Le diseguaglianze doganali nel mercato unico UE
Abbiamo più volte sottolineato come il mercato unico europeo non sia quel luogo idilliaco e equanime per gli Stati e le loro aziende come viene dipinto da molti. Non lo è dal punto di vista economico, sociale e legislativo. E tantomeno lo è dal punto di vista doganale e delle operazioni commerciali che ne derivano. Anche in tale ambito vige la più spietata concorrenza tra Enti Doganali, nonostante la convergenza che i Regolamenti Comunitari hanno attuato riguardo le Autorità Doganali dei vari Stati ed i loro funzionamenti.
In base all’integrazione doganale sancita dal Codice Doganale Comunitario ( Reg.CEE 2913/92 ) e dal Regolamento Comunitario di Attuazione ( Reg.CEE 2454/93 ) le dogane dei paesi partecipanti dovrebbero lavorare di concerto per gestire le merci in transito presso i confini comunitari.
In maniera alquanto sbrigativa e superficiale ( l’argomento potrà essere approfondito in articoli successivi ) possiamo dire che attualmente le Autorità Doganali Comunitarie si occupano principalmente di assicurare la corretta applicazione dei regolamenti di cui sopra mantenendo un profilo esecutivo istituzionalmente basso e defilato. Questo per non inficiare i tempi e le dinamiche delle operazioni commerciali.
Le principali attività delle Dogane risultano essere la riscossione dei dazi ( maggiore voce di bilancio della UE ) e le pratiche sanzionatorie riguardo ad attività di import illecite o non regolamentari, subordinate, peraltro, ad un iter basato su ricorsi e revisioni apertamente a favore delle aziende coinvolte nell’operazione. Praticamente nulla è disciplinato per le pratiche di export se non il mero controllo normativo.
In questo contesto legislativo, vengono ad evidenziarsi delle incongruenze di gestione doganale tra i vari paesi che coinvolgono il settore dei trasporti, della logistica e delle operazioni doganali.
Nel caso delle esportazioni, l’art.161 del Codice Doganale prevede che le operazioni doganali debbano essere effettuate presso la dogana dove risiede l’azienda esportatrice, ovvero dove le merci vengono imballate e caricate. La maggior parte delle aziende italiane però vendono i propri prodotti “franco fabbrica” per problemi legati ai costi di trasporto interni. Questo permette al committente di decidere il mezzo di trasporto ed il suo instradamento, ed a chi affidare le operazioni doganali. Ne consegue che le Dogane Estere, ammettendo l’emissione di bollette doganali in altro paese comunitario, possono sdoganere fisicamente la merce presso i loro spazi, facendo acquisire gli introiti della movimentazione delle merci, della logistica alle aziende del proprio paese. A danno delle aziende italiane del settore. Trattandosi di una disposizione comunitaria, l’Amministrazione doganale italiana non può opporsi se non tentando di sensibilizzare le Dogane Estere, ma ovviamente il regime di concorrenza non prevede tali concessioni.
Per quanto invece riguarda le importazioni la cosa viene aggravata dal sistema IVA nazionale che obbliga gli operatori al versamento dell’imposta anche se gli stessi sono a credito. A parte le compensazioni che si possono effettuare, gli operatori hanno, come minimo, un inutile costo per esborso finanziario, quindi vengono spinti ad immettere le merci nel territorio comunitario in altro paese UE, evitando così di anticipare l’imposta. Per difendersi le aziende, sfruttando al massimo le agevolazioni concesse dalla legge comunitaria, avevano applicato l’istituto del “deposito IVA” con il quale poter annotare l’Iva in carico e scarico senza doverla esborsare, ricominciando quindi ad utilizzare le dogane italiane.
L’Autorità Doganale Italiana ha messo però in discussione l’utilizzo di questo istituto ricorrendo a chiarimenti spesso contrastanti e a sentenze mai univocamente risolte. Questa precaria situazione giuridica ha costretto le aziende a rinunciare al “deposito Iva” ritornando a sdoganare in altro paese comunitario.
Un ulteriore criticità va ricercata nel livello quantitativo dei controlli casuali che, in alcuni stati membri, è ridottissimo se non inesistente. E’ indubbio che un così elevato divario quantitativo di controlli “consigli” gli operatori sulla scelta del luogo di sdoganamento ai fini del contenimento dei costi della logistica.
E innegabile che la situazione descritta favorisce forme più o meno evidenti di concorrenza sleale tra Stati membri, a vantaggio di quelli che, prescelti per il livello particolarmente basso di controlli, verrebbero a beneficiare di tutte quelle attività indotte, con positive ricadute in termini di occupazione, oltre ad incamerare il 25% a titolo di spese di riscossione delle risorse proprie tradizionali.
Il risultato è una disomogeneità comunitaria di gestione del mercato dell’import/export. Disomogeneità che va a tutto vantaggio di quei Paesi che, gestendo un’economia senza vincoli di bilancio e di utilizzo della tassazione come mezzo di finanziamento, possono permettersi una blanda applicazione delle regole comunitarie per incentivare la propria produttività nell’ambito doganale.
In ultimo, questa diseguaglianza doganale pone seri problemi nell’analizzare correttamente i flussi commerciali dei paesi membri. E’ conosciuto come “Effetto Rotterdam e Anversa” e identifica un fenomeno per il quale una sempre più rilevante quantità di merci sbarca nei porti olandesi e belgi, registrata come import dell’Olanda e del Belgio e successivamente come vendita da questi Paesi verso i mercati europei di destinazione finale, benché si tratti nella quasi totalità dei casi di un mero transito. Molto import di Olanda e Belgio è a tutti gli effetti import della Germania, così come molta vendita dell’Olanda e del Belgio verso la Germania non è un vendita intra-Ue bensì un puro passaggio di importazioni tedesche da Paesi extra-Ue nei porti olandesi e belgi.
Evidenti dinamiche doganali distorsive che falsano le statistiche commerciali con i quali paesi forti giustificano azioni coercitive ai danni dei paesi periferici, per aumentare la propria egemonia politica ed economica sul mercato europeo.
Sull'effetto Rotterdam questo interessante articolo di Marco Fortis, dal sole24ore: Senza Ue il surplus si sgonfia