Tartassiamoci: “ce lo chiede l’Europa!” – Parte II – gli anni ’50: la riforma Vanoni illuminata dalla Costituzione.
Ezio Vanoni, democristiano, fu ministro delle Finanze nel V Governo De Gasperi ininterrottamente per cinque anni, Ministro del Bilancio e ad interim del Tesoro. Predispose la riforma doganale, quella tributaria, concorse a fondare la Cassa per il Mezzogiorno e ad istituire lʼEni.
Nellʼottobre del 1948 Vanoni presenta il bilancio di previsione del proprio ministero. La politica fiscale si assume un duplice compito:
- incrementare le entrate per fornire al governo le risorse finanziarie necessarie a sostenere la politica di ricostruzione
- ripartire il carico tributario tra i contribuenti in base alla loro capacità contributiva e cioè secondo un principio di progressività delle imposte sancito dalla Costituzione.
Un suo famoso discorso del 1948 introduce le linee guida che caratterizzeranno la riforma tributaria che il parlamento varerà nel 1951: «Ma findʼora deve essere detto che il fondamento della riorganizzazione del sistema tributario è quello segnato dalle norme costituzionali, che vogliono un ordinamento che realizzi la progressività nel sistema delle imposte. Questi scopi si possono raggiungere operando contemporaneamente secondo il mio pensiero sulle imposizioni dirette e sulle imposizioni indirette».
Quando Vanoni pronuncia queste parole, è professore di scienza delle finanze allʼUniversità di Venezia e profondo conoscitore del sistema tributario italiano. Negli ultimi anni del fascismo era stato chiamato a far parte di una Commissione incaricata di studiare le linee di una possibile riforma tributaria contribuendo ad identificare i difetti del sistema italiano ed individuando i possibili correttivi.
Infatti, il sistema tributario italiano si caratterizzava per una imposizione prevalentemente indiretta e reale. Indiretta poiché il fisco colpiva i trasferimenti di ricchezza ed i consumi. Reale nel senso che le imposte colpivano la ricchezza senza tener conto della condizione delle persone cui apparteneva. Un sistema iniquo che tendeva a scaricare sulle fasce più deboli della popolazione i costi dell’organizzazione statuale.
Vanoni aveva delineato un progetto di riforma che mirava a ribaltare questa situazione con un sistema a base prevalentemente diretta e personale e cioè con imposte che colpivano le manifestazioni dirette, immediate, della capacità contributiva dei cittadini (reddito e patrimonio) tutelando, con deduzioni e detrazioni, la condizione personale dei contribuenti.
Nel farlo però faceva rilevare l’opportunità di agire con cautela: «Ma per valutare ancora più a fondo quelli che sono i limiti e le condizioni dell’azione del Ministro delle finanze nel momento presente, noi dobbiamo tener presente soprattutto la struttura della nostra economia, struttura che è quella di una economia costituzionalmente debole, di una economia con redditi medi pro capite estremamente bassi, di una economia nella quale oltre il 50 per cento del reddito nazionale è costituito da redditi di lavoro, di una economia nella quale i ¾ del reddito nazionale sono posseduti da categorie che arrivano a mala pena al livello di una esistenza accettabile. Si aggiunga che si deve tener conto della necessità della nostra economia che è quella di avere un sistema tributario che consenta lʼaccumulazione del risparmio, perché lʼelemento più debole della nostra situazione è rappresentato proprio dallo squilibrio tra popolazione e capitale disponibile e noi dobbiamo far di tutto per correggere questo squilibrio, per ridurre la sproporzione tra le braccia che chiedono lavoro ed i mezzi e gli strumenti di lavoro esistenti.», Vanoni E., «Sullo stato di previsione della spesa del Ministero delle finanze per lʼesercizio finanziario 1948-49», Senato della Repubblica, seduta del 30 ottobre 1948
Il 25 gennaio 1951 il parlamento italiano approva la legge n. 25 «Norme sulla perequazione tributaria e sul rilevamento fiscale straordinario». La riforma annunciata da De Gasperi nel discorso di presentazione del suo V governo è finalmente varata. Vanoni persegue lʼobiettivo di una maggiore giustizia fiscale accentuando i caratteri dellʼimposizione diretta e personale:
«Questo complesso di provvidenze dà allʼimposizione diretta un andamento progressivo quale non ha mai avuto nel nostro ordinamento positivo». Senato della Repubblica, seduta antimeridiana del 27 luglio 1950
Il sistema tributario italiano si caratterizzava per un eccesso di imposizione indiretta e reale, che favoriva lʼevasione e lʼingiustizia fiscale. Vanoni aveva cercato di contemperare alla duplice esigenza di accrescere e perequare il gettito distinguendo tra imposte che colpiscono reddito e patrimonio (da incrementare) e imposte che colpiscono i consumi necessari (da ridurre). Si trattava di una soluzione temporanea dettata dalla preoccupazione di non incidere sulle entrate dello Stato nella fase della ricostruzione materiale e del risanamento finanziario del paese. La vera riforma consisteva però nel passare gradualmente ad unʼimposizione prevalentemente diretta e personale e cioè più conforme al principio costituzionale della capacità contributiva.
Vanoni individuava il difetto strutturale del sistema tributario italiano nella mancanza di un rapporto di fiducia tra contribuenti e fisco.
La riforma Vanoni reintroduceva lʼobbligo della dichiarazione annuale dei redditi. Il fisco, da ostile nemico diventa lʼautorità preposta dalla comunità a ripartire in modo equo le spese sostenute dallo Stato per garantire lo sviluppo della società civile: «Lʼabbiamo fin dalla prima legge del 1864. Ma perché la dichiarazione non si fa? Perché si è persa lʼabitudine da parte dellʼamministrazione di pretendere lʼosservanza di questo obbligo e da parte del cittadino di adempiere a questo obbligo? Ma perché la dichiarazione copriva il reddito di 4 anni, e la norma stabilì che correva lʼobbligo di dichiarare il reddito imponibile solo quando vi era una sua variazione.» Senato della Repubblica, seduta antimeridiana del 27 luglio 1950
E dunque, anche in virtù di quella fiducia verso il contribuente espressa nel "patto fiscale", la riforma Vanoni riuscì a ridurre sensibilmente le aliquote dell'imposta complementare, dell'imposta sulla ricchezza mobile, l'imposta di famiglia, l'IGE e l'imposta di registro.
Secondo Vanoni, bisogna tenere conto dei vantaggi che i singoli traggono dalla partecipazione alla vita sociale organizzata in Stato. Vanoni si riferisce in particolare alle classi agiate, a coloro che maggiormente beneficiano dellʼesistenza dello Stato. Senza lo Stato, o con uno Stato meno efficiente, i loro diritti alla proprietà, alla sicurezza, allʼordine pubblico sarebbero pregiudicati. Il loro stesso benessere materiale sarebbe pregiudicato. Con lo Stato quei diritti e quel benessere sono maggiormente tutelati. Da qui quell’obbligo morale verso la collettività che lo porta a dire: «chi possiede può giustificare il proprio possesso solamente se fa interamente il proprio dovere di solidarietà sociale rispetto al corpo sociale nel quale opera» (Vanoni E., La politica economica, cit., p. 228)
Il 16 febbraio del 1956, nel pieno della sua attività politica, Ezio Vanoni, colto da malore in Senato, muore prematuramente. Le sua riforma, seppur incompleta, si pone sulla via tracciata dalla Costituzione Repubblicana per un fisco equo e socialmente giusto, improntato alla redistribuzione delle ricchezze tra le classi sociali.
Il processo di riforma tributaria continuerà negli anni a seguire, ma come anticipato nel precedente post il processo di integrazione europea detterà regole diverse da quelle contenute nella Costituzione Repubblicana che influenzeranno irreparabilmente il nostro sistema fiscale, portandolo a diventare il mostro succhia-sangue che tutti noi conosciamo e di cui Equitalia rappresenta solo l’ultima aberrante creatura.
Andrea Franceschelli – ARS Abruzzo
Continuiamo così. Il lavoro è lungo ma ci siamo incamminati sulla strada giusta e abbiamo già percorso un tratto significativo di strada.