Le radici protestanti del capitalismo
di MAX WEBER (sociologo tedesco, 1864-1920)
Quei possenti movimenti religiosi [protestanti, ndr] che furono importanti per lo sviluppo economico in primo luogo in virtù dell’educazione ascetica che determinarono, dispiegarono regolarmente tutta la loro azione economica solo quando l’acme dell’entusiasmo puramente religioso era già stata oltrepassata, quando l’anelito convulso al Regno di Dio cominciava a dissolversi nella fredda virtù professionale, quando la radice religiosa lentamente inaridiva lasciando il posto a un utilitarismo terreno.
Era sorto un ethos professionale specificamente borghese. Con la coscienza di godere pienamente della grazia di Dio e di essere visibilmente benedetto da lui, l’imprenditore borghese poteva perseguire i suoi interessi lucrativi – e anzi doveva farlo – a condizione di mantenersi entro i limiti della correttezza formale, di vivere in una maniera eticamente ineccepibile, e di non fare un uso scandaloso delle proprie ricchezze.
Per giunta il potere dell’ascesi religiosa metteva a sua disposizione operai sobri, coscienziosi, insolitamente efficienti e attaccati al lavoro, che consideravano lo scopo della vita voluta da Dio. Gli offriva la tranquillizzante sicurezza che la disuguale distribuzione dei beni di questo mondo fosse opera specialissima della Provvidenza di Dio, il quale, con queste differenze così come con la sua grazia solo particolare, perseguiva i propri scopi a noi ignoti, arcani. Già Calvino aveva enunciato la spesso citata sentenza che solo se il “popolo”, ossia la massa dei lavoratori e artigiani, è mantenuta in condizioni di povertà, rimane ubbidiente a Dio.
Gli olandesi (Pieter de la Court e altri) l’avevano così “secolarizzata”: la massa degli uomini lavora solo se costretta dal bisogno; e tale formulazione di un Leitmotiv dell’economia capitalista sarebbe poi sfociata nella corrente della teoria della “produttività” dei bassi salari.
Ora l’intera letteratura ascetica di quasi tutte le confessioni è naturalmente pervasa dalla convinzione che Dio gradisca moltissimo il lavoro coscienzioso anche se compensato da un basso salario, da parte di colui al quale la vita non ha riservato altre prospettive. Qui l’ascesi protestante non apportò alcuna innovazione, di per se stessa. Nondimeno: non solo approfondì enormemente questa posizione, ma procurò a tale norma ciò che infine soltanto importava per la sua efficacia: l’impulso psicologico – con la concezione di questo lavoro come Beruf, professione in seguito a vocazione, e nel senso del mezzo migliore, anzi unico, spesso, per acquisire la sicurezza del proprio stato di grazia. E, d’altro lato, legalizzò lo sfruttamento di questa laboriosità specifica e peculiare, in quanto interpretò anche l’attività lucrativa dell’imprenditore nel senso di un Beruf.
Nel paese dove si è sommamente scatenata, negli Stati Uniti, la ricerca del profitto si è spogliata del suo senso etico-religioso, e oggi tende ad associarsi con passioni puramente agonali, competitive, che non di rado le conferiscono addirittura il carattere dello sport. Nessuno sa ancora se alla fine di tale sviluppo immane ci saranno profezie nuovissime o una possente rinascita di antichi pensieri e ideali, o se invece (qualora non accadesse nessuna delle due cose) avrà luogo una sorta di pietrificazione meccanizzata, adorna di una specie di importanza convulsamente, spasmodicamente autoattribuitasi.
Poiché invero per gli “ultimi uomini” dello svolgimento di questa civiltà potrebbero diventare vere le parole: “Specialisti senza spirito, edonisti senza cuore: questo nulla si immagina di essere asceso a un grado di umanità non mai prima raggiunto”.
[L’etica protestante e lo spirito del capitalismo [1904-5], ed. it. Rizzoli 1991]
L’analisi di max Weber sui legami fra capitalismo e protestantesimo è del tutto insufficiente. Questo legame è indubbio, ma per ragioni ben più profonde dell’etica del lavoro e dell’affermazione professionale di cui parla Weber.
Il fondatore filosofico del capitalismo, a mio avviso, è il francescano Guglielmo di Occam. Lo rendono tale due concetti fondamentali: quello che “gli universali” siano inconoscibili e che Dio “non è vincolato al principio di non-contraddizione” (in esplicito contrasto con Tommaso D’ Aquino), il cui significato è comunque uno: la ragione non può indagare gli universali, cioè non può indagare l’universale più importante, il Bene, cioè il bene per tutti, cioè il Bene Comune.
I protestanti hanno solo portato alle estreme conseguenze queste affermazioni. Se gli universali sono inconoscibili, allora bisogna abolire la teologia, e ciascuno può leggere da solo il Libro. E’ forse il caso di notare che ai tempi di Lutero forse nemmeno l’1 % della popolazione era in grado di leggere, e di quell’1% lo 0 % era in grado di compiere una esegesi autonoma delle Sacre Scritture-allora come oggi. In tal modo però hanno compiuto due passi decisivi: da un lato hanno santificato (cos’è questa se non superstizione…?) il Libro- cosa che teoricamente era vero anche per i cattolici, ma non lo era nella realtà: infatti il massimo esponente della Scolastica, Tommaso D’ Aquino, usa tranquillamente nella Summa Theologiae un passo della Bibbia contro un altro, oppure contesta con la stessa tranquillità un passo del Vangelo o dell’ Antico Testamento. Dall’altro hanno privatizzato la ricerca del bene, che diventa da allora un bene individuale.
Quando gli economisti classici (Smith) si trovano ad analizzare il comportamento del consumatore, si trovano perciò la strada spianata dal pensiero protestante. Cosa fa il consumatore? Ricerca il suo bene. Chi assicura che la somma degli utili individuali darà il Bene Comune? “La Mano Invisibile”, dice Smith, cioè un Dio che agisce attraverso le scelte individuali incoscienti degli individui, un Dio fatto Mercato.
Il capitalismo nega fin dall’ inizio ogni rilevanza al problema della definizione e della ricerca del Bene Comune. Il suo individualismo recide fin dall’inizio i legami dell’individuo con la società. E’ un individualismo narcisista. Tuttavia, per secoli, ha dovuto scendere a patti con una società complessa, che poneva limiti alla sua brama di soddisfazione.
Oggi non è più così. La globalizzazione del potere della finanza ha posto fine a controlli statali e politici. L’individualismo narcisista si dispiega in tutta la sua forza come individualismo autistico: Monti che definisce la grecia “il più grande successo dell’Euro” ne è la faccia dei giorni feriali, e i punkabbestia con il loro disprezzo sovrumano per le convenzioni e regole sociali ne sono la faccia della domenica