Il termine "sovranismo" è stato introdotto, nel linguaggio politico, dall'Associazione Riconquistare la Sovranità (ARS), di cui mi onoro di far parte fin dalla sua nascita. Non che il termine non esistesse già (non si tratta dunque di un neologismo) ma esso veniva distrattamente inteso, nel linguaggio corrente, quasi come sinonimo di "nazionalismo".
Dal dizionario online Hoepli:
"Sovranismo: Potere sovrano di una nazione o di una persona non soggetta ad altro potere nelle forme e nei limiti di un diritto riconosciuto: il principio della s. delle nazioni; diritti di s.; s. statale, nazionale"
"Nazionalismo: Dottrina che sostiene la priorità assoluta dell'idea di nazione o del principio di nazionalità in ogni campo. Politica che tende ad attuare tale dottrina"
La differenza di significato tra i due termini è ovvia. Il nazionalismo è stato la cornice ideologica di un assetto fondato sul darwinismo sociale all'interno degli Stati, e sul mercantilismo nei rapporti tra essi, in un quadro internazionale caratterizzato dalla crescente globalizzazione degli scambi di merci e capitali, che raggiunse il suo acme alla vigilia della prima guerra mondiale. La convinzione era che la concorrenza mercantile tra gli Stati e il darwinismo sociale costituissero una sorta di "stato di natura" delle cose, sostanzialmente non modificabile ma da sfruttare per mantenere, o portare al potere, una determinata classe sociale, come pure conservare o conquistare una maggiore potenza per la propria nazione. In definitiva, il nazionalismo è fondato sul principio della "concorrenza": tra individui, tra classi sociali, tra Stati.
Quando l'ARS si è posta il problema di adottare un termine che fosse la bandiera della sua azione politica, la scelta della parola "sovranismo" è stata ampiamente condivisa. Questa, infatti, ha un significato che sostanzialmente coincide con la sua definizione (Potere sovrano di una nazione o di una persona non soggetta ad altro potere nelle forme e nei limiti di un diritto riconosciuto), ma non ne ha ancora acquistato di ulteriori che possano costituire un bagaglio ingombrante. Con il passare del tempo è probabile che, così come esistono diverse declinazioni di altre parole utilizzate in politica, lo stesso accadrà per essa, sebbene un corpo centrale dei suoi significati politici verrà condiviso da tutti coloro che si dichiareranno "sovranisti".
Per come lo intende l'ARS, il termine sovranismo è in completa e totale opposizione al nazionalismo. E dunque: rifiuto del darwinismo sociale, rifiuto della concorrenza come "stato naturale delle cose", rifiuto del mercantilismo; al contrario: comunitarismo sociale, esaltazione delle Costituzioni democratiche come patto istitutivo della comunità che legittima ogni forma di potere legale, ricerca dell'equilibrio negli scambi internazionali.
Il comunitarismo sociale nel sovranismo
Per il sovranismo il "popolo" è la fonte primigenia della sovranità. Tuttavia è bene rimarcare e sottolineare con estrema chiarezza che, per i sovranisti, il "popolo" è un concetto che non ha nulla a che vedere con la "razza", potendosi addirittura verificare il contrario; e cioè che, ammesso ma non concesso che si possa parlare di razze in relazione alla più ampia comunità di tutti gli uomini, possono aversi popoli diversi pur in presenza di uguaglianza di caratteri somatici che siano, per così dire, eventualmente riconducibili ad un ceppo genetico. Per i sovranisti, al contrario, il "popolo" è un'entità culturale, formatasi nel corso della storia in seguito alle più diverse vicende. In quanto tale, questa entità ha una durata confrontabile con la scala degli eventi storici, ovvero con la memoria che una collettività riesce a conservare di se stessa e dei propri accadimenti. I "popoli" nascono, si sviluppano, raggiungono talvolta alti livelli di civiltà, ma possono (è successo migliaia di volte) perdere memoria di sé e scomparire, assorbiti da altri popoli o disperdendosi del tutto. Ciò che definisce l'idea di "popolo", dunque, è un comune sentire, fondato sulla condivisione di una storia comune. Gli italiani sono un "popolo", come lo sono i francesi, gli inglesi, gli spagnoli, i tedeschi, gli zingari, gli ebrei… e mi scuso se non posso ricordarli tutti.
Per come è definito, il "popolo" non è un'entità monolitica che non può tollerare contaminazioni. Queste, nella giusta misura e nei tempi opportuni, possono al contrario costituire un elemento che rafforza e arricchisce la comunità, sebbene questa affermazione non deve essere intesa come universalmente valida. Sono gli accadimenti storici che rendono talvolta possibili, tal altra impossibili, le fruttuose contaminazioni. L'idea che qualsiasi mescolanza culturale, per il solo fatto di essere una mescolanza, porti alla fusione armonica di culture diverse, è una sciocchezza che sta sullo stesso piano delle concezioni razziste fondate sulla purezza del sangue: sono entrambe delle sciocchezze.
L'esistenza di un "popolo", cioè di un comune sentire formatosi per evoluzione culturale e storica, rende possibile (ma non scontata) la nascita di un sentimento comunitario, ovvero una concezione dei diritti dell'individuo limitati dalla sua appartenenza alla comunità attraverso uno scambio con le garanzie che questa gli offre "a priori", per il solo fatto di farne parte. Il sentimento comunitario, che è in antitesi con il liberalismo che predica il diritto di ogni individuo al perseguimento della massima libertà, non può nemmeno essere immaginato in assenza dell'entità "popolo".
Le Costituzioni democratiche come fonte di legittimità
L'esistenza di un "popolo", ovvero una narrazione condivisa della propria storia, è condizione necessaria ma non sufficiente perché si sviluppi un sentimento comunitario. Manca ancora un ingrediente: un patto tra i diversi gruppi sociali che sancisca un principio di legittimità. Questo non è, necessariamente, un patto tra eguali, ma più spesso un compromesso tra i gruppi dominanti e quelli subalterni. Un esempio di ciò è l'equilibrio che si formò nella Roma del V° secolo a.c. tra il patriziato e la plebe al termine di un convulso periodo di lotte sociali, ma si possono fare numerosissimi altri esempi. Quanto più tale patto costituente è equilibrato, tanto più è probabile che la vicenda storica di un "popolo" si sviluppi nel tempo con successo, fino a raggiungere alti livelli di civiltà, ricchezza e potere di influenza.
Nell'era moderna il patto fondante di legittimità prende il nome di "Costituzione". La sopravvivenza delle costituzioni, soprattutto quelle democratiche, cioè stipulate su un piano di parità o, almeno, in assenza di eccessive asimmetrie, è costantemente minacciata da un fenomeno particolarmente insidioso nella fase iniziale della vita di un popolo, quando il sentimento comunitario su di esse fondato non è ancora sufficientemente forte. Si tratta del pericolo che nasce dalla crescita eccessiva, all'interno della comunità legittimata dalla Costituzione, di uno squilibrio tra i ceti dominanti e quelli subalterni. Quando ciò avviene, i ceti dominanti tendono a costituirsi come una comunità a sé stante che persegue interessi propri, a scapito di quelli più generali di tutto il popolo. E' esattamente quello che accadde all'inizio del V° secolo a.c. nell'antica Roma, allorché il patriziato, che pure si era avvalso dell'appoggio della plebe per liberarsi del dominio etrusco, tentò di dar vita a un assetto oligarchico della repubblica. L'impossibilità per entrambe le fazioni di prendere il sopravvento, unitamente al pericolo che le divisioni interne costituivano per la stessa sopravvivenza della città, costrinse i due ordini a deporre le armi e a ricercare un accordo che resistette per quattro secoli, portando Roma al dominio incontrastato su tutto il mondo allora conosciuto.
La vicenda si sarebbe ripetuta nel I° secolo a.c., con le guerre civili che si conclusero con la fine della repubblica e l'instaurazione del potere imperiale. In questo caso l'assenza di una minaccia esterna (essendo Roma padrona del mondo) rese possibile la continuazione del conflitto civile fino al prevalere delle classi dominanti, che trovarono nell'assetto monarchico/imperiale la soluzione istituzionale conforme ai loro interessi. Vale la pena ricordare che, appena qualche secolo prima,
Publio Valerio Publicola aveva promulgato una legge che permetteva a tutti i cittadini romani di uccidere chiunque avesse tentato di farsi re!
La Costituzione italiana del 1948 è, per l'appunto, il risultato di un momento storico nel quale, tra i ceti dominanti e le classi subalterne, si raggiunse un equilibrio come non era mai accaduto dall'unità d'Italia, in un contesto internazionale che imponeva il raggiungimento di un accordo. Tuttavia, esattamente come nella Roma del V°secolo a.c., passato il pericolo i ceti dominanti hanno ripreso l'offensiva. Questi hanno ricominciato ad obbedire al loro istinto più profondo, che li spinge a costituirsi come comunità a sé stante all'interno del corpo della nazione, alla ricerca del loro esclusivo interesse. Il quale, questa volta, non consiste nel portare avanti una politica di potenza sotto la copertura di un'ideologia nazionalista, bensì nel ricercare la comunanza con i ceti dominanti delle altre nazioni europee, con il fine di istituire un assetto imperiale sovranazionale, ancora subalterno al grande impero americano ma con la (ridicola) aspirazione di prenderne il posto. Si tratta, cioè, del tentativo di costruzione di una potenza imperiale in forme assolutamente inedite nella storia conosciuta, giacché mai, in passato, si è dato un impero che non fosse il risultato della politica di conquista di un singolo popolo guidato dai propri gruppi dominanti.
Se questa analisi è corretta, allora l'Unione Europea costituisce, aldilà delle enunciazioni di facciata, la più grave minaccia per la pace nel mondo contemporaneo, perché questo progetto è costretto, per affermarsi, a combattere su due fronti: uno interno, per distruggere le costituzioni democratiche delle nazioni europee, e un secondo esterno, per competere con l'impero anglo-americano e il resto del mondo. Il primo è uno scontro di classe, il secondo un confronto geopolitico. Nessuno di essi può risolversi pacificamente, poiché è impensabile che la soppressione delle costituzioni democratiche possa avvenire senza conflitti, né che il resto del mondo consenta, all'Unione Europea, di conseguire i suoi obiettivi egemonici senza reagire. In particolare, il tentativo di costruire uno Stato, in assenza di un "popolo europeo", rende impossibile il raggiungimento della pace interna, sia pure in forma oligarchica, poiché viene a mancare il terreno comune sul quale può svolgersi quella lotta di classe che, risolvendosi in un assetto giuridico accettato dalle parti, rende possibile e legittima la nascita dello "Stato". La conseguenza di ciò è una fragilità intrinseca dell'intera costruzione, alla quale i ceti dominanti europei sono tentati di porre rimedio attraverso una politica estera aggressiva, della quale i recenti accadimenti in Ucraina costituiscono i primi inquietanti segnali.
Il principio dell'equilibrio nelle relazioni economiche con altri Stati
Nelle relazioni economiche tra gli Stati il sovranismo privilegia il metodo degli accordi bilaterali, a discapito dell'adesione ad accordi di libero scambio di merci e capitali. Questa impostazione deve essere intesa in senso sostanziale, non assoluto. E' del tutto evidente, infatti, che non vi è ragione per cui uno Stato sovranista non aderisca ad accordi tesi alla standardizzazione di metodi realizzativi nella produzione dei beni, né che rifiuti di partecipare a grandi progetti internazionali tesi al conseguimento di uno scopo comune (ad esempio l'esplorazione dello spazio o la ricerca scientifica), ma è del tutto ovvio che esso deve mantenere il controllo generale dei grandi aggregati sui quali si fonda la sua economia. In particolare, uno Stato sovranista manterrà il controllo pubblico dell'emissione monetaria, e porrà la massima cura nel perseguimento dell'equilibrio della bilancia dei pagamenti, sia sul versante del conto finanziario che commerciale, con l'obbiettivo di mantenerle entrambe in sostanziale pareggio.
Nel perseguimento dell'equilibrio della bilancia dei pagamenti sarà giocoforza indispensabile preservare il potere di imporre vincoli, ove ciò necessario, sia alle merci importate che a quelle esportate, e a maggior ragione sui movimenti di capitale. In particolare, i vincoli all'esportazione delle merci e all'importazione dei capitali, che nella logica mercantilista e liberoscambista sono considerati entrambi segno di "successo" della politica economica, rispondono all'obiettivo primario di condurre politiche commerciali non aggressive, in special modo con i paesi confinanti. Viceversa, la possibilità di imporre dazi all'importazione di merci e vincoli all'esportazione di capitali sono strumenti di difesa da eventuali politiche commerciali e finanziarie aggressive di altri paesi, dalle quali uno Stato sovranista deve essere in grado di difendersi.
Il mantenimento della sovranità democratica
In definitiva, la politica economica di uno Stato sovranista deve tendere al duplice obiettivo di non esportare né importare squilibri, e dunque deve essere necessariamente dirigista. Ora, poiché un dirigismo economico orientato al mantenimento di rapporti equilibrati nei rapporti commerciali e finanziari con l'estero danneggerebbe soprattutto le classi sociali maggiormente dinamiche, si pone il problema di conquistare e conservare un'egemonia culturale ispirata a questi valori che sappia resistere ai tentativi delle élites industriali e finanziarie del paese di rovesciare l'ordine delle cose. Ne consegue che interesse primario di uno Stato sovranista democratico è quello di investire nella promozione culturale della popolazione, onde evitare che narrazioni contrarie all'interesse collettivo e funzionali, al contrario, a quello di una minoranza, possano trovare fertile campo nell'ignoranza diffusa. La promozione della scuola pubblica, e il rifiuto di ogni forma di sovvenzionamento delle scuole private, sono un tassello importante di questa strategia. Lo Stato sovranista impegnerà dunque le sue migliori risorse nella direzione di promuovere l'accesso all'istruzione. Inoltre, poiché la formazione culturale dei cittadini risulta fortemente influenzata, nella società contemporanea, dai messaggi subliminali veicolati dalla pubblicità, lo Stato sovranista dovrà porsi il problema di controllarla, sia sul piano qualitativo che quantitativo, ad esempio tassandola. E' del tutto evidente che qualsiasi forma di controllo dei contenuti della pubblicità dovrà rimanere rigorosamente confinato nell'ambito della repressione dei contenuti promozionali di merci e servizi, e mai tracimare nella direzione di una qualsivoglia forma di controllo e repressione del libero pensiero dei cittadini. Al contrario, la libertà di pensiero, espressione, associazione e quant'altro di tutti i cittadini dovrà essere promossa e incoraggiata, fino al punto di diventare un valore percepito dalla comunità come assoluto e irrinunciabile, così forte da consentire la libera espressione anche di principi e valori opposti a quelli cui si ispira lo Stato sovranista democratico. Quest'ultimo non dovrà, ne potrà, mai rinunciare al vincolo di vincere la battaglia delle idee senza ricorrere ad alcuno strumento di repressione della libertà di pensiero e di espressione.
Il mantenimento della sovranità nazionale, una volta che essa sarà stata riconquistata, imporrà la necessità di difenderla anche militarmente. Lo Stato sovranista, pertanto, non potrà esimersi dall'affrontare il problema della sicurezza, ma dovrà perseguirlo in termini prevalentemente difensivi. A prescindere dalle soluzioni tecniche, il principio di base cui lo Stato sovranista e pacifico dovrebbe ispirarsi è quello di rendere estremamente costoso ogni tentativo di invasione, senza tuttavia spingersi fino al punto di ricercare la superiorità militare assoluta nei confronti di potenziali aggressori. Al contrario, una buona politica difensiva dovrebbe essere ispirata, oltre che alla rinuncia sostanziale alla predisposizione di strumenti di attacco, soprattutto alla ricerca di una inferiorità minima nei confronti dei potenziali nemici, tale da raggiungere il duplice scopo di dissuaderli senza correre il rischio di innescare una corsa agli armamenti alimentata dalla paura reciproca.
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Caro Fiorenzo,
quando mi peritai di verificare se il termine sovranismo fosse attestato, consultai due vocabolari, credo datati 2009 e 2010. Mi sembra di rammentare che fossero il dizionario De Mauro e lo Zingarelli. E scoprii con mia sorpresa che il termine non era attestato. Per questo mi convinsi che fosse un neologismo.
Ora tu osservi che il termine è attestato da un dizionario online, il quale però potrebbe aver constatato l'uso che del termine si fa sulla rete (sia nel significato che noi attribuiamo ad esso, sia in quello che alcuni assegnano al termine in Sardegna).
Ottimo articolo Fiorenzo,
propongo di tenerlo sempre in alto nella lista degli articoli perche chiarisce molte cose riguardo il termine sovranismo.
L'intervento di Fiorenzo Fraioli merita attenzione. Mi intrometto solo per segnalare la questione delle scaturigini del sostantivo "sovranismo". In Italia è in uso da decenni tra i nazionalisti sardi ( PSdA, sardigna Natzione, Irs, e cc.), i quali lo hanno mutuato dagli ambienti della sinistra nazionalista basca, da sempre essi si sono infatti autodefintii "sovranisti". Di qui, a seconda dei casi, "Blocco sovranista", "alleanza sovranista", "lotta sovranista", ecc.
Distinguerei. In una visione eurocentrica della storia il significato del termine "nazionalismo" è certamente quello riportato da Fiorenzo, nazionalismo aggressivo, guerrafondaio, che sfocia nel colonialismo e nell'imperialismo e che vide l'inizio in Inghilterra e Francia, seguite e imitate poi da altre nazioni europee. Nazionalismo feroce la cui eredità è stata raccolta dagli USA. . Ma, allargando un po' lo sguardo, dobbiamo anche registrare che ci furono e ci sono anche i nazionalismi di difesa, di paesi che non si proclamano superiori agli altri, ma che si difendono dagli imperialismi altrui. I nazionalismi del sud America dell''800, o i nazionalismi arabi (Nasser) del secolo scorso, o quelli di tutti i movimenti africani e asiatici di liberazione nazionale, possono essere considerati nazionalismi di difesa, con significati e obiettivi diversi da quelli dei nazionalismi europei. Miravano a istituire Stati, non a mangiarsi quelli degli altri. Chavez era un nazionalista di difesa e in difesa, non coltivava intenzioni di prevaricare sugli altri popoli. Anche nell'Europa ottocentesca sorsero nazionalismi di difesa. Tali potrebbe essere considerati, almeno in una fase iniziale, (molto iniziale) gli stessi nazionalismi italiano e tedesco, sia nei confronti degli imperi dinastici multinazionali, sia nei confronti dei già affermati nazionalismi di Francia e Inghilterra, che facevano da assi pigliatutto già in Europa prima ancora che in Africa e Asia. Nazionalismi di difesa erano anche quelli di altri paesi europei (es. Polonia, Ungheria). Diciamo che questi nazionalismi di difesa , oggi potrebbero essere definiti "sovranismi". A parte questo "distinguo", trovo articolo di cristallina chiarezza e interamente condivisibile. Illuminanti i riferimenti alla storia di Roma.
Bellissimo articolo che comincia quell'indispensabile opera di specificazione di concetti che altrimenti sarebbero troppo facilmente spendibili da chiunque anche strumentalmente , in una specie di "tenero abbraccio" omnicomprensivo ed interclassista.
Io invece credo , e penso che tu sarai d'accordo, che la battaglia sulle parole sia la più importante da affrontare per un movimento rivoluzionario, è sulle parole che si vince o si perde, e noi abbiamo perso proprio nel momento in cui abbiamo accettato lo stravolgimento del significato di alcune parole.
Nel tuo post hai giustamento detto che la sovranità dovrà essere debitamente difesa militarmente dai tentativi di ingerenza delle forze imperialistiche, o meglio, per adattare l'antica parola "imperialismo" all'oggi, le ingerenze di quelle oligarchie che attualmente impiegano le forze militari di alcuni stati-nazione come gli USA, la Russia ma la stessa Francia ,l'Italia etc., per raggiungere i propri scopi.
Per definire questo obiettivo, il mantenimento della sovranità, potremmo dire probabilmente che si è in presenza di sovranità solo a certe condizioni : a) quando nessuna entità esterna allo stato è in grado di determinare direttamente l'indirizzo politico di una nazione e b) quando nessuna forza militare straniera è presente sul proprio territorio.
E' evidente che applicando questa sia pur grossolana definizione l'Italia prima di potersi dire "sovrana" deve necessariamente "mangiare diverse pagnotte"…
Ancora più strategica credo che sia la lotta che dovremo scatenare sul significato della parola "democrazia".
Tu nel tuo post usi l'aggettivo "democratico" ma sei sicuro che si stia parlando tutti della stessa cosa ?
Quand'è che un assetto politico può essere definito "democratico" ?
Credo che l'enorme sconfitta culturale della sinistra si sia giocata proprio qui , quando si è accettata una definizione della parola "democrazia" del tutto inscritta nei formalismi procedurali senza nessuna attenzione alla concretezza dei meccanismi di formazione del consenso e delle regole necessarie allo svolgimento della corretta dialettica politica, in sintesi, oggi nella popolazione è prevalente la convinzione che per decidere se in uno stato ci sia o meno democrazia basti accertare se ci sono o meno "libere elezioni", è quella la "cifra" , ed è considerata talmente importante che l'occidente è pronto a bombaradare qualunque stato canaglia in cui non si svolgano "libere elezioni".
In Italia ci sono indubbiamente "libere elezioni" ma quanto sono libere queste elezioni ?
Gli elettori hanno modo di farsi un'opinione ponderata delle questioni sul tappetto ?
Tutte le opinioni hanno modo di essere argomentate sufficentemente ?
Tutte le opinioni hanno la loro relativa rappresentanza politica ?
Lo stato fa tutto il possibile affinché la maggior parte dei cittadini sia in grado di attuare scelte consapevoli ?
Fai bene quindi ad usare l'aggettivo democratico perché la sovranità da sola non basta, o almeno non basta al sottoscritto, potrebbe darsi anche il caso infatti di un paese sovrano e ma antidemocratico governato dalle élite e allora fanculo pure alla sovranità…
Ma è un discorso lungo, magari ne possiamo parlare oggi a Rieti…
ciao ciao
A me veramente sembra che ora, per stabilire se uno Stato e' democratico o no, si usi un metodo molto semplice: se ospita basi militari americane e' democratico. Se si rifiuta di ospitarle e' uno Stato canaglia e gli Occidentali (= gli USA, sono loro che decidono) devono subito rieducarlo tramite adeguati bombardamenti.
"Ancora più strategica credo che sia la lotta che dovremo scatenare sul significato della parola 'democrazia'"
Adriano Ottaviani ha ragione. Serve una riflessione ulteriore sul significato della parola "democrazia". Magari la prossima volta che pubblico dico la mia… adesso sono in partenza per Rieti per l'incontro con Diego Fusaro, Luciano Barra Caracciolo e Stefano D'Andrea.
Articolo eccellente, che sicuramente riciclerò più volte per spiegare il progetto sovranista. Ho giusto qualche dubbio sulla effettiva possibilità che l'Unione Europea possa diventare soggetto "imperiale" contrapposto al blocco americano, russo o cinese. Infatti, all'interno dell'oligarchia europeista, è evidente il disegno egemone del blocco tedesco, che però incontra forti resistenze in alcuni paesi membri come la Francia e la Gran Bretagna (non certo in Italia!), che giustamente non si considerano paesi di serie B. La nascita di un impero richiede però che anche la lotta interna tra le classi dominanti si risolva con un solo vincitore. Se e quando la UE diventerà una sorta di "quarto reich" mascherato, allora la strada imperialista sarà compiuta.
La UE e' gia' quasi un 'Quarto Reich" mascherato, a meno che l'America non smetta di avallare la supremazia tedesca. L'America e' infatti tuttora molto piu' potente della Germania, dove tra l'altro mantiene basi militari; probabilmente, almeno per ora, le fa comodo chiudere un occhio sullo stropotere economico (non militare) tedesco nella UE. Faccio notare che gli USA sono sempre stati favorevoli all'integrazione europea e hanno ostacolato qualsiasi avvicinamento di Paesi europei alla Russia, loro tradizionale nemico. Ritengo quindi impossibile che l'Unione Europea possa contrapporsi al blocco americano.
Mi associo ai complimenti per l'articolo.
Vorrei, però, segnalare un tema che, a mio parere, merita maggior considerazione da parte dell'area sovranista.
Mi riferisco alla lotta senza quartiere che lo stato sovranista democratico dovrebbe condurre contro la criminalità organizzata. Quest'ultima, infatti: a) costituisce una forza economica transnazionale, ben felice di vivere in un mondo senza frontiere economiche; b) rappresenta un potere antistatuale che – come è avvenuto durante la seconda guerra mondiale – può anche mettersi al servizio di interessi stranieri; c) inquina gravemente il processo democratico; d) impedisce alle istituzioni l'effettivo esercizio della sovranità su tutto il terriotrio nazionale.
Insomma, mettiamo al centro del programma sovranista anche questo tema!!!
Cordialmente!
Rispondo con ritardo ai commenti finora pervenuti perché ho avuto alcuni giorni particolarmente impegnati.
@Luciano Del Vecchio; è vero, ci sono stati, fuori dell'Europa, dei "nazionalismi di difesa" ai quali ci si riferisce usando il termine "nazionalismo" proprio perché non esisteva, fino a poco tempo fa, un'alternativa adeguata. Poiché, tuttavia, "nazionalismo" è un termine giustamente esecrabile, propongo di riferirci ad essi (se e quando il carattere democratico di tali tentativi lo consenta) definendoli "sovranismi".
@AdrianOttaviani che scrive: "Tu nel tuo post usi l'aggettivo 'democratico' ma sei sicuro che si stia parlando tutti della stessa cosa? Quand'è che un assetto politico può essere definito 'democratico'?"
Come ho già scritto in un precedente commento, urge una riflessione sul concetto di "democrazia". Un punto di partenza è l'art.3 della Costituzione:
Per l'importanza dell'argomento, preferisco rimandare l'esposizione della mia interpretazione di "democrazia sostanziale" ad un prossimo articolo su appelloalpopolo.it.
@Durga: uno Stato sovranista e democratico perde una parte della sua sovranità se ospita basi militari sul proprio territorio. Soprattutto QUANDO ciò accade NON per un accordo liberamente sottoscritto, bensì per imposizione. E' il caso dell'Italia, uscita sconfitta dalla seconda guerra mondiale. Tuttavia, anche in condizioni di sovranità limitata, è possibile che vi siano maggiori o minori spazi di libertà per quanto attiene la possibilità di implementare una democrazia sostanziale e formale interna. Credo che, leggendo correttamente i fatti, si possa affermare che la la democrazia sostanziale interna abbia subito una brusca ulteriore limitazione in seguito alla nascita dell'UE. Dobbiamo sempre ricordare che la sovranità non è mai "assoluta", nemmeno per la potenza dominante. Al contrario, la sovranità deve essere intesa come il miglior compromesso possibile in ragione dei reali equilibri di forze. Quando, invece del miglior ompromesso possibile, il ceto dominante di un paese sceglie "il peggior compromesso possibile", allora si può legittimamente parlare di TRADIMENTO DELLE CLASSI DIRIGENTI.
In relazione a quanto scrivi: "Faccio notare che gli USA sono sempre stati favorevoli all'integrazione europea e hanno ostacolato qualsiasi avvicinamento di Paesi europei alla Russia, loro tradizionale nemico. Ritengo quindi impossibile che l'Unione Europea possa contrapporsi al blocco americano.".
Non è del tutto vero che gli USA siano sempre stati favorevoli all'UE. A me sembra che avrebbero preferito una semplice adesione a un'area di libero scambio nord atlantica dominata da loro, e che abbiano semplicemente accettato, con pragmatismo, quello che invece decisero Francia e Germania nel vertice di Rambouillet del 1975 (data di nascita dell'asse franco-tedesco). Ripeto e sottolineo: "a me sembra…"… accetto di buon grado smentite.
Inoltre, le vicende geopolitiche hanno un orizzonte temporale pluridecennale, quando non addirittura secolare, e le egemonie si costruiscono poco a poco facendo le mosse giuste sulla scacchiera internazionale. Se il progetto dell'UE avesse (avuto) successo, non è esclusa la possibilità di un aumento del peso geopolitico dell'UE a scapito degli USA…
@Le Baron de Cantel: ti faccio notare che la libera circolazione dei capitali, delle merci, dei servizi e delle persone è il più grande regalo che si possa fare alle mafie. Queste sono diventate transnazionali proprio in conseguenza di ciò. Altro grande aiuto alle mafie è la riduzione dell'autorità e dell'autorevolezza degli Stati nazionali. Il nemico principale, dunque, è l'Unione Europea, e le mafie transnazionali sono il suo braccio armato per il "lavoro sporco". Mi spiego meglio con due esempi:
1° esempio) la pirateria al tempo di Pompeo. Si trattava di un fenomeno endogeno (criminalità comune, seppur organizzata), contro cui Roma scatenò la sua forza, vincendo.
2° esempio) la pirateria sostenuta dagli inglesi e dalla corona spagnola per il controllo delle rotte atlantiche. Si trattava di un fenomeno esogeno (dietro c'erano due Stati), che fu risolto con la guerra.
Secondo te, la crescita di potere delle mafie è un fenomeno endogeno o esogeno? Io dico che è un fenomeno esogeno, cioè il prodotto della liberalizzazione e della contemporanea distruzione degli Stati. Un problema che si risolve principalmente distruggendo l'UE e restituendo potere agli Stati nazionali. Dopo… sarà un problema di polizia.
La distinzione tra democrazia formale e democrazia sostanziale richiama a sua volta la distinzione tra uguaglianza formale e uguaglianza sostanziale. La nostra Costituzione garantisce non solo l'uguaglianza formale, o dei diritti, ma promuove anche in certa misura l'uguaglianza sociale, o sostanziale. Il progetto UE rimuove la parte sostanziale (ricordiamoci il richiamo di JPMorgan contro le Costituzioni "socialiste"), e lascia in piedi solo l'aspetto formale. Le elezioni per il Parlamento Europeo sono un ottimo esempio in tal senso: tutti hanno il diritto di votare per un organo che non serve a niente. Simulacro della democrazia; forma priva di sostanza. Spunti di riflessione sul concetto di uguaglianza qui:
http://www.treccani.it/enciclopedia/uguaglianza_(Dizionario_di_filosofia)/
"Quando un popolo non ha i poteri di autogovernarsi e decidere il suo avvenire esso perde non soltanto la libertà collettiva e comunitaria, ma anche quella individuale" Antonio Simon Mossa da Le ragioni dell indipendentismo.