La terra dei padri
di LUCIANO DEL VECCHIO (ARS Emilia-Romagna)
La dottrina geo-politica insegna che si ha uno Stato se tre fattori sussistono contemporaneamente: un territorio definito, un popolo residente e un potere d’imperio; ai quali la Convenzione di Montevideo sui Diritti e Doveri degli Stati (1933) ne aggiunse un quarto: la capacità di entrare in relazione con gli altri Stati e da questi essere riconosciuto. Tuttavia uno Stato, finché riesce a difendere, con il suo esercito, i tre elementi costitutivi e fondanti, può non dare peso eccessivo a un mancato riconoscimento esterno.
Solitamente ci si sofferma sul popolo e sul potere d’imperio e si tralascia il territorio, il cui concetto si considera chiaro, e ovvia la sua definizione giuridico-politica. In breve, il territorio, elemento materiale costitutivo dello Stato, è spazio delimitato da confini naturali o stabiliti da trattati internazionali, è sottosuolo, spazio aereo, acque territoriali, territorio fluttuante (navi e aerei) e sedi diplomatiche. Tuttavia questa definizione non sembra sufficiente per chiarire che non costituisce Stato un popolo privo di territorio (es. i berberi); un popolo stanziato su territorio ma privo di potere d’imperio (es. i curdi); un popolo insediato su un territorio conteso da governi in conflitto; un popolo amministrato da un governo ma privo di un esercito proprio e dunque non in grado di assicurare la sicurezza esterna; o dotato di esercito che nondimeno pone al servizio di un altro stato (protettorati o colonie): in definitiva, in tutti quei casi in cui il territorio è sede di un popolo senza governo o senza imperio politico e militare. In ognuna o in parecchie di queste condizioni potranno precipitare (o lo sono già) gli stati europei, in particolare l’Italia: popoli stanziali ma privi di un governo perché questo risiede a Bruxelles; popoli del cui territorio dispone Berlino e Washington; popoli incapaci di difendersi perché hanno ceduto esercito e servizi segreti a tutela di interessi stranieri; popoli i cui governi, non in grado di assicurare la sicurezza interna, invocano l’intervento di polizie straniere (Felsen).
Alla definizione politico giuridica del territorio, che attiene all’insediamento fisico di un popolo, si può affiancare la definizione socio-antropologica che rimanda alle attività di un popolo su un territorio delimitato e reso omogeneo. L’omogeneità territoriale è data dal senso di appartenenza e dalla rappresentazione condivisa. Allorquando, come membri di una comunità diventiamo consapevoli di farne parte, arriviamo a condividere una rappresentazione, a riconoscere come proprie le tipicità ambientali, economiche, culturali, che innumerevoli generazioni precedenti la nostra, in un lungo processo di adattamento al territorio, hanno creato. I padri hanno costruito paesaggi, innalzato architetture, fondato sistemi urbani e rurali, selezionato specie animali e vegetali, uniche, non “delocalizzabili”, in breve, hanno costruito “luoghi colti” (Dante). Noi ereditiamo configurazioni socio-culturali “firmate” e le percepiamo e viviamo come elementi che contrassegnano la nostra identità.
Nell’una e nell’altra accezione il territorio di uno stato e di un popolo non è uno spazio anonimo, ma un luogo. Lo spazio è un semplice dato naturale, privo di significati culturali e antropologici, indistinto, proprio delle terre vergini o coloniali, territori che gli stati egemoni spartiscono e delimitano con confini tracciati con squadra e righello, ignorando orografia, idrografia, morfologia e stanziamenti umani. Lo spazio diventa luogo quando il popolo che vi risiede lo contrassegna con la sua secolare laboriosità. Quando il gruppo umano residente difende, con le armi e con le leggi, luoghi diventati storici e relazionali, questi diventano territorio, elemento costitutivo dello Stato.
La definizione socio-antropologica del territorio rimanda al concetto di Patria. Come “luogo colto” il territorio è la terra dei padri. In epoca risorgimentale i riferimenti all’importanza del territorio ricorrevano costantemente nei discorsi sulla nazione e sulla patria. Nel capitolo quinto dei “Doveri dell’uomo: Doveri verso la Patria” Giuseppe Mazzini sosteneva la natura associativa della Patria, che sembra non identificare con il territorio ma fondarla su di esso: “… il territorio non ne è che la base. La Patria è l’idea che sorge su quello; è il pensiero d’amore, il senso di comunione che stringe in uno tutti i figli di quel territorio”. Ma a questo pensiero d’amore e senso di comunione assegnava una terra con confini e frontiere: “A voi uomini nati in Italia, Dio assegnava, quasi prediligendovi, la Patria meglio definita d’Europa. In altre terre segnate con limiti più incerti o interrotti, possono insorgere questioni che il voto pacifico di tutti scioglierà un giorno, ma che hanno costato e costeranno forse ancora lagrime e sangue sulla vostra. Dio v’ha steso intorno linee di confini sublimi, innegabili…” E ancora: “La forza brutale può ancora per poco contendervi quei confini; ma il consenso segreto dei popoli li riconosce d’antico, e il giorno in cui levati unanimi all’ultima prova, pianterete la nostra bandiera tricolore su quella frontiera, l’Europa intera acclamerà sorta e accettata nel consorzio delle Nazioni l’Italia”. Infine, sopra “un dato terreno” Mazzini definiva il concetto di Patria come casa comune: “La Patria è la nostra casa: la casa che Dio ci ha data, ponendovi dentro una numerosa famiglia che ci ama e che noi amiamo, con la quale possiamo intenderci meglio e più rapidamente che con altri, e che per la concentrazione sopra un dato terreno e per la natura omogenea degli elementi ch’essa possiede, è chiamata a un genere speciale d’azione”. “Senza Patria, voi non avete nome, né segno, né voto, né diritti, né battesimo di fratelli tra i popoli. Siete i bastardi dell’Umanità. Soldati senza bandiera, israeliti delle Nazioni, voi non otterrete fede né protezione: non avrete mallevadori”.
Noi oggi non abbiamo mallevadori; siamo noi i garanti di noi stessi. Non dobbiamo aspettarci che altri ci liberino, né che contingenze politico-diplomatiche internazionali ci offrano l’occasione favorevole per liberarci; questa è un’illusione. Dei tre fattori che costituiscono lo Stato il territorio è l’elemento primordiale su cui basare una nuova idea di libertà e di indipendenza e su cui ri-localizzare la Politica, cioè l’esercizio della sovranità. Sul suolo patrio un popolo sovrano non può permettere scorrerie di capitali, piraterie di merci, ruberie di acque, predazioni di demanio, usurpazioni straniere di suoli. Occorre riappropriarsi del territorio come prodotto sociale derivato dalla millenaria operosità del popolo sul substrato naturale. Il sacro dovere di difendere la terra dei padri (art. 52 Cost.) risponde a un bisogno di concretezza, oggi declinabile non solo con le armi, ma con la riconquista della piena sovranità politica: Questa è la condizione che ci consentirà di recuperare un sistema giuridico di limiti e di misure in uno spazio che per noi è il Luogo, per lo straniero egemone è una dimensione liscia e vuota da occupare dopo averla svuotata di Popolo e di Stato. Lo spazio indistinto genera angoscia, la stessa che prova Ugo Foscolo “… attaccato ad un piccolo angolo dello spazio incomprensibile, senza sapere perché sono collocato piuttosto qui che altrove …”; “Io non vedo da tutte le parti che infinità che mi assorbono come un atomo”, davanti alla quale non trova altro rifugio che nella “terra che mi è assegnata per patria” (https://www.appelloalpopolo.it/?p=13317).
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