Moka
di PASQUALE DI CROSTA (RI Chieti)
L’altra mattina mi sono svegliato con un pensiero chiaro e fisso. Avevo voglia di caffè, ma di quello fatto con la moka. “Da quanto tempo non la uso più”, mi sono detto. Mi sono alzato e l’ho cercata, non c’era, non lo ricordavo ma l’ultima l’ho gettata via qualche anno fa, ormai rovinata, e al suo posto, da allora, c’è la macchina elettrica a cialde del caffè espresso.
Così sono uscito e sono a andato comprarne una nuova, tanto l’idea era chiara nella mia mente. A casa mi sono fatto un bel caffè con la mia nuova moka, e mentre lo facevo ho capito perché mi fossi alzato con questo desiderio perentorio. La moka rappresenta un rito che ha accompagnato tanti ricordi della mia vita. La colazione alla mattina quando entrando in cucina sentivo il diffuso aroma del caffè, il borbottio e lo sbuffo tipico che mi davano un senso di rassicurazione, che ce l’avrei fatta qualsiasi cosa avessi in mente, l’attesa che il caffè “venisse su” mi infilava per qualche minuto in una bolla del non pensiero, attimi sospesi del non fare in cui l’unico senso era l’attesa e basta.
Odori, suoni, sapore, momenti, questo la moka evoca oggi per me mentre la guardo e aspetto che il caffè venga su, un ripasso della mia vita con i suoi eventi, un ripasso che si ferma a quando la moka non l’ho usata più. Cene da amici, incontri con ospiti, notti passate insonni per lutti, occhi appiccicati, ansie per notizie da arrivare, momenti di scherzo, conclusioni di pasti interminabili.
Ho deciso di ricominciare ad usare la moka, qualcosa l’altra notte me lo ha suggerito e ricordato, un motivo ci sarà. Una vita diversa, una vita lenta, una vita fatta di persone con la moka da 12, una vita in cui avevi tempo di sospenderla in attesa che il caffè venisse su. Una vita borbottante e non incapsulata come in una veloce cialda da espresso.
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