La sovranità non è un’opzione
La sovranità non è un’opzione
Due sono i concetti di Stato secondo il diritto internazionale: lo Stato/organizzazione/governo cioè l’insieme degli organi che esercitano il potere di imperio sui singoli; e lo Stato/Comunità cioè l’insieme dei cittadini stanziati in un determinato territorio soggetto a un determinato ordinamento. A questi due concetti di Stato possiamo far corrispondere due concetti di popolo: nell’accezione giuridica il popolo è la comunità di individui che possiedono lo status di cittadini di uno Stato; nell’accezione sociologica è il gruppo umano che si autopercepisce come comunità esistente nel tempo e nello spazio, nella storia e sul territorio, nella dimensione culturale e in quella ambientale. Questo concetto di popolo, in riferimento agli aspetti di comunanza di lingua, religione, tradizioni, usi e costumi, storia, è affine e si avvicina molto a quello di nazione. Ciò vale particolarmente nel caso italiano dove la nazione nasce non come etnica ma storica e linguistico-culturale. Sia che lo si assuma in un’accezione come nell’altra, un popolo non può rinunciare al suo Stato/apparato/comunità, cioè alla sua sovranità. Altrimenti si estingue.
Un popolo deve dunque esistere nel corso del tempo ed esiste se è sovrano, cioè se si costituisce Res Publica, Stato, l’istituzione-organizzazione che lo tutela e lo salvaguarda come comunità territoriale e culturale. Un popolo deve essere padrone del suo tempo; soprattutto della sua storia deve farsene carico interamente, sia dei suoi momenti esaltanti di gloria e onore sia di quelli più dolorosi di estrema abiezione e viltà. E deve essere padrone del suo spazio come territorio, ambiente, demanio, ager publicus, casa. Se un gruppo umano non esiste come comunità stabile nel tempo e occupante uno spazio, non ha senso parlare di democrazia, di libertà, di indipendenza, di giustizia sociale, di socialismo; tutti questi ideali presuppongono l’esistenza di un popolo.
Ma un popolo può estinguersi. Si estingue quando, disperso e disunito sotto altre compagini statali, non si costituisce Stato. Quando distrugge la sua coesione facendo mancare la solidarietà ai suoi membri più deboli; quando rinuncia alla civiltà ignorando la giustizia sociale e rimettendosi docile al dominio liberista. Quando rinuncia al suo territorio; quando comincia a considerarlo res derelictae, cioè non patrimonio ma “cosa suscettibile di occupazione” da parte di ogni sorta di apolidi; quando lo concede, cancellando i confini, all’uso corsaro di tutte le piraterie finanziarie, produttive, commerciali, demografiche e militari. Tutti questi fattori e soggetti, “senza fissa dimora” e incapaci di sopportare la stabilità e la stanzialità, appartengono alla globalità indistinta e, lungo percorsi territoriali di Stati evanescenti o sulle reti telematiche, spostano denari, impianti, merci ed esseri umani. Si estingue un popolo quando rinuncia a parlare la sua lingua e, non osando più difenderla, si predispone a introiettare la mentalità del padrone straniero, ad assumere come propri i suoi interessi e a eseguirne gli ordini, cioè a consegnarsi schiavo. Siamo infatti uomini liberi nella misura in cui apparteniamo a un certo popolo e a una certa cultura. Infine un popolo si estingue quando accetta la denatalità, non perché è diventato più ricco, agiato ed egoista, ma per il motivo contrario, perché è stato immiserito e avvilito al punto di non sentirsi neanche più “proletario”, non più titolare del diritto residuo di avere almeno prole. Quando un popolo accetta tutto questo l’esito inevitabile è l’estinzione. Se lentamente e incoscientemente, tutti i fattori che costituiscono il popolo, tutte le tracce e il particolare modo di esprimere umanità, arte, cultura che il lavoro e l’ingegno hanno disseminato sul territorio nel corso dei secoli, si perdono, un popolo non ha scelta. La sovranità non è un’opzione; è un imperativo categorico quando la posta in gioco è la sopravvivenza. Il pieno esercizio della sovranità non va riconquistato soltanto per uscire dalla truffa colossale dell’euro e dalla finta crisi, o soltanto per ricostruire lo stato sociale, o per fermare la guerra condotta dal governo nominato all’estero contro i cittadini; ma soprattutto perché è il nostro ossigeno: la sovranità è la nostra aria, il nostro pane quotidiano, la nostra esistenza. Oggi l’Italia, repubblica a sovranità cancellata, colonia occupata militarmente, soffocata sotto un asfissiante peso politico, economico e culturale, non può prendere una singola seppur minima decisione negli interessi del suo popolo. Rimandare la sua liberazione a un sognato futuro o delegarla a ipotetici liberatori esterni, aspettando chissà quali scenari politici internazionali favorevoli, è un lusso che un popolo sottomesso e privo di sovranità non può concedersi, perché rischia l’agonia. La libertà è lotta, sacrificio e, al contrario di quanto ci viene propagandato o minacciato, non è un tuffo nell’ignoto, ma è la vita.
Luciano Del Vecchio, socio ARS
Ottimo articolo. Lo diffondo ad amici e conoscenti. E’ verissimo: la sovranità è la libertà e la libertà è la vita. E la Costituzione – mutuando l’espressione da Piero Calamandrei – è la Carta della nostra libertà, la Carta di ciascuno di noi, della nostra dignità. Un popolo si costituisce in Stato quando si dà una Costituzione. Lo Stato è la sua Costituzione. Esiste dal momento in cui diviene operante la sua Costituzione. Ma per la libertà e, quindi, per la difesa della nostra Costituzione dobbiamo lottare, impegnarci, sacrificarci ogni giorno, ogni ora, ogni minuto. Abbiamo un compito, assegnatoci dalla nostra storia. La storia di un popolo che ha sempre lottato, che si è sempre sacrificato per conquistare la libertà, la sovranità, il diritto di decidere democraticamente il suo futuro. Abbiamo un compito, tramandatoci dai nostri padri, o dai nostri nonni, che a quello stesso compito seppero assolvere come si conviene ad un popolo degno della sua storia: riconquistare la sovranità, riaffermare il primato assoluto della nostra Costituzione, dei suoi valori supremi di solidarietà umana. Una Costituzione fatta a pezzi e disattivata da quella miserabile, inetta, ignorante, becera, vile e traditrice classe dirigente succedutasi al potere negli ultimi 35-40 anni. Possiamo farlo solo dando il nostro contributo alla vita politica. A cominciare dall’impegno nella e per la nostra Associazione. Chi simpatizza per noi, ma non ha ancora deciso di farsi parte attiva, prenda finalmente questa benedetta decisione e partecipi alla lotta. Solo con l’impegno di tutti ci libereremo!