"Dire come stanno le cose": delegittimare l'ipocrisia
di Alessandro Bolzonello
Sono stato educato a dire ciò che si deve dire, non a dire ciò che si sente, si vede e si pensa. In molte occasioni ho percepito chiaro l’ammonimento, preventivo e consuntivo, dell’esprimere un parere, talvolta indicato come atto eversivo, in particolare quando espresso in ambienti istituzionali.
L’esprimersi risente di regole culturali, spesso implicite, condensate nell’espressione politically correct ovvero valutazione di opportunità. Concetti in sé nobili che rinviano a linee di opinione ed atteggiamenti sociali di attenzione e rispetto dell’altro, ma, contestualmente, strutturalmente ambigui che si prestano a diverse interpretazioni. Se è vero infatti che esercitare attenzione e rispetto implica accettare che esiste un limite alla libera espressione, spesso tale limite viene pretestuosamente interpretato quale legittimazione dell’adulterazione, fino al tradimento del significato originario: giustificazione della menzogna, diffusione della mistificazione, sdoganamento dell’ipocrisia.
A tal riguardo la classe politica degli ultimi anni ha evidenziato tra le sue fila esponenti esemplari: millantatori accompagnati dalle loro claque.
Chiari sono i segnali che questo tempo è arrivato al capolinea: l’abilità di tenere in piedi castelli di carta, giustificando a priori ogni cosa, non è più attuale ed i suoi tradizionali attori si trovano disorientati, incapaci di muoversi nel mutato contesto. E’ arrivato il tempo di vedere, comprendere e agire, soprattutto di “dire come stanno le cose“.
Cavalco quindi l’invito di Papa Bergoglio quando auspica di non usare un linguaggio socialmente educato, ma di farsi portavoce della verità con la stessa trasparenza dei bambini. Duplice è l’azione necessaria: ripulire il linguaggio, da una parte, ridando senso, significato e valore alle parole, dall’altra stigmatizzare chi lo abusa con la manipolazione e la mistificazione.
E’ tempo di guardare in faccia la realtà e di proclamare finita un’epoca e con essa la fine dell’ideologia della crescita e dello sviluppo. E’ tempo di riposizionare ogni cosa coerentemente ad energie, risorse e possibilità. Riposizionamento nel ridimensionamento. Oggi è questo il possibile auspicabile.
Foto: vita da fabbrica
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