Dialettica del meticciato
di GIAMPIERO MARANO (ARS Varese)
Il VI capitolo della celebre monografia che Sallustio dedica a Catilina si apre con una breve rievocazione delle origini (archaeologia) dell’urbs romana. Secondo la tradizione accolta dall’autore, Roma nasce dalla fusione di due comunità molto diverse per stirpe, lingua e costumi: da una parte i Troiani guidati dall’eroe Enea, dall’altra gli Indigeni (“Aborigenes”), che Catone il Vecchio, probabile fonte dello storico, considera Greci emigrati nel Lazio molte generazioni prima della guerra di Troia. Sallustio descrive gli Indigeni come un popolo rozzo, privo di leggi e di organizzazione politica (imperium) ma libero e indipendente: per contrasto, non è difficile vedere nei Troiani i superstiti di una civiltà urbana raffinata ma sconfitta e decaduta.
Che cosa accade allora? Coabitando entro uno spazio ben delimitato, le mura di Roma (“in una moenia convenere”), i due popoli si mescolano con una facilità e una rapidità che hanno dell’incredibile: presto “quella moltitudine dispersa e vagabonda” di profughi e di nomadi diventa una nazione ricca e potente. Il miracolo è potuto accadere “grazie alla concordia”, osserva lo storico – ed è una precisazione determinante -, cioè sulla base del pathos dettato dalla condivisione di una condizione, di una visione, di un obiettivo, politico e non solo (qualche studioso sostiene che Roma, anche se Sallustio non lo dice, nascesse come città santa).
Il sinecismo di Troiani e Indigeni segna l’indispensabile transizione dall’incertezza esistenziale dell’esule e del selvaggio alla sedentarietà e alla costruzione di un’etnicità dinamica, duttile, che fatalmente si nutrirà fino all’ultimo di continue ibridazioni più o meno dosate e, come dimostra l’intera storia romana, rivelatesi in fondo vincenti. Ancora nei momenti drammatici del tramonto saranno proprio due grandi generali “mezzosangue”, Stilicone ed Ezio, a difendere l’impero dai barbari.
Di segno contrario è il meticciato nomade imposto oggi dal capitale globalista e celebrato dalla retorica degli united colours, delle “razze nuove” – rappresentazione tanto ammiccante quanto falsa, perché trascura le inevitabili differenze e i punti di frizione nel rapporto fra nazionalità o civiltà o fra aspetti particolari di nazionalità e civiltà. Qui, insomma, non è in gioco la formazione di nessuna nuova civitas ma la demolizione teorica e pratica della categoria di “popolo”.
Il nomade, avverte minacciosamente Jacques Attali, sarà l’archetipo umano del XXI secolo. Il ritorno in nuove forme allo stadio preistorico o prepolitico si sta realizzando con una sostanziale, tragica differenza rispetto agli Indigeni di Sallustio: il binomio libertà-indipendenza caro a Mazzini è appannaggio delle sole élite finanziarie mentre i popoli, schiavizzati, subiscono un devastante processo di svuotamento della memoria collettiva che rischia di sfociare in reazioni violente.
Sia chiaro: il passato e l’identità non sono feticci da idolatrare. Il culto fanatico dei morti è distruttivo come l’esaltazione del nuovo in quanto tale. Ma nella vita del popolo italiano, che già nel Trecento (sostiene A. D. Smith) aveva sviluppato un sentimento di solidarietà nazionale, la longue durée della tradizione ha un peso enorme e ogni tentativo di innesto di apporti allogeni deve tenerne conto.
Non c’è nessuna mutazione antropologica che tenga: Italia non facit saltus.
Bisognerebbe aprire una grande discussione intellettuale sul concetto romano di interpretatio, cioè quello strumento culturale che i romani utilizzavano ogni qual volta si trovavano ad includere una popolazione barbara o conquistata.
Fatto singolare fu la distruzione di Cartagine, nemico storico di Roma, che per secoli aveva avuto il primato del mercato marittimo nel mediterraneo.
Prima dell’assedio della città i sacerdoti romani fecero un rito evocando Baal, il dio più importante della società punica, alla quale veniva proposto di uscire dalla città ormai in declino e unirsi a Roma, dove avrebbe avuto gli onori e la concessione di costruire templi. Concessero quindi la cittadinanza ad una divinità.
Questa pratica si chiamava Evocatio e rende l’idea di cosa vuol dire “inclusione sociale” , i Romani sapevano che la contaminazione era una buona cosa solo se ragionata e non imposta, culturale e non economica, spirituale e non religiosa.
Ecco perchè penso che bisognerebbe portare alla luce queste attitudini e ripensarle, in chiave moderna, come vera opposizione culturale al globalismo e al meticciato.
È vero quello che dici, Aaron. Del resto, un impero “identitario” come quello assiro crollò giustamente nel giro di pochi decenni
Non sono d’accordo, o al massimo si può essere d’accordo solo per la repubblica fino II secolo a.C. L’impero realizzò precisamente quel modello di melting pot e di meticciato generalizzato che ci troviamo a subire oggi, certamente in maniera meno rapida per la lentezza delle comunicazioni di allora e anche per l’assenza del pregiudizio umanista che previene stermini di massa.
Nel III secolo d.C. l’80 % della plebe urbana di Roma era composta da discendenti di siriani ed egiziani improtanti come schiavi o immigrati come commercianti. Essi erano odiati e disprezzati dagli italiani DOC proprio come accadrebbe oggi senza la formidabile macchina repressivo-mediatica messa in piedi dal regime antirazzista. Famose le stragi che i pretoriani, reclutati fra le sole genti italiche e stanziati nell’Urbe, compivano ogni volta che gl’imperatori li usavano per reprimere qualche rivolta popolare.
Proprio come oggi, tale situazione era funzionale agl’interessi di un’élite plutocratica di patrizi e cavalieri, ormai alienatisi da ogni sentimento di servigio allo stato. Ai loro immensi latifondi lavorati da schiavi importati da tutto il mondo per tenere bassi i costi del lavoro faceva riscontro una plebe meticcia che si interessava solo di pane et circenses (l’equivalente attuale dei telefonini e della televisione spazzatura).
La verità è che questa società sta riproducendo non dico pari pari (perché la storia non si ripete), ma in amplissima parte la parabola di decadenza compiuta dalla società romana. La differenza principale è che la tecnologia fa sì che i cambiamenti che allora si verificavano in un secolo oggi abbiano luogo nell’arco di 10-15 anni.
In proposito cfr. il classico di O. Spengler, Il tramonto dell’occidente, e per un testo recente D. Engels, Le declin: La crise de l’Union européenne et la chute de la république romaine, Toucan 2013.
I Pretoriani, reclutati e stanziati in Italia, ma che potevano partecipare anche a guerre contro i barbari, furono aboliti da un imperatore di origine extracomunitaria, Settimio Severo, e forse anche per questo l’Italia rimase cosi’ indifesa quando arrivarono i barbari.
Giusto. Schiavi da ogni angolo dell’impero e immigrati (soprattutto greci e orientali, come spiega Giovenale): nel nostro dna ci sono anche loro.
Non siamo una “razza pura”, grazie a Dio.
L’articolo soprassiede con eleganza su un punto cruciale: lo ius gentium funzionava proprio perché i popoli sottomessi rimanevano se stessi, con i propri dei, le proprie tradizioni, le proprie istituzioni e soprattutto le proprie terre.
Venivano solitamente romanizzate le elite nobili e colte che ovviamente era più facile assimilare.
Ma appunto ha ragione Lorenzo (anche se io post-daterei un attimo, ma la sostanza è la stessa), il sistema si inceppò proprio quando i latifondisti iniziarono ad importare manodopera allogena, per coltivare quei campi che essi avevano sottratto con la forza e con l’inganno ai cittadini-soldato di stirpe romano-italica che formavano oltretutto il nerbo delle legioni (e questo creerà nel lungo periodo altri e ben noti problemi).
Esattamente, i Gracchi contro cosa combattevano se non contro il latifondo a base schiavistica ed in favore della libera proprietà terriera a conduzione famigliare?
Giampiero, razze pure oggi ce ne sono poche, ma questo nulla dice sull’opportunità di ricrearle ovvero di andare avanti col melting pot. E il dio che invochi parla sempre colla voce del vincitore di turno.
Del resto, è interessante notare come la creazione di un’élite finanziaria trans-nazionale interessata ad importare manodopera allogena (a spese di quella locale) fosse il principale obbiettivo polemico del nazionalsocialismo, che gli contrapponeva la valorizzazione del lavoro, della produttività reale e della salvaguardia del piccolo contadinato. Quest’ultimo inteso come fondamento dei valori primigeni di semplicità, durezza e spirito di sacrificio che vengono annichiliti dallo spirito cosmopolita innescando il processo di decadenza. E molti di questi temi venivano sviluppati proprio in riferimento alla parabola della società romana di cui stiamo discutendo.
Come su tanti punti, anche qui l’ARS centra il problema ma rimane nel vago perché vorrebbe la coesione comunitaria senza troppo deviare dai canoni della political correctness. Una conciliazione problematica.
Non ho mai capito se, quando Lorenzo viene da noi ad esprimere queste sue teorie, sia consapevole che esse , nella loro pretesa assolutezza, sono sempre state ineffettuali in ogni luogo della terra e momento storico; sono pericolose anzi pericolossissime; sono devianti dai concreti problemi; quindi, per queste ragioni, sono puro sfogo di rabbia. Esse forse vorrebbero costituire la premessa teorica di concrete discipline; ma per le ragioni dette non servono nemmeno a questo scopo e sono diseducative perché educano soltanto alla rabbia. Ci sono tanti modi per recuperare forze spiriturali e morali che sono andate perdute, tutti indubbiamente difficilissimi da percorrere, considerata la situazione di partenza. Delle forze del male possiamo e dobbiamo disinteressarcene.
Ed in che cosa l’analisi di Lorenzo sarebbe ineffettuale?
Perchè cita il nazismo?
Ergo, non è vero che Roma si è sfaldata a causa delle polotiche suicide dei parassiti terrieri che detenevano il potere reale?
Non solo: anche la sciocca tolleranza rispetto a tutti i culti che le plebi allogene sradicate importavano, alla fine si rivelò esiziale.
Se è questo il “male” di cui parli, ne prendo atto.
Matteo, ti sembra una cosa seria porre l’alternativa tra “opportunità di ricreare le razze pure” e proseguire con il melting pot, quando il melting pot è una invenzione ideologica che non corrisponde a verità e che non ha alcun riscontro di fatto e il concetto di razza, se mai ha avuto un fondamento, lo ha avuto nella notte dei tempi?
Ecco, svelare che il melting pot è una invenzione è importante. Ugualmente importante è osservare che se se applicassimo a dovere il primo comma dell’art.31 della Costituzione (“La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose”), assieme al principio di piena occupazione, raggiungeremmo il coefficiente di riproduzione naturale e, salvo voler cementificare l’Italia, tradendo altri principi costituzionali, non POTREMMO far entrare altre persone. Diffondere la teoria dell’esercito industriale di riserva è importante. Dimostrare che dove non esiste una nazione largamente dominante scoppiano guerre civili è importante. Argomentare per quali e numerose ragioni è bene che i flussi siano comunque regolati, centellinati, persino selezionati è importante.
Io sono d’accordo, ma non mi pare che Lorenzo (che non conosco, e non ho idea se sia nazista o meno e la cosa non mi interessa nemmeno) abbia proposto qualcosa tipo Darrè o i Lebensborn.
Rispondeva alla considerazione, francamente imbarazzante per il livello di semplice ripicca che contiene, di Marano sul fatto che per non si sa quale motivo è bello…non essere di razza pura.
Ora, io non ho idea di quale sia il mio grado di arianità, ne me ne fotte qualcosa essendo più interessato a Gentile che a Rosenberg, ma non è particolarmente serio rallegrarsi per pura ripicca dialettica del fatto che Roma importava schiavi per distruggere la sua “classe media”.
Perché, e l’ho già scritto, è questo e non altro il motivo delle battaglie dei Gracchi.
“Antigraccano” non me l’aveva mai detto nessuno! :-)
Stefano, io esprimo il pendant politically incorrect delle vostre idee. Qualora il forum sia concepito come vetrina del movimento e i miei interventi risultino sgraditi perché scoraggiano nuovi arrivi, basta una email e smetterò di frequentarvi senza malanimo.
Per il resto io mi preoccupo se una teoria sia giusta o sbagliata, non innocua o pericolosa. Anche perché la sua pericolosità si misura sulla distanza intercorrente rispetto alla narrazione imposta dal conquistatore di turno. Le mie idee saranno radicali ma non mi sembrano assolutizzanti; per quanto rabbia e assolutizzazione siano il fondamento di ogni spinta rivoluzionaria.
PS: per carità non mi tirar fuori il “male”. L’applicazione di queste bestialità religiose alla dimensione politica si era quasi spenta in Europa e vi è è stata reintrodotta dall’americanizzazione galoppante.
Una teoria è giusta o sbagliata (e una teoria che pone l’alternativa tra “opportunità di ricreare le razze pure” e “proseguire con il melting pot” è doppiamente sbagliata, per le ragioni che ho indicato); una proposta politica,ossia proposta di azione pratica, di comunicazione linguistica deve essere sempre opportuna,come ogni azione pratica.
Puoi continuare a commentare. Non ricordo se ti ho censurato una volta o mai (credo di aver censurato soltanto due volte). Quando il commento ci appare fuorviante (per i nostri lettori) qualcuno interviene a prendere le misure. Tuttavia non ci smuovi nemmeno di un millimetro: noi amiamo la giusta misura; siamo radicali della idea di mezzo. :)
Caro Marano, io non sono uno jihadista della costituzione (che è un pezzo di carta come qualunque testo sacro) ma sono interessato al confronto con chiunque io ritenga intelligente.
Per questo me ne fotto di gentaglia che ho anche avuto modo di conoscere come un noto giornalista cattolico che pure ogni tanto la spara anche giusta, o come un notissimo paraguru fascista (o qualcosa di simile) con cui ho anche avuto da ridire.
Ergo, temo che dovrà sopportarmi ancora per un pochino.
@ Stefano
che vuoi giustare e sbagliare… le dottrine etiche, politiche e giuridiche sono corpora mystica, icone, logoi dell’immagine proiettati a saldare in complexio un fascio polimorfo di associazioni mentali e d’inclinazioni dello spirito: analizzarle criticamente, cioè scomporle in un pluriverso di nessi causali, significa annichilirle.
Al massimo la scelta fra razza pura e imbastardimento – che io ho appena accennato in risposta all’uscita di Marano – sarà inattuale e quindi “praticamente” inopportuna (come del resto appare il sovranismo a occhi liberisti): e ciò significa solamente che il vincitore di turno articola la propria egemonia sulla base di un set di pregiudizi diversi ed antitetici.
http://www.telegraph.co.uk/news/uknews/immigration/11913392/Theresa-May-Mass-immigration-making-cohesive-society-impossible.html