Bilderberg chi?
Mi fa letteralmente arrabbiare vedere parlamentari della Repubblica Italiana alle prese con questi teatrini.
Provo invece pena per certi personaggi del web, alcuni dei quali si presentano come economisti, che alimentano il culto del complotto fine a sé stesso, riscuotendo, mio malgrado, un discreto successo di pubblico.
Queste persone, purtroppo, non hanno capito che avere i resoconti delle riunioni del Bilderberg o della Trilateral Commission o di qualsiasi altro “club” esclusivo della finanza e della industria internazionale è perfettamente inutile.
Le cose che vogliono fare, “quelli del Bilderberg”, ce le sbattono in faccia. Ce le hanno sempre sbattute in faccia. Senza pudore.
Ma a noi, si sa, interessa il gossip. Fa più audience il complotto della cronaca politica e parlamentare. Pazienza.
A me però il gossip non interessa. Mi interessa la storia, mi interessa capire perché oggi siamo in piena crisi, mi interessa capire perché hanno stravolto l’ordinamento giuridico italiano, mi interessa sapere chi ha preso la decisione su determinate scelte politiche, mi interessa conoscere i contenuti di queste scelte politiche. Queste sono le cose che mi interessano. Il gossip del “BildeMberg” (eh si, i più truci followers del complotto usano la M) non mi interessa. Mi basta sapere che c’è qualcuno che si riunisce in segreto per decidere strategie che vogliono distruggere gli Stati nazionali per far vincere il “DIO MERCATO”.
Tutti sanno che Mario Monti fa parte del gruppo Bilderberg e della Trilateral Commission, ma quanti sanno dei suoi legami con Beniamino Andreatta? Quanti sanno che Mario Monti “ronza” in politica dalla fine degli anni ’70? Vedo poche mani alzate. Bene qualcosa ve la racconterò io.
Anzi ve la farò raccontare da Mario Monti in persona attraverso la trascrizione del suo discorso PUBBLICO tenuto il 13/02/2008 in occasione del convegno “Andreatta Economista”, presso la Banca D’Italia:
“Ricordo i due primi incontri che ebbi con il professor Andreatta, entrambi determinarono in me emozione gratitudine e una punta di terrore. Tenni nell'istituto di Andreatta a Bologna il mio primo seminario, malgrado la presenza rassicurante di Carlo D’Adda, che conoscevo già, la presenza, le domande, i movimenti pendolari del professor Andreatta, che non sapevo ancora essergli consueti, mi causarono qualche brivido. L'altro incontro mi aprì, proprio come avvenne a Mario Draghi, le porte del primo incarico di insegnamento a Trento: politica economica, facoltà di sociologia. Perché terrore in questo caso? E' il primo giorno a Trento, ed era Mario (si rivolge a Draghi ndr) ottobre ’69, non ottobre ’76 come per te, dovetti partecipare non già allora consiglio di facoltà, ma al plenum dei docenti, come si chiamava. Il leader del movimento studentesco locale Marco Boato dava del tu ai docenti e ci informò che il giorno dopo ognuno di noi sarebbe stato naturalmente sottoposto ad un esame politico (risate dal pubblico ndr). Per un attimo mi chiesi dove mi avesse mandato Andreatta, ma poi gli fui doppiamente grato, anche per questa esperienza temprante. (risate dal pubblico ndr)
Io non ho vissuto dall'interno come Maria Teresa Salvemini il capitolo divorzio, e quindi anche per me è stato molto interessante leggere la tua relazione Maria Teresa. Io ero in prossimità del ministro Andreatta a quell'epoca, com'è stato ricordato era stata istituita pochi mesi prima del divorzio nel gennaio ‘81 quella commissione di cui facevo parte con i professori Cesarini e Scognamiglio, che consegnò al ministro un rapporto sul sistema creditizio e finanziario nel gennaio del ’82; quindi io vorrei fare brevissime annotazioni su come vidi, come mi parve d'essere il ruolo di Andreatta a monte e a valle del “divorzio”. A monte cioè nel clima di cultura economica in cui il divorzio si collocò e a valle, cioè come si dipanò poi, come si sviluppò il nesso tra divorzio e una più ampia riforma strutturale della politica monetaria e creditizia Italiana. Lo sfondo culturale: ci sono tre righe che Maria Teresa (Salvemini ndr) cl ha letto, che sono significative: nessuno aveva interesse a contrastare la crescita del disavanzo il cui finanziamento appariva tranquillamente affidato alla Banca D'Italia e i cui costi in termini di interessi da pagare erano assai contenuti. Era proprio questo il nesso tra assetto della politica monetaria-finanziaria da un lato e generazione del disavanzo pubblico dall'altro il tema su cui avevo avuto occasioni di discutere con Nino Andreatta nella seconda metà degli anni ’70. E credo che sia per questa impostazione che un po' per volta, anche per il suo eclettismo, trovò forse meritevole di attenzione, che mi chiese di partecipare a quel lavoro di riforma sul sistema creditizio. Nel dialogo con Andreatta esposi in quei tempi la mia convinzione: la politica monetaria e finanziaria, in quanto determina le modalità di finanziamento del disavanzo, influenza i costi politici a essa collegati e perciò a lungo termine influisce sulla dimensione stessa della spesa e del disavanzo, anche del disavanzo primario cioè al netto degli interessi sul debito pubblico, se la politica finanziaria come avvenuto in Italia negli anni ‘70 si caratterizza per l'accondiscendenza finanziaria verso lo Stato e per l'imposizione di vincoli sulla banca centrale, sulle banche e sul pubblico, essa favorisce il formarsi e il persistere di un disavanzo pubblico elevato. La cultura economica prevalente in Italia a quell'epoca prediligeva, è stato anche oggi ricordato, orientamenti keynesiani del resto arrivati in Italia e proficuamente, ma con un qualche ritardo rispetto ad altri paesi, e l'orientamento relativo la scuola di Cambridge l'impostazione sraffiana. La Banca D'Italia era come fu prima, come sarebbe stata poi, scuola di rigore e di stile e aveva a quell'epoca un'eccellenza senza pari nell'analisi economica rispetto al Tesoro, rispetto alle università e rispetto alle consorelle banche centrali straniere, ma aveva anche la caratteristica di prestare relativamente scarsa attenzione alla politica monetaria e all'analisi monetaria, leggermente paradossale per una banca centrale. Ogni 31 maggio in questa sala (salone della Banca D’Italia ndr) si ascoltavano, come per esempio il professor Spaventa più volte notò, analisi molto approfondite sul comportamento di tutti gli operatori dell’economia nazionale ed internazionale, un po' meno su quello della politica monetaria, non credo affatto per reticenza, ma per visione culturale che collocava relativamente sullo sfondo questi aspetti. Del resto ricordo come artigianalmente negli uffici della banca commerciale italiana all'inizio degli anni '70 si prese a calcolare aggregati monetari e tassi d'interesse reali, che non venivano rilevati e pubblicati a quell'epoca dalla Banca D’Italia. Questo, secondo me, rende molto significativo il passo culturale del professor Andreatta e naturalmente del Governatore Ciampi che si movettero parecchio in avanti rispetto all’humus culturale del tempo e ogni riferimento al monetarismo era così sospetto e visto con tale ostilità nella cultura economica prevalente in Italia, che Andreatta e Ciampi furono anche accusati per l'atto del divorzio di essere vagamente monetaristi.
Vengo al mio secondo punto, cioè a valle del divorzio. Già nel novembre-dicembre 1982, quel periodo quale adesso Maria Teresa ha fatto riferimento a proposito credo di un trafelato commercialista di Bari (Rino Formica ndr), in quel periodo il divorzio(tra Banca D’Italia e Ministero dl Tesoro) veniva rimesso in discussione. Era il periodo della formazione di un nuovo governo Fanfani e in quel momento, in quei giorni, esponenti politici, esponenti sindacali, esponenti imprenditoriali si chiedevano, uso un eufemismo, se fosse stata tanto una buona idea fare il divorzio. Avrebbero preferito tornare ad un assetto che distendesse maggiormente i tassi d'interesse e ricreasse un clima più abituale e confortevole. Naturalmente Andreatta, e immagino certamente il governatore Ciampi e coloro che erano gli autori o i fautori del divorzio erano preoccupati. Intervenni anch'io nel dibattito di politica economica cercando di legare la difesa del divorzio ai passi ulteriori da compiere sulla linea del rapporto che era stato consegnato pochi mesi prima al ministro del tesoro. Mi ricordo che utilizzai anche nell’occasione una presa di posizione di quei giorni molto interessante di Guido Carli, sembra ancora di sentirlo qui il 31 maggio 1974 usare la famosa frase dell'atto sedizioso, che anche i più giovani ricordano perché l’hanno studiata, quindi non la cito, ma in un articolo del 30 novembre 1982 quindi in questo momento in cui il neonato divorzio era già sotto attacco Carli scrisse che era ormai convinto che il rifiuto delle autorità monetarie di agevolare il finanziamento del tesoro a scapito del finanziamento della produzione avrebbe indotto più tempestivamente la classe politica a provvedere al contenimento dei disavanzi, ma naturalmente occorreva non solo tutelare il divorzio, ma andare oltre, andare oltre e venne sviluppata l'analisi secondo la quale molto bene che un coniuge coatto del Tesoro cioè la Banca D'Italia fosse stata appena affrancata dai suoi vincoli, ma coniugi coatti del Tesoro erano in diverse misure le banche, i risparmiatori, le imprese. Vincoli quali il massimale sui prestiti bancari e il divieto di impiegare all'estero del risparmio, si traducono, si traducevano in ultima analisi da un lato in un finanziamento più facile per lo stato dall'altro in tassi di interesse più bassi sui risparmi e più alti sui prestiti alle imprese. Una graduale attenuazione di quei vincoli avrebbe corrisposto non solo all'esigenza di incoraggiare il risparmio e di gravare di minori oneri il settore produttivo, ma anche a quella di accrescere il costo politico della spesa pubblica in disavanzo. Fu necessario un po’ di tempo è stato ricordato anche questa mattina perché questi principi di riforma del sistema creditizio e finanziario, in accompagnamento logico al divorzio e naturalmente alla fine ancora molto più importanti del divorzio, venissero tradotti in atto. Io ricordo discussioni in quell'epoca con il ministro Andreatta e anche con lui sull'atteggiamento delle banche, anche questo è l'aspetto che ci permette di misurare l'enorme miglioramento che si è verificato nel frattempo. I colleghi Cesarini e Scognamiglio ricorderanno un pomeriggio del 1982 quando venimmo invitati e ammessi ad una riunione ad hoc del comitato esecutivo dell’ABI, in cui presentammo le proposte che avevamo appena presentato al ministro del tesoro sulle banche. I banchieri più eminenti colà riuniti furono presi, alcuni di loro da una vaga simpatia intellettuale, ma anche da qualche sgomento, perché naturalmente è molto più difficile gestirsi in condizioni di libertà, che lamentarsi per vincoli che esistono e molti di loro mettendosi nei panni del ministro del tesoro più di quanto il ministro del tesoro fosse nei suoi panni dicevano “ma cari ragazzi, ma come osate proporre queste cose: sarebbe il sistema politico che verrebbe rimesso in discussione”. Quindi è naturale che sia stato necessario un po' di tempo.
Vorrei dedicare gli ultimi due minuti se li ho ancora a una riflessione che mi è stata provocata dall'intervento di Alberto Giovannini. Credo anch'io, quello che mi pare d'aver capito in parte implicito in parte esplicito nelle parole di Alberto, che dall' inflazione, la più iniqua delle imposte, siamo oggi passati, in molti nei nostri paesi, ad imposte ancora più inique della più iniqua delle imposte, cioè le imposte che non il potere pubblico, ma titolari di rendite di protezione di connivenze impongono ai loro concittadini, certo a volte spesso perché c'è dietro un atto del potere pubblico che limita la concorrenza o di altra natura, tasse, ecco io credo che parlando di indipendenza della banca centrale, parlando di politica monetaria, parlando di cultura della stabilità, la quale questa mattina si è richiamato il presidente Ciampi identificandone giustamente nel divorzio il punto di partenza in Italia, occorra tenere presente che forse il futuro rischio per la stabilità, per la cultura della stabilità è proprio questo, perché più una società di protezione di rendite e di connivenze frena il tasso di crescita del paese esclude soprattutto i giovani più si alimenta il risentimento contro le leve delle politiche economiche ortodosse che attuano la cultura della stabilità.
Concludo con un riferimento alla Francia di queste settimane. Parigi è il punto in cui in questo momento da un lato sì sono avviate riflessioni operative per la liberazione della crescita, dall'altro è il punto dal quale nel sistema europeo con frequenza e anche con un certo vigore promanano rimesse in discussione dei criteri del patto di stabilità a volte della stessa indipendenza della banca centrale, questa volta europea. Io vedo una relazione tra la capacità che il sistema politico francese che il presidente della repubblica potrà avere, anche avvalendosi delle proposte che un’altra commissione che la istituita, ha messo sul suo tavolo, la capacità di liberare la crescita riducendo essenzialmente, perché queste sono le cose proposte: protezione rendite e connivenze e il quietarsi in futuro di questi periodici sussulti polemici nei confronti dell’ordinamento europeo fondato sulla cultura della stabilità.
Mi rimane una curiosità personale che voglio confessare: quando venne consegnato al ministro Andreatta il libro verde sul sistema creditizio finanziario, ci fu una molto ponderata prefazione anonima e quindi attribuibile al ministero del tesoro che un quotidiano sintetizzò un po' brutalmente “il rapporto sul credito Andreatta: grazie dei consigli ma non li seguirò”. A distanza di relativamente pochi anni quasi tutto è stato attuato. Il presidente della repubblica francese nell'accogliere nelle sue mani il rapporto della commissione da lui istituita, dopo aver detto al momento di insediarla quello che vuoi proporrete io farò, al momento di accogliere il rapporto ha detto: condivido l'essenziale mi appresto a tradurlo in atto. Rimango con la curiosità di sapere in quale dei due casi la percentuale di attuazione sarà stata più alta, grazie”
Non serve il “gossip complottaro del Bilderberg” per capire che la classe dirigente che sta governando l’Italia da Andreatta in poi, abbia come programma la distruzione dello “Stato”, per far trionfare il “Mercato” e perdere la democrazia.
Nonostante i complotti e i complottari ho fiducia nel risveglio del Popolo Italiano e sono sicuro che, prima o poi CI LIBEREREMO!!!
Bene Andrea,
sono pienamente d'accordo con il tuo pensiero, anzi credo che tutta questa "cultura del complottismo" sia una vera e propria strategia della tensione. Far credere che esistono chissà quali organizzazioni, con chissà quali poteri o armi serve per infondere nella gente l'idea che un cambiamento è impossibile, che è tutto scritto e tutto controllato. Del resto come dici giustamente tu "…quello che fanno ce lo sbattono in faccia " e il motivo per cui non sembra interessarci questa cosa è dato anche da come siamo stati mediaticamente cresciuti. I complottisti sono inanzitutto dei codardi, perche sanno solo dedicare del tempo alla condivisione di informazioni false e dedicano pochissimo tempo alla militanza attiva.Di certo la società è attraversata da lotte interne che, come disse Mazzini, " appartengono alla notte dei tempi" ma questo non ha nulla a che vedere con paranoie masso-giudaico-rettiliane dei cospiratori vari.
Vedrai, qualcuno tirerà fuori teorie complottiste anche contro ARS pur di parlare di qualcosa e sottrarsi al dovere di militare.
Aaron
Io sono uno che si interessa dello studio della cospirazione e non vedo come questo possa nuocere alla militanza
Lo studio della cospirazione non nuoce di per sé alla militanza, purché il militante non trascuri di approfondire gli istituti che i cospiratori hanno voluto abrogare e faccia sorgere in sé la volontà di reintrodurli. Tutti gli istituti citati da Monti noi li abbiamo ri-studiati e abbiamo proposto di reintrodurli, scegliendo anche le priorità: http://www.riconquistarelasovranita.it/teoria/reprimere-la-rendita-finanziaria-e-instaurare-un-sistema-finanziario-nazionale-documento-per-assemblea. E bada bene che noi, quando abbiamo scritto il documento, non conoscevamo l'articolo di Monti.
Non c'entra nulla comunque il complottismo con la militanza.Certe cose e' bene saperle,esistono.Altro che complotti!Realta'!Ma tutto cio' non influisce col poter o meno,attivarsi come attivisti.Il problema e' far propria una prassi attiva.
Questa tirata contro i "complottisti" (termine assurdamente dispregiativo nei confronti di chi si fa delle domande lecite, oltre che semanticamente errato) non la capisco. Tanto più che si ammette l'importanza e l'influenza di gruppi di potere come il bilderberg e il loro ruolo interferenza nelle politiche di nazioni che dovrebbero essere sovrane. Che Monti abbia avuto rapporti con Andreatta è pacifico, ma se si va a vedere le carriere di tutti i convinti europeisti si vede che sono intrecciate fra di loro: draghi, prodi, monti, padoa schioppa, amato e compagnia brutta. Vogliamo poi tenere la testa sotto la sabbia e non parlare del ruolo in tutto ciò della massoneria? facciamolo pure, ma non è un modo intelligente per cercare di comprendere il quadro d'insieme. Il M5S ai suoi massimi vertici non è estraneo a certi circoli, ma secondo me hanno fatto bene i due parlamentari a mettere alle strette Monti sulla sua partecipazione a quella che il giudice Imposimato definisce una vera organizzazione terroristica. I "complottisti" nel diffondere informazioni al riguardo fanno un'opera importante perchè finchè ci sarà gente all'oscuro di tutto ciò, continuerà a votare partiti tutti uguali pensando di votare i rossi e neri, e senza consapevolezza non si fa costruisce nessuna militanza.
Monica,
forse ho dato una lettura leggera dell'articolo ma io non vedo una tirata contro "i complottisti". Rilevo la contestazione verso chi "alimenta il culto del complotto fine a se stesso", cosa che in realtà può sempre interessare ma che toglie il tempo alla militanza (beato chi ha il tempo per militare e dedicarsi al culto del complotto fine a se stesso, oltre che, ovviamente, per lavoraree per prendersi cura di figli, genitori compagni o amici).
Per il resto l'articolo dice: è noto lo scopo che hanno; sono noti i politici e i tecnocrati che lo perseguono; essi stessi non fanno mistero di perseguire lo scopo; perseguono l'obiettivo da tanto tempo; nel perseguirlo hanno introdotto istituti e ne hanno abrogati altri; hanno anche confessato quale è stata la strada seguita.
Il succo è: chi vuole militare entra in una formazione con l'obiettivo di abrogare gli istituti che hanno introdotto e reintrodurre quelli che hanno abrogato. L'ARS ha già scritto un documento dove tutto è spiegato chiaramente (documento citato nel precedente mio commento).
Aggiungo che la passione per il complotto comporta un grande rischio di credere che il nemico è il Bildeberg. Il nemico siamo prima di tutto noi, che, ridotti a consumatori, non avvertiamo il dovere di militare; poi ancora noi che, se militiamo, tendiamo ad essere fanatici, a causa dell'individualismo-narcisismo, malattia sociale del nostro tempo; poi ancora noi, che, come consumatori, abbiamo fretta quando dovremmo avere pazienza; poi sono coloro che in Italia fanno le leggi, approvano e ratificano i trattati e li applicano. Senza questi ultimi, ipotetici vertici del male nulla potrebbero. Prendere il potere a Monti,Letta, ecc. ecc. per riconsegnarlo a un partito popolare, patriottico e costituzionale è l'obiettivo. Come vedi, da questo punto di vista, che è il punto di vista dell'ARS, il Bildberg non c'entra nulla.
Per semplificarci la vita in merito forse basterebbe chiedersi una cosa del tutto semplice e banale: chi trae vantaggio a discapito dei cittadini da avvenimenti e situazioni che si verificano mediante processi non democratici?
Se poi questi fanno o non fanno parte di qualche organizzazione più o meno segreta, resta un dettaglio.
D'accordissimo con Franceschielli. Il complottismo secondo me ha anche un fine più profondo (eh sì, chi di complotto ferisce di complotto perisce) cioè quello della classica divisione manichea che vede la società "civile" (??) da una parte e gli oscuri savi di sion dall'altra parte. E quindi per proteggerci da tali forze dovremo fare dei "sacrifici", in nome della sicurezza. Ma come diceva Benjamin Franklyn "chi rinuncia alla libertà per la sicurezza non merita nè l'una nè l'altra". Ah sì, Franklyn era un massone, quindi il suo messaggio è ontologicamente diabolico. La vera libertà infatti è la "libertà nell'ordine" non nuovo e mondiale, ovviamente, ma in nome dello sviluppo sostenibile. Già abbiamo visto cosa ha prodotto negli anni i trenta e quaranta del novecento questa divisione manichea e quanti bei risultati ha portato. Ah sì, ma la storia la scrivono i vincitori. Maledetto arbitro sionista che non ha fischiato il fuorigioco agli americani quando sono sbarcati in Normandia!
Mamma mia!
Questo commento é un capolavoro di mix di confusione di idee e concetti che supera qualsiasi delirio complottista!
Signor Nicola, se non ha carpito la sottile ironia del post, me ne scuso. Ma mi spiace complottista non ci sono.
Buona giornata.
Complottista lo é chi il complotto lo fa, questo per sottolineare che il significato delle parole é importante.
Mi dispiace se non ho le capacità necessarie per cogliere la sottile ironia, ma a mio parere é fin troppo velata tant’è che anche ora che me ne ha rivelato la natura stento a ravvisarla.
:-)