. Insomma: ci sono tutte le condizioni per una tempesta perfetta, ma la cosa strana è che Forrest Trump non sembra intenzionato a fare niente di che per calmare le acque. Abituato a negare fino all’ultimo ogni evidenza, a questo giro, di fronte all’ipotesi di una recessione, ha reagito compassato: “Odio prevedere cose del genere” ha dichiarato a Fox News; “chi lo sa?”
Come ampiamente prevedibile, questa insolita ambiguità (come l’ha definita il Wall Street Journal) ieri è bastata a scatenare la peggiore giornata dei mercati azionari USA da qualche anno a questa parte, con il NASDAQ che ha lasciato sul terreno 4 punti percentuali secchi; e mai come oggi l’andamento dei mercati azionari rischia di colpire immediatamente l’economia reale: come abbiamo sottolineato in un altro video pochi giorni fa, i consumi USA non sono mai stati così concentrati nelle mani del 10% più ricco della popolazione e la ricchezza di questo 10% non è mai stata così legata all’andamento dei titoli azionari. Ergo: crollo dei mercati = crollo dei consumi = recessione; se ci aggiungi i 2 mila miliardi di spesa pubblica che Elon il grande dovrebbe levare di tasca ai cittadini più svantaggiati con il suo DOGE, ecco che l’hard landing si avvicina. Wall Street teme che Trump rovini l’atterraggio morbido titola un altro articolo sempre il Journal: Il pilota dell’economia ha un nuovo messaggio: allacciate le cinture di sicurezza. L’articolo riporta questo grafico, che vale più di mille parole:

la curva blu riporta l’andamento dell’indice S&P500 durante la prima amministrazione Trump; quella arancione, durante la seconda. Dalle magnifiche sorti e progressive alla caduta libera: se, a 50 giorni dall’insediamento, la volta scorsa l’indice era cresciuto di quasi 5 punti, ora è crollato di 6. E non è ancora niente, perché se invece dello S&P500 prendiamo il NASDAQ composite, l’indice delle principali aziende tecnologiche (il vero fiore all’occhiello dell’imperialismo USA), il confronto è ancora più impietoso: una crescita di 6 punti durante il Trump 1 contro una perdita netta di 11 punti oggi; sono 17 punti di differenza, oltre 5 mila miliardi di valore, 2 volte il PIL italiano. E il primo Trump non era stato certo l’eccezione, anzi: i mercati sotto Biden avevano fatto ancora meglio; e anche Obama, nonostante la sua elezioni fosse stata salutata col lutto al braccio dai mercati, a 50 giorni dall’insediamento viaggiava abbondantemente in zona positiva

Trump minimizza: “Stiamo facendo una rivoluzione” afferma; “un po’ di scossoni sono inevitabili”.
Quello che sappiamo, però, è che durante la campagna elettorale aveva promesso quintali di tagli fiscali e di deregolamentazioni e i mercati, all’inizio, avevano brindato: “La gente riusciva a vedere solo il lato positivo di ciò che Trump prometteva di fare” scrive il Journal; “Tutto questo ora è evaporato, e siamo tornati a temere la recessione”. A novembre, la quota di famiglie che prevedeva un miglioramento della propria posizione finanziaria aveva raggiunto il picco degli ultimi 5 anni; lo stesso sondaggio pubblicato di nuovo ieri ha mostrato il più grande calo della fiducia nell’arco di un mese dal 2023 e le aspettative di non essere in grado di ripagare un debito sono salite al livello più alto dall’aprile 2020, subito dopo la dichiarazione ufficiale della pandemia: “I funzionari del governo degli Stati Uniti” scrive il Financial Times, “sostengono che queste perturbazioni sono di piccola entità, e dovrebbero essere viste come parte di un viaggio accidentato verso una meta molto migliore. Ma la preoccupazione è che il viaggio accidentato possa portare a una destinazione molto diversa dal previsto, e decisamente meno favorevole”.
Come abbiamo già accennato, il punto è anche che, nel frattempo, l’Europa è entrata in collisione con la Casa Bianca e non ha più nessunissima intenzione di salvare l’immagine di Forrest Trump con i risparmi dei cittadini europei; anzi: è finalmente tornata a ventilare la possibilità di fare politiche economiche che invece che contribuire a distruggere l’economia europea, provino a farla un po’ ripartire (almeno quel tanto che basta per tornare a rendere attrattive le azione di alcuni campioni continentali, enormemente più convenienti delle parigrado d’oltreoceano). Il risultato è questo:

stando all’indice MSCI di Morgan Stanley, dal momento dell’insediamento i mercati USA hanno perso oltre 4 punti di capitalizzazione; quelli fuori dagli USA ne hanno guadagnati oltre 7. “Il presidente riconquisterà gli investitori?” si chiede l’Economist, ma soprattutto siamo sicuri che “lo voglia davvero?”, e torna il sospetto. Come sottolineava il Wall Street Journal, “Negli ultimi giorni gli analisti hanno visto cambiare il tono del presidente e dei suoi consiglieri. Inizialmente l’amministrazione minimizzava i rischi. Ora sembra quasi che se qualcosa va storto, meglio così”. I primi a rimetterci di tasca loro, al momento, sono proprio i membri dell’entourage di Trump, a partire proprio da Elon il grande, che deve il suo sterminato patrimonio in larghissima parte alle sue azioni di Tesla che dal 20 gennaio sono scese del 45%, causandogli circa 130 miliardi di danni; come ricorda il nostro Alessandro Volpi, in gran parte è dovuto alle big three, che sono passate da tenere il 30% delle azioni, al 15. Eppure, appunto, nessuno sembra aver nessun interesse a moderare i toni; com’è possibile? Una possibile spiegazione ce la offre la sempre acutissima Susan Webber su Naked Capitalism: “L’unico modo in cui tutto questo prende senso, è se pensiamo che stiano architettando un crollo simile a quello della Russia degli anni ‘90, che ha permesso a persone con i rapporti giusti con il governo di trasformare modeste quantità di denaro in miliardi acquistando asset di ogni tipo a prezzi stracciati”.
La guerra civile tra oligarchie che è scoppiata nel cuore dell’impero dopo la sconfitta della guerra per procura in Ucraina e di quella economica contro la Cina non sembra poter avere un vero vincitore: la cricca della PayPal Mafia che circonda Trump non è in grado di salvare il capitalismo USA senza il sostegno della liquidità di BlackRock and company, e BlackRock and company di tutta la loro liquidità, senza il sostegno della Casa Bianca non sanno cosa farsene. L’unico punto di caduta possibile sembra essere una nuova spartizione del pianeta: la bolla finanziaria, come sostiene il nostro Alessandro Volpi, si trasferirebbe gradualmente nel vecchio continente, a partire dall’industria bellica, che si appresta a ricevere una quantità spropositata di denaro pubblico, e dalle banche, che sono nel bel mezzo di un gigantesco processo di concentrazione. La bolla negli USA, al contrario, si sgonfierebbe e permetterebbe ai capitani coraggiosi amici di Forrest Trump di scalare la proprietà delle principali corporation del Paese; sembra essere l’idea che, ad esempio, s’è fatto anche Warren Buffet, che ha deciso di trasformare in soldi da tenere sotto il materasso varie azioni, a partire da quelle di Apple, per la bellezza di 334 miliardi, pronti ad essere investiti per comprarsi qualche gioiello di famiglia non appena i prezzi saranno crollati. Secondo i mercati è la scelta giusta: mentre tutto attorno ieri i titoli sprofondavano, la sua Berkshire Hathaway registrava un calo microscopico, a malapena percettibile. E te credo che il famoso deep state statunitense è infuriato: sostanzialmente, una cricca di stranieri s’è impossessata delle leve di comando degli USA per spolpare l’impero!
Come ricostruiva, in un lungo articolo pubblicato dal Guardian il gennaio scorso, il celebre giornalista investigativo Chris McGreal, la PayPal Mafia, il più influente gruppo di potere della seconda amministrazione Trump, affonda le sue radici nel Sudafrica dell’apartheid. Il caso più celebre, ovviamente, è quello dello stesso Musk: il nonno, Joshua Haldeman, si trasferì nel Sudafrica dal Canada negli anni ‘50; prima di allora, era sta a lungo tra i leader di un piccolo movimento politico di nome Technocracy Incorporated che, scrive McGreal “sosteneva l’abolizione della democrazia in favore di un governo di tecnici, e che gradualmente assunse connotazioni fasciste, dalle divise, ai saluti”. Il movimento fu messo al bando durante la guerra e Haldeman venne addirittura imprigionato; finita la guerra, fondò anche un altro piccolo partitino che, tra le altre attività, diffondeva il Protocollo dei Savi di Sion. Alla fine, decise di trasferirsi nel Sudafrica dell’apartheid perché particolarmente affascinato dal nazionalismo cristiano del National Party. Peter Thiel ha studiato per un periodo in Sudafrica negli anni ‘70, in una città dove – ricorda McGreal – “Hitler veniva apertamente venerato”; si chiama Swakopmund: per le strade ci si salutava simpaticamente con Heil Hitler e ogni anno si celebrava il compleanno del Fuhrer. Stando a una sua biografia, una volta trasferitosi a Stanford, Thiel era solito difendere l’apartheid come sistema economicamente sano. David Sacks, invece – il numero tre della PayPal Mafia, attualmente incaricato da Forrest Trump di creare un quadro normativo per l’industria delle criptovalute – è nato a Città del Capo e poi ha vissuto tutta la sua infanzia in mezzo alla diaspora sudafricana nel Tennessee.
La lobby dei nostalgici dell’apartheid ha fatto sì che tra le prime cose fatte da presidente da Forrest Trump ci fosse un ordine esecutivo col quale sospendeva gli aiuti finanziari al Sudafrica a causa della presunta discriminazione nei confronti della minoranza bianca, arrivando persino a parlare di genocidio: il genocidio consisterebbe nel fatto che gli autoctoni, dopo qualche secolo di schiavitù, potrebbero riprendersi alcuni terreni dagli schiavisti. Ora il cuore pulsante suprematista della PayPal Mafia si sta impossessando delle principali leve del potere della macchina amministrativa USA: da queste posizioni di potere sarebbe in grado di garantirsi un vantaggio incolmabile nella corsa all’accaparramento degli asset strategici USA deprezzati dopo lo scoppio o lo sgonfiamento della bolla; nel frattempo si intrattengono facendo saluti romani qua e là, giusto per ricordare l’infanzia a Swakopmund. Immaginatevi insieme alla lobby sionista che meraviglie potrebbero combinare…
Sembra un film distopico: rischia di essere lo stato dell’arte nella potenza leader, che anche se tanto leader non lo è più, detiene ancora il potenziale per distruggere il pianeta – prima finanziariamente e poi nuclearmente – svariate volte; in questo futuro distopico, quindi, una fazione delle oligarchie ricostruirebbe l’eldorado dei suprematisti schiavisti su una sponda dell’Atlantico, mentre l’altra ricreerebbe un nuovo paradiso della finanziarizzazione sull’altra. Sembra fantascienza: d’altronde, con gli occhi bendati dell’ipocrisia degli ultimi 50 anni, dove la ferocia dell’imperialismo era parzialmente dissimulata dal fatto che non esistevano veri contendenti, anche immaginarsi un mondo dove una manciata di Paesi europei si spartiscono il pianeta rendendolo in schiavitù, mentre il Terzo Reich invade coi carri armati tutta l’Europa e rinchiude in campi di sterminio milioni e milioni di persone in vista della soluzione finale, non sembra una cosa realistica; e, invece, è esattamente quello che succede quando lasci liberi di scorrazzare gli spiriti animali del capitalismo e pieghi ai loro bisogni l’intera umanità, che è esattamente quello che è successo negli ultimi decenni con la complicità di tutta la nostra classe dirigente a tutti i livelli (politico, economico, culturale). Ed è il motivo per cui adesso, prima che sia troppo tardi, è arrivata l’ora di mandarli #tuttiacasa: vi aspettiamo sabato 29 marzo alle 15 al Nuovo Cinema Aquila di Roma per cominciare a organizzarci per opporsi alla nuova spartizione del pianeta tra due tribù di sociopatici.
E per mandarli #tuttiacasa
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