Cosa fatta capo ha
di LUCIANO DEL VECCHIO (FSI Bologna)
L’uscita della Gran Bretagna dall’unione diarchica franco-tedesca apre gli Anni Venti del XXI secolo; la sua importanza è epocale non solo per i Britannici ma anche per gli altri popoli, che potrebbero essere tentati di seguirne l’esempio, specialmente per quegli stati che ne sono contribuenti in perdita, come l’Italia. Dopo una vicenda controversa iniziata con il referendum del 23 giugno 2016, la Brexit diventa effettiva. In quella consultazione si chiese agli Inglesi, come si usa in ogni normale democrazia, se volevano rimanere all’interno dell’Unione franco-tedesca o se volevano uscirne. Su quel referendum stampa, televisioni e reti web scatenarono un terrorismo politico e ideologico senza precedenti. Agli inglesi furono prospettati minacciosamente scenari apocalittici nel caso avessero deciso di uscire. Nonostante questo, il responso delle urne fu chiaro e inequivocabile: la “plebe ignorante, vecchia e campagnola” decideva di lasciare l’asse Parigi-Berlino per mantenere e difendere la propria sovranità nazionale. L’alleanza carolingia rispose piantando quanti più ostacoli possibili all’attuazione della scelta inglese, cercando di far pagare a Londra il prezzo più salato possibile, nella speranza infondata che un secondo referendum ribaltasse l’esito del primo; oppure, come è usuale pretesa dei funzionari franco-tedeschi in organico negli uffici di Bruxelles, che i governanti inglesi cestinassero i voti dei connazionali per continuare, come se nessun pronunciamento popolare ci fosse stato, a soggiornare con un piede dentro e l’altro fuori all’interno della dittatura buro-oligarchica continentale.
Dopo circa due anni e mezzo di trattative futili e inutili, la svolta decisiva matura con le elezioni politiche del 12 dicembre del 2019. Durante la campagna elettorale il signor Boris Johnson comunica a muso duro le sue intenzioni al signor Macron e alla signora Merkel e chiede al suo popolo un mandato forte e chiaro per applicare l’esito referendario senza ulteriori indugi e a qualunque prezzo. Così parla uno statista e l’effetto è una fiumana di consensi. Gli Inglesi hanno compreso in pieno il pesantissimo deficit democratico che alligna dentro l’unione spacciata come europea e il rischio altissimo di perdere la sovranità nazionale restandone membri. Nigel Farage, leader del Partito per l’Indipendenza dal 2010 al 2016, il più noto artefice della brexit, rivolge l’invito dell’ exit ad altre nazioni, convinto che i prossimi a uscire saranno gli Italiani e, a seguire, i Polacchi e i Danesi.
Contrariamente a quanto tamburellato dagli euroburocrati, dai mass-ingaggiati di casa nostra, dagli esperti tromboni, dagli analisti domenicali e via pontificando, la Gran Bretagna non ha subito nessun trauma economico; i capitali non sono fuggiti ma al contrario affluiscono in aumento; la sterlina si sta rafforzando; l’economia non registra scossoni; gli Inglesi, liberi da lacci e laccioli di Bruxelles, sono ora in grado di tutelare in pieno i propri interessi e, di volta in volta, scegliere la politica economica più adatta e funzionale alle esigenze del momento. La fabula mediatica italiana, nella quasi totalità allineata sulle bugie e le “false nove” di Bruxelles, ne esce vergognosamente screditata.
Anche l’altro spauracchio agitato dall’eurocupola, ossia l’irrilevanza politica, è stato agevolmente fugato dal Regno Unito che, sottrattosi al cappio francotedesco, ha conservato più stretti rapporti con Washington. Oggi per gli americani è più che mai irrinunciabile mantenere un’alleanza più forte con il loro partner strategico, al quale sono disposti a cedere in politica estera uno spazio di manovra maggiore di quello già ampio che tradizionalmente gli cedono. Dunque l’esempio della Brexit nel breve o nel lungo periodo può rivelarsi catastrofico per il blocco di potere cementatosi ad Aquisgrana, perché uno stato importantissimo ne esce senza subire contraccolpi, ma anzi ottenendo vantaggi notevoli in vari campi.
Nel caso dell’Italia lo scenario aperto dalla brexit renderà atrocemente insopportabili nuove richieste di sacrifici, di tagli, di tasse, di ulteriori lacrime e sangue, e palesemente ridicola la riproposizione del “ce lo chiede l’Europa” o del “fuori dall’Europa è il disastro” da parte dei nanetti di turno. Ma oltre questa, un’altra lezione l’Isola sta impartendo alla Penisola tramite il signor Johnson: un ceto dirigente al governo di una nazione, realmente intenzionato a far valere la Costituzione del proprio paese, le proprie leggi nazionali e il sistema democratico, è in grado di reggere qualsiasi braccio di ferro contro qualsiasi dittatura finanziaria allogena che osi ricattare un popolo. Un pachidermico organismo assolutamente antidemocratico sta imponendo ai governi e ai popoli del vecchio continente scelte suicide in economia, folli in politica, devastanti in cultura e storia. È dovere patriottico lottare perché il momento della liberazione giunga, come per il popolo inglese, anche per tutti i popoli europei.
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