Senza una classe dirigente, il Sud affonda
di FRANCO CASSANO (sociologo; Università di Bari)
Da tempo l’immagine del sud non sommava fotogrammi così inquietanti: la crisi dei rifiuti, il successo di un film aspro come Gomorra, l’aumento del divario dalle altre regioni italiane, l’impennata dell’emigrazione giovanile qualificata. Anche studiosi seri sembrano aver gettato la spugna: la cultura del sud, affermano, con la sua bassissima capacità di formare capitale sociale e senso civico, è irredimibile. E su questo quadro apocalittico arriva implacabile il cinismo degli editoriali che proclamano la necessità di riconoscere “coraggiosamente” la realtà ed emettono un verdetto scontato: federalismo fiscale e secessione dolce del nord dal sud.
Ci sarebbe molto da discutere sul manicheismo interessato di questo quadro, sulle sue omissioni e sulla sua capacità di ridurre il sud ad un’immagine di maniera, in cui l’esaltazione delle patologie e l’irrilevanza delle pagine nuove tornano utili a chi ha puntato tutto sulla priorità della questione settentrionale. E sarebbe sicuramente utile discutere della gracilità culturale del meridionalismo della seconda metà degli anni Novanta, di quel trionfalismo che vantava come una conquista la fine della questione meridionale. Ma il discorso sarebbe lungo, mentre il proposito di queste note è quello più limitato di mettere a fuoco un problema.
L’impressione è che al sud si sia avviato da tempo un processo di regionalizzazione della ragione e che il respiro delle elites politiche ed intellettuali si sia drammaticamente contratto. All’inizio tale contrazione dello sguardo ha probabilmente rappresentato un progresso perché ha sostituito ad una narrazione di maniera l’analisi concreta delle diversità e la costruzione di specifiche politiche territoriali. Ma la regionalizzazione dell’orizzonte comporta anche il rischio che non ci s’interroghi più sulle connessioni tra un sud e l’altro e sul rapporto tra il sud e il contesto nazionale e globale. Il risultato è che oggi ogni regione vive questa crisi del Mezzogiorno chiusa in se stessa e, non riuscendo a vedere una via d’uscita, sente crescere un sentimento di impotenza.
Conviene allora approfittare di questo passaggio difficile per mettere a fuoco alcune delle sindromi che affliggono le diverse sezioni delle classi dirigenti del sud. Non si può che partire da Napoli, noblesse oblige.
Napoli è affetta dalla sindrome della capitale, da un modo di pensare che la porta a vedere le proprie vicende come espressione dell’intero Mezzogiorno e quindi a negare la reale policentricità di esso e la rilevanza e il valore di tutto ciò che accade oltre i propri confini. Questa immagine tradizionale di Napoli come riassunto emblematico del sud è cara non solo a molti napoletani, ma anche a molti opinionisti anche perché offre ad essi un’innegabile economia di pensiero. Ma questa sindrome non aiuta Napoli, perché la tiene lontana dal suo problema: la necessità di prendere le distanze da una grandezza che è all’origine sì delle sue eccellenze, ma anche delle sue patologie, in primis dalla terribile conurbazione che la strozza molto di più di quanto non la arricchisca. E’ la stessa Napoli che ha bisogno di pensarsi in un altro modo, non più capitale, ma nodo decisivo di un sud policentrico.
La sindrome che affligge la Puglia è invece, quella della regina di Biancaneve, la tentazione di sentirsi la più bella del reame. Rispetto a Napoli la Puglia si sente più vitale e concreta, meno raffinata, ma più dinamica. Nel Salento questo orgoglio si trasforma nella sindrome dell’assoluta specialità, che affianca ad un’innegabile vitalità creativa i rischi di un narcisismo acritico.
Le ragioni di questo sentimento di diversità rispetto alle altre regioni del sud non sono immaginarie: la Puglia, negli anni Novanta, ha registrato alcuni successi nella lotta contro la malavita organizzata, ha dato alla prospettiva del Mediterraneo la concretezza delle politiche di prossimità con l’altra sponda adriatica, ha conosciuto una vivacità civile che ha sparigliato i giochi di potere dei partiti e scritto delle pagine innovative. La valorizzazione di tale diversità è un aspetto essenziale di qualsiasi prospettiva del futuro, ma occorre evitare ogni celebrazione. La Puglia rimane una regione in bilico, diversa sì dalle altre regioni, ma non quanto vorrebbe essere, eternamente sospesa tra gli slanci ideali e la prassi del trasformismo, tra l’auto-assegnazione di grandi missioni e la paura di volare. La diversità della Puglia va custodita e curata, ma è troppo fragile per andare da sola e deve imparare a fare squadra con le altre regioni, perché altrimenti i sogni svaniscono all’alba.
La Sicilia vive invece la sua sindrome dell’autonomia nel regno incantato di un’insularità assistita dallo Stato. In questi anni essa conosce una stabilità sospetta, che è stata capace di mettersi alle spalle gli anni delle stragi, costruendo una pax mafiosa che ha continuato ad alimentare sotto traccia i vecchi circuiti di potere. Lo statuto speciale permette larghezza e mediazioni altrove impossibili e la bandiera dell’autonomia sembra essere riuscita a presentare ogni tentativo di conflitto e di rinnovamento come un conato moralistico, minoritario e al fondo antisiciliano.
L’autonomia espunge come estranei al senso comune tutti quelli che non stanno al gioco dei nuovi equilibri. Non a caso il leader emergente di questo autonomismo di Stato è un democristiano esperto nel costruire alleanze con il cemento delle risorse pubbliche. E’ una Sicilia ripiegata su se stessa e sempre più separata dal resto del Mezzogiorno, lontana da quel ruolo nazionale recitato in altre occasioni della sua storia.
La Calabria attraversa invece un momento molto difficile, e nel conflitto tra la sua parte settentrionale e quella meridionale la prima sembra aver perso la carica e l’egemonia che aveva conquistato nella stagione dei sindaci. Le spinte innovative sono state lentamente riassorbite all’interno di un immobilismo che sembra aver espunto la speranza stessa del cambiamento. Quest’ultimo sembra anche qui condannato a giocare un ruolo sempre più marginale: alcune elites intellettuali spesso incapaci di incontrarsi tra loro, i sussulti giovanili contro gli assassini malavitosi o la manipolazione delle istituzioni ad opera dei gruppi di potere, frammenti di società civile che tentano generosamente di mutare il rapporto tra cittadini e politica, ma sono lampi di una tempesta che sta scemando all’orizzonte, mentre torna il sereno del sempre uguale, di uno smottamento senza fine. E’ la sindrome dell’immobilismo, di un sentimento di impotenza che sembra dominare lo spirito pubblico.
La Lucania, infine, che aveva sperato di aprire una nuova pagina della modernizzazione del sud con la Fiat di Melfi, non solo sembra essere rimasta al palo, ma anche aver perso quello statuto di isola felice che la voleva estranea alla penetrazione dei fenomeni malavitosi. La narrazione dell’incrocio virtuoso di modernità e tradizione si scopre debole.
A fronte di questo quadro frammentato e deprimente di un sud “sparpagliato” sta la perdita di capacità di sintesi dei partiti, le cui classi dirigenti locali costituiscono ormai una sintesi di subalternità ai palazzi romani e di cartelli elettorali più o meno solidi. Non c’è più una classe dirigente meridionale capace di pensare il sud nel suo complesso, né luoghi dove si tenti di costruirla. E quest’assenza è insieme un sintomo e una causa del drammatico indebolimento del sud.
Per invertire la tendenza occorrerebbe un’immaginazione geopolitica coraggiosa capace di contrapporre a questa frammentazione un’idea forte e unitaria del Mezzogiorno, occorrerebbe che le forze migliori del sud avessero voglia di aprire una pagina nuova. E occorrerebbero anche le risorse concrete per mettere in campo questo tentativo, risorse che invece, a partire da quelle finanziarie, sono finite, da tempo e per colpa degli stessi meridionali, in altre mani: se il sud ha, come sostiene qualcuno, poca voce, è anche perché quando la voce c’è, i microfoni sono lontani, a far da corolla come sempre ai poteri forti, che sono tutti altrove.
fonte: politicaonline.it
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