Con un'impostazione errata, non si batterà mai un Kyoto
Nel mio viaggio nel concetto di contingenza in economica, vorrei fare un salto di perimetro, per rendere chiara l’importanza che risiede nell’impostare i problemi nel giusto modo, consono all’oggetto del problema di volta in volta in questione. Come nel precedente articolo, infatti, ho parlato di moneta dichiarando che l’unica impostazione sostenibile è perimetrata allo Stato, in quanto è inscindibile la correlazione tra Stato, sistema economico-finanziario-giuridico e moneta, oggi voglio parlare di un qualcosa che abbraccia il mondo intero e quindi, data la contingenza che interessa tutti noi cittadini del globo, dovrebbe essere affrontato a livello globale, senza più Stati ma come umanità nel suo complesso, e questo qualcosa è il rispetto della natura. La risoluzione del problema è comunque simile e dato che dovremmo scegliere come un unico cervello, come intelligenza collettiva, affronteremo i due grandi temi che descrivono la scelta: vincoli e funzione.
Iniziamo però con un presupposto, con un qualcosa che sembra non essere inerente, ma che è determinante nello scindere il problema in due, funzione da un lato, ma vincoli dall’altro, e questo qualcosa è il fatto oggettivo che da soli non riusciamo a scegliere in un ottica che non percepiamo. Infatti direi che il nostro cervello considera delle variabili ed altre no (esternalità, nel senso di non prese in considerazione quando invece sarebbero inerenti al problema) e pertanto compie delle scelte a livello individuale non efficienti a livello di collettività a causa di queste esternalità, di queste variabili non considerate in quanto non percepite, il più delle volte perché esulano dalle nostre possibilità di influenza. Bene, la somma di tutte le scelte individuali, crea una singola funzione, che poi descrive l’atteggiamento dell’umanità nei confronti della natura, che chiameremo f (RdN), dove RdN sta per Rispetto della Natura. Come ogni funzione, essa potrà essere verificata in un’area che sarà un sottoinsieme degli assi cartesiani e, all’interno di essa, all’interno del suo dominio (insieme dei punti all’interno dell’asse cartesiano nei quali la funzione può essere verificata), la funzione può raggiungere dei punti di massimo o di minimo o stazionare nel mezzo, ma è comunque vincolata all’interno di questo sottoinsieme degli assi cartesiani definito dominio. Quindi il problema, a livello istituzionale, a livello di Kyoto, è porre dei vincoli che creino un’area tale per cui la funzione potrà raggiungere adeguati livelli di soddisfazione. All’interno di questo dominio, dove le nostre scelte personali entrano in gioco, con la raccolta differenziata o attenzione all’ambiente in linea più o meno generale, la funzione RdN può raggiungere dei punti più o meno alti, avrà forze che la spingeranno in alto e forze che la spingeranno in basso ma, ed è questo il senso dell’articolo, porre dei vincoli alla funzione che creino un dominio che permetta alle singole scelte private di poter raggiungere un punto più alto per RdN è possibile e necessario. Analizziamo la scelta dei vincoli creanti il dominio, quella istituzionale e capiamo come oggi si presenta. Nel farlo vorrei porvi un interrogativo. Se avete un problema, pensate a risolverlo o pensate a come alleviare i danni che il problema provocherà? Kyoto, da parte sua, è un programma di graduale minor emissione di inquinamento. La visione di Kyoto è alleviare il problema. Quando potremmo, se pensassimo come unica y, come un unico cervello, passare alle rinnovabili in breve. Per rendere comprensibile la storia del dominio della funzione suddetta, ho creato i due grafici che frullano nel mio cervello, il primo descrive come agisce R (le rinnovabili), il secondo come agisce Kyoto, nell’influenzare l’area entro la quale la funzione RdN (Rispetto della Natura) può muoversi.
Quindi il problema, dato l’andamento esponenziale con lenta crescita iniziale del dominio creato dalla funzione R, è porre R un balzo in avanti, non con il ritmo degli investimenti in rinnovabili attuali, ma con uno scatto che ci posizioni subito nel suo tratto crescente in modo esponenziale. Infatti il dominio di RdN (nei grafici le aree azzurre) corrisponde al tratto scelto (in ogni punto andrà scelto il tratto che si posizionerà più in alto e incorporerà l’altro) tra le curve o rette create da R e Kyoto. Quindi, se il dominio creato da R diventa “più alto” del dominio creato da Kyoto, il dominio per RdN corrisponderà ad un’aria più ampia, quella corrispondente al dominio creato da R.
Analizzando Kyoto, essendo una semplice graduale attenuamento del problema, cioè essendo una non soluzione, notiamo che il dominio aumenta secondo una retta crescente il modo lento e monotono, aderente alla sua visione strettamente passiva nella risoluzione del problema. E noi singoli privati ci concentriamo sulla quantificazione del miglior risultato possibile, giustamente, per carità, ma non capiamo che è il metodo con cui si pongono i limiti alla funzione ad essere sbagliato. Proattivi, unica y, perché l’oggetto del discorso coinvolge tutti, potendoci allargare non solo nello spazio, ma anche nel tempo. Cosa potrebbe far scattare questa molla in avanti, questi investimenti che allo stato di cose, senza Stati che si parlano proattivamente, sembrano impossibili? Per rispondere dobbiamo considerare perché gli Stati non sono spinti a farlo e prenderò in considerazione due grandi cause. La prima è, per così dire, lobbistica, nel senso che secondo i dettami della funzione dell’innovazione, finché si potranno sfruttare i combustibili fossili ed annessi, o quantomeno finché non scarseggeranno seriamente, sarà più economico usare essi, a prescindere dal fatto che per l’umanità sia conveniente il contrario. Questo perché l’umanità, a differenza delle imprese, dovrebbe avere la massimizzazione della funzione di RdN come priorità, non come esternalità. L’interesse privato del profitto è giusto, il fatto che per il profitto RdN sia un’esternalità è giusto, ma l’umanità dovrebbe avere obiettivi diversi, tra cui, ovviamente, massimizzare f (RdN). Il concetto da capire è, infatti, che noi oggi addebitiamo il troppo inquinamento alle aziende petrolifere, alle aziende cinesi o ad altro, ed è tutto giusto, ma non capiamo che l’obbligo o meno, la convenienza o meno delle singole aziende, come le possibilità delle singole persone, non entrano nel merito del dominio della funzione. Se, per esempio, l’azienda non ha convenienza economica non investirà mai e quindi, per badare alle necessità della collettività che il mercato non riesce a soddisfare (in quanto per il mercato taluni bisogni sono esternalità, dato che la sua mission è il profitto e non il benessere sociale), entrano in gioco gli Stati, perché gli Stati siamo noi. Posto che, quindi, per “colpa” della funzione dell’innovazione, questi maggiori investimenti dovranno essere statali, pubblici, dobbiamo chiederci perché non vengono fatti. Ed enunciando la seconda grande causa, la storia si fa interessante, perché proprio quando dovremmo ragionare da global, da senza frontiere, qui no, qui ragioniamo da Stati, anche da Stati protezionistici rispetto al proprio diritto ad inquinare. In che modo gli Stati si esimono da tutto ciò, qual’è l’ostacolo dato come insormontabile? La “scusa/causa” è che ogni Stato ragiona per sé in merito all’energia, ogni Stato la può vendere e/o la può comprare, ed ognuno ha una propria autonomia patrimoniale in tal senso. Ogni Stato, nell’odierna visione individualistica di RdN, ha un proprio costo per gli investimenti nell’energia rinnovabile e la sua bilancia commerciale, isolando le entrate/uscite nel comparto energetico, può essere così riassunta: + Esportazioni energetiche – Importazioni energetiche + Ritorno da investimenti in rinnovabili – Investimenti in energie rinnovabili. Ora è evidente che se la seconda parte della questione, quella che valorizza gli investimenti necessari per far compiere lo scatto al dominio di RdN grazie ad R, fosse indifferente per gli Stati a livello di loro rapporti relativi, tale scatto in avanti potrebbe essere realtà. Il nocciolo è raggiungere una elevata efficienza in R per rendere economico l’investimento in rinnovabili, ed è quindi necessaria un’elevata massa di investimenti in ricerca e sviluppo, per raggiungere efficienza a livello energetico ma anche a livello di costi, grazie ad economia di scala o di rete o di semplice volume d’affari. Ogni Stato oggi, dovendo ragionare per sé, dovrà chiedersi qual’è il suo giusto equilibrio tra investimenti in R e bilancia commerciale, questo equilibrio sarà condizionato nel breve periodo dal costo in investimenti in R, i quali nel lungo periodo potrebbero però portare notevoli vantaggi. Vantaggi che si potrà avere al costo di “scoprire il fianco” nel breve, tanto più quanto più alti saranno i suoi investimenti in R. Quindi, ogni singolo Stato, si troverà nella situazione tale per cui è da solo di fronte alla scelta se investire in R&S in R o meno, se abbracciare o meno la visione di Kyoto, concentrata solo al diminuire i contro e non ad aumentare i pro. Purtroppo, nella realtà la scelta è presto fatta e quindi, con funzioni decisionali separate, nessuno Stato si avventura concretamente nel passaggio alle rinnovabili, o quantomeno ci si avventura troppo lentamente, perché servono ingenti investimenti per un lungo periodo, in cui i costi saranno maggiori dei vantaggi e se sarà l’unico ad avventurarsi avrà enormi problemi. Mentre se la funzione fosse unica, mondiale o di un’insieme di paesi “commercialmente autonomo”, i valori differenziali tra gli Stati sarebbero nulli, e il punto della funzione “rispetto della natura” che il mondo raggiungerebbe sarebbe enormemente più elevato. Non sarebbe certo il punto di massimo possibile, dato il discorso degli Stati e delle oligarchie che detengono le materie prime oggi utilizzate con tanta foga, ed anche altri ordini di problemi tra cui il fatto che non consideriamo la natura una nostra ricchezza (oggi la ricchezza è ciò che si guadagna, non ciò che si ha a disposizione), ma sarebbe, comunque e sicuramente, un punto della funzione più elevato di quello che si raggiunge oggi con una funzione RdN singola per ogni Stato.
Ciò che spero rimanga è il fatto che, in questo come in ogni altro discorso in cui siamo collegati ad altri, l’intelligenza collettiva non è tangibile, d’accordo, percepiamo che la nostra scelta in infinitesima istanza inciderà anche nelle vite altrui, ma non capiamo come si può arrivare ad avere un risultato che sia veramente un qualcosa che derivi da ciò che sceglieremmo se ci potessimo parlare, se potessimo indire un’assemblea mondiale, se il dilemma del prigioniero di Nash non esistesse. E non capiamo che in fondo un’assemblea mondiale sarebbe perfetta per poter decidere insieme, ma per avvicinarsi al risultato sperato basterebbe impostare le questioni in modo tale per cui le stesse portino il tutto ad avvicinarsi ad un qualcosa che sia costruttivo.
Dicevo in precedenza, e credo sia consono chiudere con ciò, che il rispetto della natura è un discorso che si estende nello spazio, ma anche nel tempo. Siamo collegati alle generazioni che ci hanno preceduto in quanto da loro abbiamo ereditato e siamo collegati a chi ci succederà, perché a loro lasceremo, volenti o nolenti. La funzione RdN è importante, chiamatela come volete, ma è più grande di noi e dobbiamo iniziare a considerarla.
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