L’inconcludenza dell’indignazione liberal
da FERDINANDO PASTORE (pagina Facebook)
Dopo due anni di silenzio omertoso sulla tragedia genocidaria di Gaza, i liberal di ogni latitudine appaiono rianimati da un entusiasta spirito battagliero, corroborato dal protagonismo delle loro fondazioni, dei loro club, delle loro associazioni che predicano una globalizzazione dei mercati contraddistinta da un incorporeo impulso umanitario.
Uno spirito poco dedito alle cause dell’ingiustizia provocata dalla tirannia dei mercati e dei loro sovrani, ma molto attento alla compensazione filantropica, all’empatia dello star system, alla generosità caritatevole di oligarchi più inclini di altri a investire sulla pietà umana.
Si assiste dunque a una mobilitazione civilizzatrice che non dà alcuna speranza ai popoli diseredati e alle classi sfruttate. Né terrena come si proponeva di ottenere il socialismo né celeste dato che perlomeno il cristianesimo prospettava una salvezza immortale anche per gli ultimi nel regno della vita eterna.
Si avvera la celebrazione di un attivismo autocentrato, personalizzato, che non intende in alcun modo ragionare di modi di produzione, di orizzonti anticapitalisti, di conflitto sociale organizzato. Insomma che si bea dell’emersione della causa giusta, mediaticamente spettacolarizzata, nella quale spolverare quel pizzico di narcisismo così opportuno per industrializzare il proprio carisma.
Dimostrazione ne è il fatto che la questione palestinese non viene più inquadrata, come è avvenuto in questi anni di manifestazioni silenziate dal misticismo filo-sionista, in ambito antimperialista. Israele non viene identificato come un dispositivo paradigmatico della cultura occidentale che ha legalizzato la colonizzazione ridefinendola “guerra d’esportazione”. Tutto viene ridotto alla personificazione dell’orrore come se Benjamin Netanyahu e il suo governo fossero dei corpi estranei in una società tutto sommato sana, come in fin dei conti lo è quella rappresentata dalle fondazioni, dai club e dalle associazioni che analizzano la solidarietà globale.
Motivo per cui i palestinesi non incorporano più quel popolo sprovvisto di ricchezze o di contropartite da offrire per salvarsi dalla mentalità predatoria di uno stato ultra-capitalista, quale è Israele. Diventano una massa oscura, spoliticizzata nel suo errare per la sopravvivenza, priva di nazione, spogliata della sua lotta di autodeterminazione. Adatta a essere assorbita nella generica categoria di migrante quando la sua vita è stata ormai rasa al suolo.
E di concerto non è un’indignazione che sconquassa le nostre strade che, tranne per qualche nostalgico novecentesco, continuano a essere percorse con placida leggerezza. I liberal non ce la fanno ad associare imperialismo e conflitto sociale, a concatenare le due dinamiche, a rappresentare la questione palestinese come espressione fondante della lotta di classe.
La cultura del minimalismo progressista, quella dell’accigliato cinema italiano, per esempio, che sfila indifferentemente per Gaza e contro l’Iran, non permette di associare la guerra al salario, al lavoro, ai servizi, alla sicurezza, alle pensioni che i capitalisti combattono senza avversari da trent’anni con la soluzione finale dei palestinesi. Non lo permette perché l’essenza della democrazia è la politicizzazione del conflitto, poco incline questo a farsi guidare da influencer e celebrità. Né da partiti di cartapesta.
FONTE: https://www.facebook.com/share/1AbDoVB1HQ/





Commenti recenti