I sovranisti tra divulgazione e militanza politica
Nei commenti a un recente post di Mattia Corsini si è sviluppato un interessante dibattito sulla opportunità di proseguire esclusivamente l'opera di divulgazione nonché penetrazione dei partiti tradizionali ovvero sulla necessità di iniziare a lavorare per la costituzione di un partito politico sovranista. La mia impressione è che tra i partecipanti al dibattito e tra coloro che in altra sede si sono espressi su questo tema non esistano posizioni molto differenti; più precisamente, taluni fraintendimenti inducono a credere che le differenze siano superiori rispetto alla realtà che si svela dopo un'attenta analisi.
Fare subito un partito antieuro?
Scrive Carmen di Voci dall'estero: "Ma non è che in questo voler fare subito un partito anti euro, unendo tutte le variegate piccole realtà fuori dal PUDE, si manifesti in fondo un ottimismo della volontà che vuole buttare il cuore oltre l'ostacolo, senza sapersi ben regolare sui dati della realtà?".
Sono perfettamente d'accordo con Carmen: costituire un partito antieuro "subito" significherebbe manifestare "un ottimismo della volontà che vuole buttare il cuore oltre l'ostacolo, senza sapersi ben regolare sui dati della realtà"
Orbene può darsi anche che esista qualcuno che voglia "fare subito un partito antieuro" ma questa certamente non è la posizione dell'ARS e quindi di Mattia Corsini. Nel marzo 2012 ci costituimmo in associazione proprio perché ci appariva velleitario e infantile dar vita ad un movimento politico (figuriamoci un partito). Ci siamo dati addirittura appuntamento al giugno 2016 per dar vita a quella che abbiamo definito una semplice frazione del movimento o partito o alleanza sovranista. 2016, non 2014. Nel giugno 2014 svolgeremo ancora un'assemblea nazionale dell'ARS. Né conosco altri gruppi, che abbiano almeno un significativo numero di militanti e simpatizzanti, e che abbiano proposto seriamente di costituire subito un "partito antieuro" – tralascio il fatto che per l'ARS la formula banale del "partito antieuro" sarebbe limitata ed erronea.
Quindi non dobbiamo credere che l'alternativa sia costituire un partito antieuro subito o proseguire esclusivamente nell'opera di informazione, divulgazione e penetrazione dei partiti tradizionali. Le cose non stanno così. Si tratta di una falsa prospettiva che pone in alternativa una opzione realistica, sensata e già da tempo praticata (proseguire nella divulgazione, informazione e penetrazione dei partiti esistenti) e una opzione irrealistica, insensata e impossibile da mettere in pratica.
Che significa infatti cercare di "fare subito un partito antieuro"? Che dieci o venti persone, più o meno dotate di autorevolezza nella rete, si mettono assieme a fanno un appello a coloro che nella rete sostengono l'uscita dall'euro o dall'unione europea? Sarebbe una sciocchezza. Ipotizziamo che accada. E poi? Quale tipo di organizzazione prescegliere? Come sceglierla? Un partito non è una rivista o un circolo culturale. La medesima idea di fondo – uscire dall'euro o dall'unione europea – può attirare o meno consensi e militanti a seconda della organizzazione prescelta e può avere vitalità o sciogliersi come neve al sole proprio a causa del tipo di organizzazione. Un partito è un'associazione e quindi una organizzazione collettiva. Non possiamo mica comportarci come Rutelli quando fonda l'API o Fini quando fonda FLI (e si tratta di due fallimenti)! Non abbiamo posizioni di potere; non abbiamo gruppi radicati nei territori; non sappiamo chi ha talune qualità e chi ne ha altre; chi è bene che abbia un tipo di incarico, chi è bene che ne abbia un altro e chi è bene che non abbia incarichi. Non sappiamo chi è pratico e votato all'azione e chi è chiacchierone. Inoltre un partito è una organizzazione che agisce: ha un metodo, una strategia e una tattica. Salvo affidarci a uno o altro idolo – ma allora la prospettiva, già debole, si indebolirebbe ulteriormente, perché si può accettare di stare in un partito del quale sono membri dirigenti che non ci convincono del tutto; ma non si entra in un partito leaderistico se il leader non è da noi profondamente stimato -, prospettiva oltre che debole, mortificante e mortifera, le discussioni sulla teoria e sulla prassi dell'azione sarebbero interminabili, come quelle sul tipo di organizzazione, perché si svolgerebbero immerse in un fluido, senza appigli stabili.
Insomma, che si debba costituire subito un partito antieuro è idea ingenua, priva di ogni fondamento, almeno se si aspiri a costituire un partito che rifaccia la storia d'Italia.
La vera alternativa alla semplice divulgazione.
Qual è, dunque, l'alternativa alla semplice divugazione e alla penetrazione dei partiti esistenti? Credo che sia la prospettiva scelta dall'ARS (che tuttavia divulga ma è assolutaente disinteressata alla penetrazione dei partiti esistenti). Una prospettiva che dica: bisogna approfittare della crisi generata dall'euro, delle riflessioni che stiamo svolgendo, delle nozioni che stiamo apprendendo, delle nuove valutazioni che stanno emergendo. Bisogna approfittare di tutto ciò per costituire un partito che rifaccia la storia d'Italia e assuma come guida la disciplina costituzionale dei rapporti economici. L'ARS non divulga semplicemente ma promuove la militanza, crea una rete sovranista, la organizza, impegna le persone, genera fede.
Rimproverare Bagnai? No, sollecitare i bagnaiani.
Perciò, se un rimprovero si può muovere a Borghi e Bagnai, non è certo che essi cercano di penetrare i partiti esistenti, scelta legittima e opportuna, considerate le loro qualità e le loro vocazioni. E nemmeno li si può rimproverare di non svolgere un ruolo che o non vogliono o non possono o non sono in grado di svolgere o che da essi non è reputato utile tenuto conto che le risorse e il tempo sono scarsi ed essi pensano di avere altro da fare: ognuno può compiere soltanto le azioni in cui crede e che pensa utili. No, li si può rimproverare soltanto del fatto che vadano dicendo e scrivendo che il partito non si deve costituire: non soltanto non si deve costituire "subito"; non si deve costituire nemmeno tra due anni. Questa presa di posizione potrebbe spingere le persone che li seguono a non agire, a non tentare di muovere i primi passi per la costituzione di un'altra frazione dell'alleanza sovranista o a non aggregarsi ai gruppi esistenti, a non iniziare quell'attività virtuosa che, nelle svariate cittadine italiane, può creare comunanza, stima, amicizia e generare classe dirigente.
Tuttavia sarebbe un rimprovero assai ingeneroso, perché essi stanno svolgendo comunque un lavoro egregio: non pochi membri dell'ARS, credo una ventina, sono stati frequentatori assidui del blog di Bagnai e moltissimi altri sono stati formati al sovranismo anche da Bagnai; e anche i sovranisti pentastellati credono debbano parecchio a Borghi e Bagnai. Insomma, se è vero che Bagnai e Borghi non intendono, per ora, promuovere una frazione del movimento sovranista, è anche vero che molti loro lettori – direi senz'altro i migliori – hanno l'intelligenza e la coscienza per capire ciò che devono fare, nonché carattere e autonomia per agire di conseguenza. Chi avverte il desiderio e il dovere di militanza può certamente adempiere il dovere e soddisfare il desiderio, costituendo un nuovo gruppo o entrando in uno di quelli esistenti. Coloro che avvertono il desiderio e il dovere ma non militano, perché Bagnai e Borghi sostengono che il nuovo partito non si deve costituire, sono classici fans, immaturi, che non sarebbero molto utili nemmeno se militassero: anzi sarebbero dannosi.
Insomma, Mattia, lasciamo lavorare Borghi e Bagnai e interessiamoci ai bagnaiani, in particolare ai migliori di loro. Questi ultimi possono certamente fare di più rispetto a ciò che fanno. E il medesimo discorso, credo, può essere svolto per Barnard e i barnardiani.
Servono denaro e grande sacrificio?
Sempre commentando il post di Mattia Corsini, scrive Luciano Barra Caracciolo: "un'organizzazione che parte dalla base, e non sia condizionata dall'alto (dai detentori dei mezzi di finanziamento) esige uno sforzo concreto ed attuale, organizzativo e finanziario, nonchè di tempo, che pare, allo stato, trascendere la effettiva DISPONIBILITA' di coloro che, pure, vorrebbero "di più". La domanda è: cosa si è disposti a fare in termini pratici ed attuali, anche a costo, inevitabilmente e in una certa misura, di sacrificare le proprie opportunità sociali e anche lavorative?
Questa domanda è per ciascuno di noi, perchè per ciascuno di noi 'suona la campana'".
Non credo che in questo momento serva denaro. Se l'obiettivo è costruire una rete di sovranisti, magari composta di quattro o cinque frazioni, che raggiunga il numero complessivo di circa 10.000 militanti, il denaro non serve. Così come il denaro non serve per organizzare la rete man mano che essa si va estendendo. Tre miltanti che vivano in una contrada di 100.000 persone hanno forse bisogno di denaro per andare a cercare i vecchi compagni di scuola, i migliori professori di liceo, le persone con le quali è casualmente capitato di parlare e che sembrano avere idee sovraniste, per organizzare riunioni in casa o in una sala caffè, o per uscire in pubblico in una piazza, in occasione di una sagra o per girare per la città con un altoparlante? Perché i tre costituiscano un gruppo di 25 persone non serve denaro. Certo, qualche soldo servirà quando si vuole organizzare un evento, per pagare la sala e stampare le locandine. Ma si tratta di poca cosa.
Ciò che serve non è il denaro, bensì il lavoro: il lavoro e l'impegno di militanza.
Quanto tempo, quanto sacrificio? Meno di quanto si pensi. O meglio, non tutti militano allo stesso modo. Tuttavia, se si è inseriti in una struttura che funziona, in una rete organizzata, anche chi compie azioni di militanza soltanto su sollecitazione è utilissimo. L'organizzazione serve proprio a questo: a massimizzare l'efficacia dell'azione. I Mattia Corsini, gli Stefano D'Andrea, i Lorenzo D'Onofrio, Andrea Franceschelli, Aaron Paradiso, Anna Biancalani, Roberto Bertelè e moltissimi altri (credo che nell'ARS ce ne siano già almeno cinquanta), insomma gli idealisti che ardono dalla passione e non avvertono il sacrificio o comunque provano un piacere nettamente superiore, si trovano. Ce ne sono moltissimi. Essi sono i capitani. Ma un esercito non è formato soltanto da capitani, bensì anche da soldati, che compiono l'azione richiesta e da altri organizzata: promuovono un incontro nella loro cittadina; partecipano ad un volantinaggio pubblico; invitano un amico o un conoscente a prendere una birra per cercare di coinvolgerlo nel progetto.
Poi, se la cosa funziona, se la rete si ingrandisce, se il proselitismo dà risultati, se si ritrovano assieme vive intelligenze, se la disciplina, fondamento dell'organizzazione, rende fertile ogni azione, le cose cambiano e la iniziale simpatia diventa apprezzamento, poi adesione convinta, poi fiducia e in fine fede. Ed ecco che il soldato si trasforma in capitano e alla semplice disciplina si affianca la passione.
E' la politica nel senso più nobile del termine.
Caro Stefano,
e se il problema di un partito antieuro fosse di natura diversa da quella che tu tratteggi in questo articolo? Se non si trattasse di tempi più o meno adeguati a questa impresa?
A me in verità sembra che sui tempi non si possa scherzare, ogni giorno che passa, un pezzo di competenze produttive dell'Italia sparisce, depauperando così la nostra nazione della cosa più preziosa, il know how. Questo aspetto mi preoccupa perfino di più dell'abbassamento delle condizioni di vita media delle famiglie italiane, come stiamo riducendo le capacità di spesa, nulla vieta che anche velocemente possiamo recuperare, ma guai se perdiamo la stessa capacità di produrre quanto ci serve, cioè la precondizione per disporre del necessario per vivere dignitosamente.
Dicevo quindi che non possiamo aspettare di essere pronti, sono le condizioni storiche che impongono certi passaggi, non li possiamo scegliere noi.
A me pare piuttosto che abbia poco senso costituire un partito antieuro, che risulterebbe troppo legato a condizioni del tutto contingenti e non avrebbe quindi un respiro di lunga durata. Nello stesso tempo, una parola d'ordine così correlata strettamente al momento storico, risulterebbe estremamente ambigua.
In sostanza, due posizioni si confrontano nel movimento antieuro. Da un a parte, c'è chi ritiene che uscire dall'euro risolva ogni problema, ci consegni a un futuro radioso di prosperità economica. L'ARS sostiene la necessità anche di uscire dalla UE e si colloca in una posizone intermedia.
L'altra posizione è invece di chi ritiene che stare nell'eurozona ci abbia esposto in modo particolarmente grave, si potrebbe dire legandoci mani e piedi, ad una crisi che tuttavia esiste indipendentemente dall'euro. Si tratta del problema del debito privato, quello delle grandi banche soprattutto di area anglosassone, che finora si è rivelata del tutto resistente alle terapie messe in atto dagli stati.
Ecco, mi pare che il primo gruppo di antieuro ignori del tutto la natura della crisi globale, sollecitando appunto l'adozione anche da noi di quelle stesse politiche economiche che in quell'area, fonte stessa della crisi, sono state già ampiamente adottate, ma senza risolvere minimamente il problema delle insolvenze bancarie, riuscendo solo a postergare il problema.
Come ho scritto proprio oggi sul mio blog, bisognerebbe preparare già dalle prossime elezioni europee una lista contro la globalizzazione, perchè il punto fondamentale sta lì, non nell'avere politiche più o meno espansive, ma nell'opporre alla dittatura della cupola finanziaria globale le sovranità nazionali. A mio parere, qualsiasi proposta politica che ignori questo che rappresenta il cuore del problema che abbiamo di fronte, è acqua fresca, non risolve alcunchè, magari serve all'Italia per entrare in crisi assieme agli USA invece di esserlo in anticipo come ci costringe l'ordine tedesco della UE, ma chiudere gli occhi di fronte al fatto che le questioni in gioco siano ben più ampie di una questione esclusivamente monetaria, credo sia un errore tragico.
C'è un ulteriore aspetto che va considerato, se come io credo questa è uan crisi epocale del capitalismo, trovo criminale che di fronte all'opinione pubblica si minimizzi la svolta che siamo costretti a compiere facendo loro credere che basti cambiare elementi di dettaglio per superare la crisi. Abbiamo bisogno di una rivoluzione culturale, non di manovre da compiersi tra esperti nel chiuso di qualche organismo internazionale.
Caro Vincenzo,
sebbene sotto il profilo teorico e dei valori io e te la pensiamo esattamente allo stesso modo (almeno a me così sembra), ci capiamo poco o non ci capiamo proprio quando parliamo di azione (politica).
Tu vorresti di più, almeno al livello delle declamazioni, sotto il profilo delle proposte del partito (partito contrario alla globalizzazione tout court) e ti accontenteresti di meno nell'immediato (una semplice lista antiglobalizzazione per le europee).
Trascuriamo per ora il primo profilo e quindi diamo per scontato che in questo momento storico, in Italia, sia il momento per la nascita di un forte partito antiglobalizzazione. Su questo punto torneremo in seguito. Per ora limitiamo il dialogo al secondo profilo. Ti chiedo di ipotizzare un percorso, perché io non ho davvero capito cosa proponi.
Come si fa questa lista antiglobalizzazione? Dico come la si fa evitando fallimenti (altrimenti che la si fa a fare?) ma in modo da ottenere un dignitoso risultato che galvanizzi e attiri altro consenso. Allora come la si fa? Chi prende l'iniziativa? Chi sceglie i 72 candidati? Chi sceglie il linguaggio? Chi decide di escludere il termine signoraggio o di includerlo? Chi persuade i "perdenti" ad accettare un linguaggio che rifiutano. Chi sceglie le figure che appariranno in TV? Chi raccoglie le (e conta l'esistenza di) 5000 persone per ognuna delle cinque circoscrizioni, deputate a raccogliere le 30.000-35000 firme necessarie in ognuna delle cinque circoscrizioni? Chi scrive il programma addirittura antiglobalizzazione (e non solo no euro o no UE)? Chi si impegna a persuadere coloro che credono più opportuno (non giusto teoticamente ma opportuno politicamente, ossia praticamente) un programma no euro o no UE? Hai intenzione di perder tempo a convincere i partiti della sinistra radicale ad aderire alla lista antiglobalizzazione, quando non sono no UE e bocceranno un emendamento no euro che pure è stato proposto (per il congresso di Rifondazione)? Chi convince Bagnai e Borghi a partecipare? Chi convince Barnard? Chi convince i primi e il secondo a stare insieme? La lista nascerebbe da una unione di persone o di gruppi? Chi assicura che il gruppetto o i gruppetti dominanti non riescano ad eleggere i loro deputati e poi, forti del risultato abbandonino il progetto perché caotico e contraddittorio (ammesso che ilprogetto abbia possibilità di ottenere qualche risultato)? Come si assicura la disciplina di partito? Perché pensi che la costituzione di una lista elettorale per le europee sia la strada migliore per formare il partito antiglobalizzazione? Fammi capire. Io davvero non ho la più pallida idea di cosa parli quando proponi una lista antiglobalizzazione alle europee. Ti prego di scrivere, in risposta a questo mio commento, un progettino che dia almeno una vaga e preliminare risposta a questi e ad altri simili interrogativi, insomma un progetto preliminare.
Caro Stefano,
grazie dell'interessante replica.
In effetti, il programmino che mi chiedi di illustrare non esiste, ma ammetterai con me che i buoi devono stare davanti e non dietro il carro.
Vedi, io credo che esista in Italia, ma forse è un problema che coinvolge un po' tutto l'occidente, una crisi di classe dirigente.
Se guardo alle recenti elezioni politiche nazionali, vedo il M5S che ha conquistato alla sua prima uscita in questo tipo di elezioni, più di un quarto dei voti espressi, e ciò mi suggerisce che. in presenza di una totale sfiducia nella classe politica, la voglia di cambiamento c'è, non difetta nella gente comune. Se perfino il vuoto di proposta politica di un Grillo qualsiasi è in grado di aggregare tanti consensi, significa che la mobilità elettorale è forte.
Tuttavia, un altro elemento è necessario per far fruttare questa generica disponibilità al cambiamento della gente, la definizione di una classe dirigente alternativa, in grado davvero di trasformare questa società.
E' proprio da questo versante che dobbiamo nostro malgrado registrare un gravissimo deficit. Seppure studi teorici ce ne siano, seppure sarebbe possibile con uno sforzo collettivo dare concretezza ad idee non ancora sufficientemente organiche, manca il gradino intermedio, quella avanguardia che possa praticare quelle idee e farsi veicolo di diffusione. Manca perchè è difficile sfuggire al pensiero dominante, sopratuttto in un'epoca in cui si fugge dalle letture, dai momenti di riflessione solitaria che pure ci devono essere, ed invece prevale la presunzione di saperne abbastanza e sopratutto più degli altri solo perchè magari si legge la stampa regolarmente.
Insomma, poche persone sono in grado di analizzare criticamente la realtà, e questi pochi tendono ad essere litigiosi e a non sapere fare squadra, sottovalutando l'importanza di avere momenti di mediazione e confronto collettivo.
Riuscire a far uscire dall'apatia questo ceto intellettuale inerme e tendenzialmente omologato al pensiero dominante, è la scommessa più alta. Forse l'unica strategia è quella di buttarli in acqua, così che debbano imparare a nuotare subito per evitare di affogare.
Nella presente contingenza, un pensatore solitario come me può soltanto lanciare un'iniziativa e vedere innazitutto se c'è consenso sulle idee di fondo e sugli obiettivi da conseguire. Il senso di questo proporre sta nel fatto che intanto il consenso sull'iniziativa è conditio sine qua non per organizzarne la realizzazione.
Tu mi chiedi come io voglia organizzarla e con chi, come assicurarne il successo, ma immagino che sia un arteficio retorico, è evidente che per quello che sono, non sono in grado in alcun modo di costruire un'ipotesi organizzativa bella e pronta da consegnare ad eventuali partners.
Tuttavia, perchè escludere che essa possa fungere da catalizzatore di collaborazioni, che ci sia chi più di me ha capacità e possibilità organizzative, che si manifesti una forza di aggregazione magari maggiore di quanto prevedibile a freddo?
Per la mia personale posizione, anche per motivazioni strettamente anagrafiche, temo che il mio ruolo in commedia difficilmente possa andare molto oltre una certa capacità che mi riconosco di analisi e proposta.
Dopotutto, sono le idee che cambiano il mondo, ed io credo che ciò sia vero anche nel terzo millennio.
Vincenzo, condivido tutto ciò che mi hai scritto come risposta.
Anche io fino a poco tempo fa mi consideravo un teorico solitario. Poi, in ragione del fatto che mi sono nati i figli, e certamente dell'età più giovane della tua, ho deciso di agire.
La mia azione si è già trasformata in un'azione collettiva, oggi di quasi deucento persone (a parte i simpatizzanti e chi sta per entrare), però con due notizie fresche che annunciano entrate in gruppo. Bene, anche queste felici notizie che ovviamente attendevamo con gioia, pongono problemi, perché quando in un gruppo di duecento cominciano ad entrare quaranta persone in una provincia e trenta in un'altra, bisogna parlare con chiarezza. Avendo io previsto che il fenomeno potesse accadere e i rischi gravi che esso poteva comportare, in mancanza di una disciplina rigorosa, avevo inserito nell'atto costitutivo una clausola che prevede l'iscrizione soltanto di persone fisiche, non di collettivi o associazioni, clausola che fino ad ora ci ha fatto perdere alcune iscrizioni di persone che evidentemente non erano mature per l'ars. Quindi saranno necessarie lunghe chiacchierate (non trattative; non c'è niente da trattare) per accertare e far dichiarare che si entra nell'ARS in gruppo come somma di singole persone, che non c'è alcun "noi" all'interno dell'ARS, se non l'ARS stessa. Anche la provenienza dei due gruppi è molto diversa. Senza una forte disciplina e senza il pugno di ferro, quando qualcuno sgarra, un progetto come quello dell'ARS, ossia un progetto unitario, con linguaggio comune e non radicale nel senso di declamistico (siamo estremisti ma non fanatici), che implica rinunce (ci sono un paragrafo del progetto e un paragrafo del documento di analisi e proposte che impongono a tutti delle rinunce), non ha nessuna speranza di andare in porto.
Quindi, oltre a una teoria dei contenuti (analisi e proposte) serve una teoria dell'organizzazione (dell'ARS) e una teoria dell'azione (dell'organizzazione, la quale agisce). Come vedi era necessario prevedere che alcuni gruppi volessero entrare come tali e porre una disciplina e prevedere espressamente che nell'ARS entra soltanto chi è capace di rinunciare a parte del suo pensiero e del suo linguaggio.
La mia idea è che soltanto organizzazioni collettive come l'ARS si possano un giorno sedere attorno a un tavolo e dire: noi siamo presenti qua e qua. Poi sommare la radicazione territoriale in modo da coprire quasi tutto il territorio nazionale. Quindi assicurare che ogni gruppo è coeso e disciplinato, perché si è costruito con disciplina da un bel po' di tempo, nonché una rete di collegamenti territoriali. Infine aver prodotto in nuce una nuova classe dirigente, composta da persone che si sono impegnate con abnegazione, che hanno dedicato tempo alla costruzione del progetto quando sembrava un sogno visionario, che hanno dimostrato di saper parlare e capire testi complessi. A quel punto la lista elettorale ma anche una vera alleanza si fa in quarantotto ore. Per il partito serve altro: serve una chiara egemonia di uno o due gruppi; serve che la sorte voglia che i capi di questi due o tre gruppi abbiano uno spirito unitario e animo altruistico. E altro ancora.
Come vedi, noi una teoria dell'organizzazione e una teoria dell'azione la possediamo, perché abbiamo riflettuto. Se siano rigorose e se siano migliorabili non lo so. Però noi ci crediamo e andiamo avanti. E ti assicuro che stanno dando risultati, molto maggiori di quelli che si vedono sulla rete: noi usiamo la rete per organizzarci, non per acquisire notorietà. A noi non interessa, per ora, il pubblico (la domanda) al quale rivolgere l'offerta politica, bensì creare l'offerta politica (idee, uomini, organizzazione, strategia dell'azione).
Le porte sono aperte. Certamente tu potresti darci una mano sul territorio in cui vivi. In fondo, salvo quattro o cinque persone che stanno dando tutte se stesse, gli altri militanti, anche quelli che lavorano di più, stanno agendo nei loro territori, come è giusto e logico che avvenga.
Mi permetto di parte al confronto sul tema: fare il partito subito o poi.
Premetto di avere ,proprio di recente, dato la mia adesione ad ARS dopo aver percorso cammini diversi quali l' esperienza NOEURO.
Un partito antieuro ha già fatto la sua comparsa, NOEURO infatti si persento in varie competizioni elettorali da quella nazionale, regionale e locale conseguendo nel 2002 un consigliere regionale in Piemonte ed alcuni consiglieri comunali in alleanza con liste locali.
Le ragioni che spinsero alla costituzione del partito, con assemblea costituente a Milano, furono le stesse oggi proposte da Vincenzo Cucinotta ma il risultato fu un sogno svanito perchè il cosidetto partito poteva contare su qualche centinaio di individualità, più o meno idealisti ardenti di passione, senza organizzazione territoriale e dovendo mendicare sostegni organizzativi da altri.
Oggi scontiamo,come allora, un sentimento contro e non a favore per cui va costruito il passaggio di opinione da a favore per non ripetere l'errore del passato.
La mia modestissima condivisione è con chi ritiene prioritario la creazione di una rete militante non solo impegnata a diffondere il messaggio ma capace di organizzare in positivo l'atteggiamento contro frutto del contributo di persone come Bagnai, Borghi, Barnard, Fusaro ed altri.
Chi divulga , siano essi persone o gruppi, tesi sovraniste sono ben accetti sta alla capacità di sintesi politica di ARS trasformare in consenso a favore l'atteggiamento contro.
Chi sostiene la tesi della urgenza della costituzione in partito di ARS in realtà sostiene la necessità di essere presenti con la lista elettorale alle Europee, a me pare che le condizioni politico-organizzative non permettano ciò, credo invece che si potrebbe considerare la eventualità di presentare liste in alcune località laddove ci sia una organizzazione capace di sostenerle.
Per uscire dagli ambiti delle conferenze ristrette e della rete,che vanno ovviamente sostenute con il massimo impegno possibile, si potrebbero immaginare iniziative in strada con campagne a favore da definire quale una proposta di legge popolare o i Buoni di Scambio locali ( no Scec per intenderci).
Iniziative di strada permetterebbero di poter accedere a mezzi di comunicazione locale che se non ostili sono sicuramente indifferenti.
Caro Valter,
ferma la linea direttiva tracciata dal Comitato direttivo sulle modalità dellamilitanza, c'è un ampia autonomia locale. A Genova tra novembre e cicembre usciranno quattro volte, con modalità che ci hanno narrato nel comitato direttivo. Vedremo i risultati che dà. Personalmente sono molto curioso. In tutti i luoghi dove sono grandi o medie università bisogna ricorrere anche al vecchio volantinaggio.
Sulle "campagne" ho qualche dubbio ma ne parleremo.
A presto