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La Libia e il diritto internazionale

di Claudio.Martini · 7 Aprile 2011

Originale di Curtis Doebbler, consultabile attraverso queso link http://www.uruknet.info/?p=m76302&hd=&size=1&l=e,

Traduzione di Claudio Martini

Il 19 marzo 2011 le nazioni occidentali hanno intrapreso il terzo conflitto armato contro un paese musulmano nel giro di dieci anni. Hanno provato in tutti i modi di dimostrare che l'uso della forza contro la Libia era legale, ma l'applicazione ai fatti del diritto internazionale chiarisce che non lo è.

Questo breve intervento analizza l'uso della forza contro la Libia, iniziando con la risoluzione del Consiglio di Sicurezza n. 1973 che lo autorizza per finire con l'attacco vero e proprio.

I FATTI: A differenza delle manifestazioni non-violente in Egitto, Tunisia, Bahrain, Yemen, Arabia Saudita e in altre parti del mondo arabo, quelle cominciate ìn Libia il 17 febbraio sono degenerate in pochi giorni in guerra civile. Entrambe le parti hanno fatto uso di carri armati, aerei da combattimento, artiglieria pesante e armi anti-aeree. Le forze governative consistevano di truppe addestrate , mentre l'opposizione armata era costituita sia da soldati ribelli sia da civili che avevano imbracciato le armi.

La forza a disposizione di entrambe le parti si è manifestata sabato 19 marzo, quando vennero abbattuti nei pressi di Bengasi sia un aereo governativo sia un aereo messo in volo dai ribelli. Con l'intensificarsi della guerra civile la comunità internazionale cominciò a contemplare azioni di supporto all'opposizione armata. Il 17 marzo il Consiglio di Sicurezza dell'ONU adottò la risoluzione n.1973; entro 42 ore gli attacchi contro le truppe libiche, diretti, secondo il ministro della difesa britannico William Hague, all'eliminazione fisica del leader libico, erano cominciati.

Attorno alle 12 ,ore locale di Washington D.C., di sabato 19 marzo, velivoli francesi bombardavano obiettivi descritti come carri armati e postazioni contraeree. Poche ore dopo, navi da guerra americane sparavano missili da crociera su bersagli libici.

Benché paesi arabi e musulmani si siano uniti alla coalizione contro un loro vicino arabo e musulmanto, nessuno di loro ha effettivamente partecipato con aerei propri ai bombardamenti. Subito dopo i primi attachi la Russia, la Cina, e il segretario della Lega Araba, l'egiziano Amr Moussa, hanno condannato la perdita di vite di civili a causa dei bombardamenti.

Nonostante le smentite sull'intenzione di colpire il leader libico, siti come la residenza e il quartier generale del colonnello Muammar Qaddafi sono stati attaccati.

Dopo i primi giorni di bombardamenti, si contano dozzine di vittime, tra cui donne e bambini.

Gli attacchi sono venuti a seguito della risoluzione n. 1973 del Consiglio di Sicurezza. In risposta a tale risoluzione il governo libico dichiarò ufficialmente il cessate il fuoco nella guerra civile ingaggiata contro la rivolta armata, la cui base è Bengasi. La libia annunciò inoltre di aver chiuso il suo spazio aereo. I leader occidentali reagirono a queste mosse del governo libico definendole non credibili, e affermando che i combattimenti stavano continuando. Quel che è certo è che fonti libiche hanno confermato che il conflitto non stava cessando, e che da entrambe le parti continuavano a partire attacchi.

LA RISOLUZIONE DELL'ONU: La risoluzione 1973 è stata adottata in base del capitolo VII dello Statuto ONU con dieci voti a favore, nessuno contrario e cinque astensioni. Hanno votato a favore tre membri permanenti del Consiglio, gli USA, il Regno Unito e la Francia, e sette membri non permanenti come la Bosnia, la Colombia, il Gabon, il Portogallo, il Libano, la Nigeria e il Sud Africa. Fra gli astenuti ci sono Russia e Cina, membri permanti, India, Germania e Brasile, membri non permanenti.

La risoluzione è stata approvata giovedì 17 marzo, alle 18:30 ora di New York. L'ambasciatrice USA Susan Rice l'ha descritta come un rafforzamento delle sanzioni e dei divieti imposti con la precedente risoluzione del Consiglio, la 1970. è stata promossa dalla Francia e dal Regno unito, ma con una forte presenza degli Usa a tirare le fila.

All'incontro del Consiglio di Sicurezza era presente il nuovo ministro degli esteri francese Alain Juppé. Anche se, in quanto ex-primo ministro, non era nuovo alle Nazioni Unite, egli è arrivato dopo solo una settimana dalle dimissioni del suo predecessore, accusato di aver accettato favori da un uomo d'affari libico, e pochi giorni dopo che il suo governo divenisse il primo nell'occidente a riconoscere come legittime rappresentanti del popolo libico le forze che combattevano il governo nella nascente guerra civile.

Il governo libico era privo di rappresentanti all'incontro, dato che al suo appena nominato ambasciatore, l'ex presidente dell'assemblea generale Ali Abdel-Salam Treki, era stato negato l'accesso agli Stati Uniti. Tuttavia, anche se ufficialmente sollevato dai suoi incarichi più di una settimana fa, in quanto passato all'opposizione, l'ex vice rappresentante permanente Ibrahim Dabbashi era presente al presidio media del Consiglio di sicurezza a fare dichiarazioni e a rispondere a domande.

La Risoluzione 1973 contiene 29 paragrafi operativi divisi in otto sezioni. La prima sezione chiede un "immediato cessate il fuoco"nel suo primo comma, e il rispetto del diritto internazionale, che comporta "il passaggio rapido e senza ostacoli dell'assistenza umanitaria."

Un curioso secondo comma "sottolinea la necessità di intensificare gli sforzi per trovare una soluzione alla crisi" e continua a qualificare questo come una risposta "alle esigenze legittime del popolo libico" e che porta a "le riforme politiche necessarie per trovare una soluzione pacifica e una soluzione sostenibile ". Tale linguaggio vago lascia aperta sia la questione di quali legittime richieste provenienti dalla Libia debbano essere soddisfatte e quali riforme politiche siano necessarie. Inoltre, giuridicamente tali requisiti appaiono come una diretta interferenza negli affari interni della Libia in violazione dell'articolo 2 della Carta delle Nazioni Unite, a cui sono vincolate tutte le risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, ai sensi dell'articolo 25 della Carta. Questa discrepanza apparentemente inconciliabile lascia adito al dubbio che la risoluzione costituisca un un ennesimo oltraggio alla legalità internazionale.

I paragrafi 4 e 5 riguardano la protezione dei civili, con l'ultimo paragrafo che si concentra sulla responsabilità regionale della Lega araba.

Il più lungo dispositivo della risoluzione, cioè i paragrafi da 6 a 12, è poi dedicato alla creazione di una zona no-fly zone. L'articolo 6 introduce la no-fly zone "su tutti i voli nello spazio aereo della Libia, al fine di contribuire a proteggere i civili". Il paragrafo 7 elenca poi diverse eccezioni umanitarie.

è forse sul paragrafo 8 che si concentrerà l'attenzione della maggior parte dei giuristi internazionali; vi è infatti scritto che gli stati possono "prendere tutte le misure necessarie per far rispettare il divieto di voli." L'uso del termine "tutte le misure necessarie" apre la porta all'uso della forza. Allo stesso tempo, l'uso della forza è limitata a far rispettare la no-fly zone e non si estende ai tentativi di uccidere il leader libico o di sostenere una parte nel conflitto armato, anche se impedisce al governo libico di usare la sua forza aerea favorendo, ovviamente, l'opposizione armata.

Il paragrafo 8 è inusitato, in quanto sembra autorizzare l'uso della forza in base al capitolo VII, senza applicare alcuna delle garanzie che pure sonopreviste all'articolo 41. Non vi è alcuna dimostrazione del fatto che le misure alternative all'uso della forza siano fallite. In effetti, la risoluzione 1973 è stato adottato dopo il Consiglio di sicurezza dell'ONU, il Consiglio dei diritti dell'uomo e l'Unione africana avevano deciso di inviare missioni per contribuire ad una soluzione pacifica del conflitto, ma prima che una qualsiasi di queste missioni avessero potuto mettere piede in Lbia Libia. Inoltre, la Risoluzione 1973 è stata adottata dopo che un'offerta da parte del leader libico di dimettersi e lasciare il paese con la sua famiglia era stata respinta dall'opposizione armata, senza spazio per i negoziati.

I paragrafi da 13 a 16 richiedono un embargo sulle armi e "deplora i flussi continui di mercenari" in Libia. In tal modo, il paragrafo 13 decide che il paragrafo 11 della risoluzione UNSC 1970 (2011), è sostituito con un nuovo paragrafo che "autorizza gli Stati membri ad utilizzare tutte le misure proporzionate alle circostanze specifiche per realizzare tali ispezioni". Anche in questo linguaggio indica che la forza può essere usata contro tutte le imbarcazioni sospettate di trasportare armi verso la Libia in violazione dell'embargo.

Secondo i paragrafi 17 e 18, gli Stati sono tenuti a negare il decollo, i diritti di atterraggio o il sorvolo a "tutti gli aeromobili registrati in Libia o posseduti o gestiti da cittadini libici o da società libiche ". Anche se è chiaramente indicato che tali disposizioni non pregiudicano i voli umanitari, esse senza dubbio complicheranno l'effettuazione di tali voli. […]

LA PERCEZIONE DEL PUBBLICO: Nel momento in cui a risoluzione era di dominio pubblico, tabloid e manifesti stavano già chiamando a raccolta il mondo per la guerra. I francesi si ritrovavano in un incontro che viene descritto come l'incontro pianificatore dell'attacco. E mentre il presidente americano rimaneva prudentemente ambiguo altri funzionari degli Stati Uniti chiedevano apertamente un intervento militare in quella che era ormai diventata la guerra civile libica.

Nella furia emotiva, il diritto internazionale sembra essere stato dimenticato. Un commentatore della BBC si spinse fino a suggerire che il sostegno politico della Lega araba per la no-fly zone era una giustificazione legale per l'uso della forza.I precedenti interventi in Afghanistan e in Iraq, che sono ampiamente considerati come una violazione del diritto internazionale, non sembrano aver impressionato granché i giornalisti inglesi.

I giornalisti sembravano perlopiù a digiuno di diritto internazionale nelle loro considerazione sulla Libia, spesso invocanti l'invasione di un paese sovrano, nonostante il fatto che non solo l'articolo 2 (4) della Carta dell'Onu vieta un tale uso della forza, ma così fa anche la stessa lettera della risoluzione UNSC 1973.

Anche gli oppositori dell'uso della forza sembrano ignorare la legislazione internazionale applicabile. Il parlamentare britannico Jeremy Corbyn alla Camera dei Comuni, per esempio, ha chiesto: "se usiamo la forza contro la Libia per proteggere una parte in una guerra civile, perchè non la usiamo in Bahrain dove decine di manifestanti disarmati sono stati uccisi da truppe di quella nazione e da forze straniere, o nello Yemen dove circa 50 manifestanti pacifici sono stati abbattuti da cecchini dell'esercito?" Questa domanda almeno sembra di capire il fatto che il diritto internazionale, per avere un reale valore nelle relazioni internazionali, deve essere applicato, in situazioni analoghe, in modo analogo. La mancata applicazione della legge in modo coerente nuoce gravemente alla sua credibilità e alla sua capacità di essere vincolante.

DIRITTO INTERNAZIONALE: Anche se le decisioni riguardo l'uso della forza contro la Libia sembrano essere state basate più sulle emozioni che sulla comprensione della legge, questa legge non è irrilevante. Il diritto internazionale continuerà a rispecchiare le regole generali che gli Stati utilizzano, nei rapporti con l'altro, per molto tempo ancora dopo la fine del conflitto armato in Libia. Esso è anche, si potrebbe suggerire, cruciale per la pace e la sicurezza in un mondo fatto di persone di diversi valori e interessi.

Il principio fondamentale del diritto internazionale è che nessuno Stato deve usare la forza contro un altro stato. Questo principio è espressamente previsto all'articolo 2, comma 4, della Carta delle Nazioni Unite. Nessuno Stato può violare questo principio del diritto internazionale.

Mentre il Consiglio di sicurezza dell'ONU può ordinare l'uso della forza in casi eccezionali, ai sensi dell'articolo 24 (2) della Carta delle Nazioni Unite, il Consiglio "delibera in conformità con i principi ei fini delle Nazioni Unite". Ciò significa che quando i mezzi pacifici di risoluzione delle controversie sono ancora possibili le opzioni per l'autorizzazione all'uso della forza sono estremamente limitate. Nel caso di specie, il Consiglio di Sicurezza sembra aver avuto fretta di usare la forza.

Limitate eccezioni al divieto dell'uso della forza si trovano all'articolo 51 e del capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite. Le ultime disposizioni, in particolare l'articolo 42, permettono al Consiglio di Sicurezza di adottare misure "necessarie per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale". Entrambe le risoluzioni 1970 e il 1973 sono state adottate ai sensi del capitolo VII. Tuttavia, la seconda non soddisfa i requisiti di cui all'articolo 42, secondo il quale deve essere dimostrato che "le misure, non implicanti l'uso della forza" hanno fallito il loro scopo.

In una guerra civile è difficile vedere come tale dimostrazione può essere fatta. Sembrerebbe che almeno avrebbe dovuto essere basata su fatti raccolti sul terreno. Le missioni di accertamento da parte dei diritti dell'uomo dell'ONU Consiglio e del Consiglio di sicurezza non sono ancora andate in Libia. Mentre non vi è dubbio che i governi occidentali, come gli Stati Uniti, hanno abilità significative per determinare ciò che sta accadendo in Libia con i metodi di sorveglianza a distanza, questo non fornisce sufficienti elementi di prova dal fatto che il governo libico non rispetti le risoluzioni del Consiglio di sicurezza. Solo gli osservatori sul terreno sono in grado di constatarlo, come abbiamo visto in Iraq, dove molta disinformazione è provenuta dai mezzi di osservazione a distanza o da osservatori esterni.

Inoltre, le prove della conformità della Libia sono varie. La Libia ha quasi subito annunciato di voler rispettare i termini della risoluzione UNSC 1973, dopo la sua adozione. Tuttavia, in uno spettacolo senza precedenti di intolleranza diplomatica, e senza la conferma dei fatti sul terreno, i leader occidentali hanno definito il leader libico un bugiardo.

La Libia ha anche offerto di accogliere osservatori internazionali, invitandoli a visitare il paese. E, con una straordinaria concessione, il leader libico ha inviato un messaggio per l'opposizione armata quando essa stava avendo il sopravvento e si stava avvicinando Tripoli, offrendo di dimettersi e di lasciare il paese. E 'stato solo dopo che questa offerta è stata respinta, e i leader dell'opposizione hanno dichiarato che non era negoziabile che il leader libico dovesse essere catturato e ucciso, che le truppe del governo hanno lanciato la loro offensiva.

Se il diritto internazionale consente agli Stati di usare la forza in casi molto limitati, ci sono circostanze ancora meno in cui è consentito ad attori non-statali di usare la forza. Una di quelle circostanze è quando il diritto all'autodeterminazione si esercita contro una occupazione straniera. Questo potrebbe autorizzare gli iracheni o afgani ad usare la forza contro gli eserciti occupanti, ma non darebbe diritto al popolo libico di usare la forza contro il proprio governo.

Anche il diritto extragiudiziale di rivoluzione, che molti giuristi internazionali ammettono esistere quando i limiti della legalità sono stati raggiunti, non è stato esplicitamente invocato da parte dei ribelli libici. La partecipazione al governo della Libia sarà pure stato un problema di vaste proporzioni, ma il paese aveva il più alto reddito pro capite in Africa e tra i migliori indicatori degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio. Inoltre, la Libia ha dimostrato in passato di rispettare il diritto internazionale, attuando le sentenze della Corte internazionale di giustizia nel conflitto con il Ciad e anche ribaltando i sospetti e le discutibili prove del giudizio all'estero sulla vicenda Lockerbie.

Infine, la questione della legittima difesa è stato sollevato per l'uso della forza contro la Libia. Invece di giustificare l'attacco occidentale contro la Libia, tuttavia, sembrerebbe giustificare le azioni intraprese dalla Libia contro gli interessi occidentali. In altre parole, in quanto la Libia è stata oggetto di un attacco armato illegale secondo il diritto internazionale, essa ha il diritto di difendersi. Tale diritto include la realizzazione di attacchi contro strutture militari o personale da qualsiasi paese coinvolto nell'attacco. In altre parole, l'attacco nei confronti della Libia da parte della Francia e degli Stati Uniti rende le strutture militari e il personale di questi paesi legittimi bersagli per gli eventuali attacchi effettuati dalla Libia per legittima difesa.

Indipendentemente dalla legittimità dell'uso della forza da parte di uno dei belligeranti, l diritto internazionale umanitario o le leggi di guerra continueranno ad applicarsi. Secondo la normativa vigente, tutti gli stati coinvolti in un conflitto armato devono fare attenzione a non attaccare i civili. Le autorità libiche hanno affermato di rispettare questa limitazione nella guerra civile, anche se i ribelli hanno confutato questa affermazione. Il diritto internazionale umanitario resclude che alcuna forza militare possa essere direttoa contro i civili o strutture civili in Libia.

Allo stesso modo il diritto internazionale dei diritti umani continua ad applicarsi, rendendo gli attacchi sui civili soggetti alle restrizioni sull'uso della forza che emana dagli attuali obblighi internazionali in materia di diritti umani. Se l'uso della forza contro la Libia è illegale, come suggerito sopra, lo standard che viene utilizzato per determinare se un determinato uso della forza è sproporzionato è quello in vigore in tempo di pace. Questo è il caso perché nessuno degli stati coinvolti nel l'uso della forza contro la Libia ha annunciato una deroga dai suoi obblighi internazionali in materia di diritti umani e in quanto consentire agli Stati di derogare il diritto internazionale anche solo iniziano un attacco sarebbe in contrasto con l'oggetto e lo scopo di tutti gli attuali trattati sui diritti umani.

L'uso della forza in maniera contraria all'attuale normativa internazionale è forse, nel lungo termine, il più grande pericolo per l'umanità. Con il patto di Parigi del 1928 e ancora con a Carta dell Onu del 1945, gli stati si accordarono sul non usare la forza gli uni contro gli altri per raggiungere i propri scopi di politica estera. L'Occidente è sembrato sfidare ripetutamente questi patti negli ultimi 10 anni, in particolare con la sua volontà di intervenire militarmente contro stati a maggioranza musulmana. Nel farlo esso ha mandato alla comunità internazionale un messaggio inequivocabile, e cioè che nonostante le belle parole, la legalità internazionale non vale per tutti. Se questo messaggio non troverà una risposta da chi propugna il diritto internazionale, allora tutti i progressi nell'assicurare che la comunità internazionale rispetti il principio di legalità saranno vanificati.

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