Los Hombres de negocios. Tra finanza pubblica e accumulo capitalistico.
A partire dal XVI secolo in Spagna cominciavano, lentamente, gli arrivi dell’argento americano, i quali si andavano infittendo intorno alla metà del ‘500, in corrispondenza della scoperta del giacimento di Potosì e dell’invenzione metallurgica del processo estrattivo dell’argento tramite un amalgama con il mercurio; arrivando negli anni ’20 del XVII secolo a circa 13,6 milioni di once secondo la stima di Earl J. Hamilton.
L’enorme massa di ricchezze americane, passando per Siviglia, si riversava sull’intero continente europeo, dove non cessava di valorizzarsi, offrendo nuovi mezzi di pagamento ad un sistema che, in ragione dell’aumentato volume degli scambi, si era ampiamente avvalso delle prerogative della cambiale cartacea. Le politiche mercantiliste attuate da Carlo V, prima, e da Filippo II, dopo, risultarono del tutto inefficaci a contrastare l’enorme differenziale tra un paese con un’improvvisa inflazione d’argento, che portava a rialzo prezzi e salari, e il resto delle nazioni d’Europa, alle prese con un’endemica carenza di numerario, ma disposte a scambiare l’aumento delle proprie eccedenze.
Un’altra e più importante ragione, però, comportava l’emorragia di metallo prezioso dalla penisola iberica: le esigenze dell’impero asburgico. In particolare, Filippo II, re di Spagna dal 1556, cercò di recuperare le Fiandre alle influenze della corona. Al fine di reprimere le rivolte religiose e fiscali degli olandesi, il re inviò ad Anversa il duca d’Alba, alla testa di un esercito composto da circa 10,000 soldati. Il denaro per il pagamento delle truppe doveva essere mobilitato velocemente e regolarmente, onde evitare ammutinamenti e insubordinazioni, come l’episodio del sacco di Anversa nel 1576. Inoltre, il salario mensile del soldato era pagato in ducati d’oro, mentre la corona spagnola possedeva un’enorme massa di monetario in argento che, dunque, doveva essere convertito.
Ecco dunque entrare in gioco i finanzieri genovesi, che riuscirono a soppiantare i Fugger, storici finanziatori della corona asburgica, ma che si trovarono del tutto impreparati a gestire il nuovo complicato orizzonte geopolitico. Quali erano i vantaggi competitivi dei genovesi? Principalmente tre: il giovarsi dell’esperienza di un sistema di gestione del risparmio ampiamente consolidato da oltre un secolo di storia (Banco di San Giorgio – 1407), lo sfruttamento delle ramificazioni “internazionali” delle proprie imprese bancarie, infine, il potersi avvalere dei più moderni strumenti istituzionali per la raccolta del risparmio e la mobilitazione del credito.
Come abbiamo anticipato, tutto il sistema era fondato sugli arrivi dell’argento americano. Il primo problema per la corona spagnola, però, si poneva nel fatto che tali arrivi erano tutt’altro che regolari, al contrario delle spese per il mantenimento dell’esercito e dell’apparato burocratico, che invece rimanevano costanti. Per tale ragione, la corona spagnola fu costretta a rivolgersi a finanziatori privati per avere anticipi rimborsabili con l’arrivo a Siviglia dei galeoni americani (Asientos). La Spagna fu obbligata, dunque, ad emettere dei titoli del debito pubblico: i cosiddetti “juros de resguardo”. Questi venivano acquistati dai finanziatori genovesi, che a loro volta li piazzavano nel mercato secondario ai risparmiatori italiani e spagnoli. Fu in questo contesto che si diffuse la nomea dei genovesi quali “hombres de negocios”. La portata della loro operazione fu e resta enorme, il primo esempio di “finanza globale”, che coinvolse i titoli del debito statale. L’abilità dei genovesi fu quella di servirsi del risparmio per garantire gli enormi anticipi alla corona spagnola. Essi vendevano i titoli nel mercato secondario, dietro la promessa di un basso tasso di interesse, e con la garanzia che il capitale sarebbe stato interamente restituito una volta che anche la corona avesse restituito l’anticipo. Duplice fu il guadagno da questa attività, il primo sul differenziale di interesse che i genovesi riuscirono ad ottenere dalla corona, rispetto a quello che, invece, elargirono ai risparmiatori; il secondo dipese dal differimento del pagamento del rimborso del re rispetto al pagamento del rimborso dei risparmiatori. È importante sottolineare come la monarchia spagnola soggiacque completamente al sistema genovese, e, se è vero che con diverse bancherotte consecutive tentò di estromettere banchieri che acquistarono troppo potere, è anche vero che quello che uscì dalla porta rientrò spesso dalla finestra. Lo Stato, cioè, pur sbarazzandosi dei monopolisti del momento, non riuscì però a sbarazzarsi della struttura stessa del finanziamento lobbista. La monarchia spagnola non riuscì mai a dar vita ad una banca nazionale che potesse plasmare un circuito del credito ad uso e consumo dello Stato, il quale, invece, in tale situazione, oltre ad accumulare debiti verso l’estero, vide anche salire il passivo della propria bilancia commerciale, facendo fuggire ad est l’argento americano.
Parallelamente i mercanti italiani assolvevano anche alla funzione di conversione e trasferimento del numerario spagnolo in oro sulla piazza di Anversa. Tutto ciò era sostenuto dal clearing delle cambiali cartacee, che poggiava sulle eccedenze delle bilance commerciali italiane ed olandesi. Il disavanzo costante delle loro economie produceva mezzi di pagamento supplementari, che avrebbero dovuto essere scontati con l’oro. I genovesi, tramite il controllo delle fiere, quali centri di scambio e pagamento internazionale, riuscirono a gestire i traffici monetari e a trasportare e convertire in oro enormi quantitativi di argento.
L’importanza della vicenda, illustrata qui solo superficialmente, è fondamentale perché, pur ben lontani dall’era della finanza dispiegata, essa enuclea i prodromi del dualismo bancario, tra formazione di mezzi di pagamento e struttura di finanziamento. È rilevante poter separare, all’interno dell’attività bancaria, il ruolo del mercato del credito dalla creazione di moneta al servizio della circolazione delle merci. Se all’interno della banca si compie l’intima sintesi tra l’esigenza di mezzi di pagamento e la struttura di finanziamento propria dell’accumulo capitalistico, profondamente estranei rimangono tra loro le funzioni e i flussi delle attività. Mentre, infatti, la moneta credito segue le esigenze dello scambio tra soggetti economici, il credito bancario dematerializza l’economia e conserva se stesso, creando le condizioni per la sua riproduzione allargata. In termini marxiani, quest’ultima è la configurazione di un sistema basato sulla tendenza del valore di scambio a porsi e a perpetuarsi nella pura forma del denaro senza uscire mai da se stesso. In questo complesso lo Stato gioca un ruolo fondamentale nella dotazione della necessaria legittimità, non solo e soltanto come regolatore, ma principalmente come garante. Il quadro storico fornisce, dunque, un caso esemplare affinché gli stati nazionali non dotino alcuna legittimità e alcuna garanzia ad un sistema di finanziamento privato dei deficit di bilancio che non può che andare a loro discapito.
BIBLIOGRAFIA
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Kindleberger C. P., I primi del Mondo, Roma 1997;
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