La concezione soggettiva della identità personale, ovvero il diritto alla falsità e alla psicosi
La sentenza della Corte di Cassazione civile n. 15138/2015, la quale ha consentito al ricorrente di ottenere la rettifica del registro dello stato civile in ordine al sesso, anche quando non siano stati modificati con operazione chirurgica i caratteri sessuali primari (organi genitali) farà discutere sotto molti profili e sarà commentata in tutte le riviste di diritto civile.
Tuttavia, da una prima veloce lettura emerge un profilo che sta a monte della questione principale oggetto della causa: il diritto all’identità personale è il diritto ad essere rappresentato e considerato (anche dall’ordinamento) così come il titolare pensa e sostiene di essere o il diritto ad essere rappresentato e considerato come gli altri (il prossimo che ci conosce) ci rappresentano e constatano (i medici che verificano oggettivamente l’esistenza dei caratteri sessuali primari nel caso di specie)?
Per esempio, ricorrendo le condizioni richieste dalla legge e dalla giurisprudenza per la rappresentazione filmica della vita di una persona vivente, quest’ultima può in ogni caso invocare la lesione del diritto all’identità personale, se nel film è stata raffigurata come persona avida oppure ignorante e incapace di scrivere due righe senza gravi errori o, ancora, squilibratissima fino ai limiti della follia? Chi è che decide cosa noi siamo, ossia qual è, appunto, la nostra identità personale? Noi stessi? O il prossimo che ci conosce? Se qualcuno crede di essere un grande romanziere e coloro che lo conoscono lo considerano un mitomane presuntuoso, il regista cosa deve mettere in scena? Il regista viola il diritto alla identità personale se rappresenta un mitomane sciocco e presuntuoso o se rappresenta un grande scrittore? E il regista viola il diritto all’identità personale se, in base alle numerose testimonianze raccolte, rappresenta un gioielliere, che ha sparato ad un presunto bandito, come una persona avida, disposta a sparare per poche lire o se, nonostante le testimonianze, rappresenta una persona da tutti considerata avidissima come persona non avida? Siamo noi che decidiamo che siamo persone generose e nobili? O è il giudizio del prossimo a definire la nostra identità personale?
La concezione soggettiva dell’identità personale sarebbe folle se non fosse perfettamente aderente all’individualismo egocentrico, intriso di narcisismo patologico che permea la società generata dal capitalismo assoluto.
Commenti recenti