Tartassiamoci: “ce lo chiede l'Europa!” Parte III: Cosciani Vs. Visentini
“La politica è l’arte d’impedire agli avversari di fare la loro.” Roberto Gervaso
Alla morte di Ezio Vanoni l’ordinamento tributario, se pur incamminato verso la via tracciata dalla Costituzione, era ancora molto lontano dall’incarnarne in maniera esatta e puntuale i princìpi.
Gli anni ’60 si sono caratterizzati per l’intensa attività di studio dedicata alla riforma tributaria che di lì a pochi anni doveva concretizzarsi dando un nuovo volto all’ordinamento tributario italiano.
E’ questo il periodo nel quale due uomini, con idee e visioni diverse, si confrontarono e scontrarono nel dibattito relativo alla riforma tributaria: Cesare Cosciani e Bruno visentini.
Le “lame” tra i due, ad onor del vero, si erano già incrociate ai tempi della “commissione Vanoni” nel 1948, e le rispettive relazioni presentate in quella commissione rappresentano il preludio di quello che sarà il dibattito negli anni ‘60
Cosciani era un uomo accademico, non era un politico in senso stretto, ma i suoi argomenti lasciavano chiaramente intendere che il suo orientamento fosse fortemente socialdemocratico.
Visentini era al contrario un politico, uomo di spicco del Partito Repubblicano Italiano, un liberale quindi.
Era il 1962 quando l’allora ministro delle finanze Giuseppe Trabucchi istituì la commissione per lo studio della riforma tributaria di cui fu designato vicepresidente Cesare Cosciani e che vedeva tra i suoi componenti anche Bruno Visentini.
La Commissione produsse un’enorme mole di documenti e relazioni preparatorie sui diversi problemi della riforma; nel maggio del 1963 i lavori terminarono con un rapporto, redatto da Cosciani, che conteneva le proposte di una nuova struttura dell’intero sistema di imposizione.
La relazione completa venne pubblicata nel 1964, con il titolo di Stato dei lavori della Commissione per lo studio della riforma tributaria.
Nel settembre del 1964 venne affidata a Cosciani la presidenza del “Comitato di studio per l’attuazione della riforma tributaria”, che in una prima fase dei lavori affrontò un programma concreto di riforma tributaria da attuare nell’arco di un quinquennio ed una relazione contenente le linee di riforma, approvata dal Parlamento nel giugno del 1965.
Nel febbraio del 1966 Cosciani preparò una bozza di progetto legislativo già completamente articolato in 243 articoli ed accompagnato da commenti ai singoli articoli;
Nel giugno del 1966 Cosciani si dimise dalla guida del Comitato non condividendo né il “metodo di lavorare né alcune scelte concrete”. Queste le motivazioni generiche da lui addotte che determinarono, di fatto, il sorpasso di Visentini e quindi di parte delle sue idee, nella traduzione di quella che sarà la riforma che, di lì a breve, porterà proprio il nome del “Repubblicano” Visentini.
Ma su cosa si giocò il contrasto fra i due? Pare scontato dire che la “visione di Stato” di un liberale sia diversa da quella di un socialista democratico. Tale visione ovviamente si ripercuote su quella che è la finanza pubblica. Su cosa deve finanziare, in che misura e soprattuto CHI deve maggiormente contribuirne. Intendo con “chi” quale fascia della popolazione.
La diversità di intendere lo Stato, “minimo” e “silenzioso” per un liberale e “centrale” e “sociale” per un socialista democratico, determinano, come è giusto che sia, un modo di vedere le imposte e il sistema impositivo geneticamente diverso.
Dal punto di vista tecnico le due visioni sono molto ben sintetizzate in questo studio di cui riporto qualche passo significativo:
“Visentini muoveva sicuramente dalla considerazione che era illusorio perseguire la giustizia tributaria attraverso l’accentuazione della personalizzazione dell’imposizione diretta: riteneva, infatti, inopportuna l’introduzione di elementi di personalità nell’imposta proporzionale per problemi legati all’amministrazione finanziaria (che si troverebbe a far fronte ad accertamenti dei singoli redditi oltre che alle richieste di rimborso generate dalla presenza di “condizioni soggettive”), per la presenza di maggiori rischi di evasione e sperequazione, ma anche per le connesse implicazioni in termini di nominatività “obbligatoria”. Così facendo riteneva che non si sarebbe fatto altro che spostare (maggiormente) l’onere dall’imposizione diretta a quella indiretta. Ancora, la constatazione dell’insuccesso dell’imposizione personale preesistente lo spingeva a criticare fortemente lo spostamento di tutta l’imposizione diretta in direzione della personalità; ritenendo altresì utile l’abbandono dei pregiudizi nei confronti della regressività dell’imposta indiretta, che avrebbe potuto essere opportunamente trasformata con elementi di progressività.
Il ruolo che riconosce ad una eventuale maggiore imposizione sui redditi più elevati trova fondamento esclusivamente nella maggiore capacità contributiva mentre nega l’assegnazione di un qualsiasi principio redistributivo. Visentini assume una posizione nettamente contraria alla ipotizzata concentrazione dell’imposizione diretta in una unica imposta personale e progressiva motivando il suo dissenso con la presenza di una distribuzione e livello medio dei redditi tali da impedire il trasferimento dell’onere tributario dai redditi meno elevati a quelli più elevati. Accanto a queste osservazioni pone alcune considerazioni di favore al mantenimento dell’imposizione proporzionale reale, di una imposta autonoma personale e progressiva sul reddito totale, ma solo sui redditi superiori ad 1-1,5 milioni (quindi su pochi redditi) e con accertamento diverso rispetto a quello delle imposte reali, sottolineando nel contempo la necessità di una riduzione delle aliquote, quale premessa per spingere i contribuenti a dichiarazioni veritiere e, conseguentemente, per ridimensionare notevolmente il numero degli accertamenti da effettuare.
Dall’altra Cosciani poneva, invece, molta enfasi al miglioramento della distribuzione dell’onere fiscale tra i contribuenti che riteneva del tutto irrazionale e sottolineava gli inconvenienti del sistema vigente con riferimento agli aspetti di discriminazione quantitativa e qualitativa.
Sotto l’aspetto quantitativo l’inconveniente strutturale derivava, secondo Cosciani, dallo scarso peso riconosciuto agli elementi di “personalità” delle imposte, quindi in palese divergenza con quanto sostenuto da Visentini. Cosciani sottolineava, infatti, che il sistema era caratterizzato da prevalenza di imposte reali, da scarsa progressività, da scarse detrazioni, da eccessivo peso dell’onere sulle imprese rispetto alle famiglie, da accertamento alla fonte ma con scarsa riscossione alla percezione, oltre che dall’esistenza di sperequazioni legate ai diversi accertamenti su redditi effettivi e su redditi forfetari, e alla diversità di aliquote nelle imposte; tutti aspetti di cui attribuiva la responsabilità alla mancata personalizzazione. Ancora, sotto il profilo della discriminazione qualitativa, riteneva che la presenza di aspetti distorsivi dovesse essere imputata all’esistenza di imposte patrimoniali con il solo carattere della occasionalità.
Cosciani si pone, nella proposizione delle scelte relative al sistema tributario, in modo molto più radicale sostenendo che quanto dovrebbe essere intrapreso non può che essere una riforma strutturale con accentuazione della progressività e della personalità delle imposte: la necessità di una revisione radicale per correggere e migliorare la razionalità del sistema tributario.”
Sul solco del conflitto di queste considerazioni la riforma tributaria degli anni ’70 – di cui parlerò nel prossimo post – prendeva forma, ma nel frattempo il “mostro europeo” continuava a crescere e le ingerenze nella fiscalità dei paesi membri si iniziavano a palesare nell’incoscienza generale dell’opinione pubblica e dei contribuenti.
P.S. dedicato a chi non ha capito quali sono le dinamiche contrapposte che muovono la politica
La lotta per la “finanza di classe”, pare strano ma c’è sempre stata. Dal dizionario Treccani alla voce “Decima” : “Nel 1495 si creò la decima scalata, imposta progressiva con una progressione volutamente rapida per diminuire la potenza economica, e quindi politica, delle grandi famiglie. La decima scalata, riuscita perciò gravosissima, fu poi abolita.”
Andrea Franceschelli – ARS Abruzzo
questa è la terza parte di una serie di post che verranno pubblicati su appelloalpopolo.it. Le parti precedenti sono le seguenti:
- Tartassiamoci: “ce lo chiede l’Europa!” Parte I – il contrasto tra principi costituzionali e direttive europee
- Tartassiamoci: “ce lo chiede l’Europa!” – Parte II – gli anni ’50: la riforma Vanoni illuminata dalla Costituzione.
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