Lega Nord: le ragioni del successo
di WALTER G. POZZI (scrittore e sceneggiatore)
Sono convinto che un’analisi efficace del successo della Lega non possa cominciare che risalendo alle origini del leghismo bossiano, al 1989. Ovvero, nell’anno della metamorfosi grazie alla quale la Lega Lombarda, abbandonando le vesti di partitino spontaneista, si trasforma in un partito di statura nazionale. È lì che bisogna tornare, a questo momento di passaggio, fondamentale, se si vuole inquadrare una volta per tutte la Lega all’interno della storia italiana dei partiti politici. Andando, cioè, oltre l’impianto xenofobo che, della sua politica, rappresenta ‘solamente’ l’aspetto visibile e più facilmente spendibile sul piano elettorale. L’ariete per entrare nella pancia della gente.
Perché il 1989? Perché è in quest’anno che nasce una confederazione di movimenti di stampo leghista (Unione Ligure, Piemonte Autonomista, Liga Veneta, Lega Friuli, Lega Trieste, Lega Emiliano-Romagnola, Alleanza Toscana) che trova proprio nella Lega Lombarda un luogo di convergenza ideale. All’improvviso, tutte queste realtà decidono di confluire, senza porre ostacoli, dentro un unico catalizzatore politico. Il che è già di per sé qualcosa di piuttosto insolito per la politica italiana.
E lo è ancor di più pensando a realtà così piccole, in genere caratterizzate da un profondo spirito identitario e bellicoso. Inutile dire che uno spostamento di questa portata non può che far pensare a un progetto dotato di un orizzonte molto ampio, il cui ideatore è da ricercarsi al di fuori di questa galassia politica. E la storia recente, ancora non raccontata nella sua complessità, conferma che proprio di questo si tratta.
In quel periodo, intorno alla neonata Alleanza del Nord, cominciano a gravitare nuove figure. Una di queste è Gianfranco Miglio, uomo molto vicino ad Andreotti – e che della Lega diventa l’ideologo – oltre a numerosi rappresentanti della destra eversiva (è il caso della Liga Veneta) e del mondo massonico. Si pensi all’avvocato Menicacci, legale di Stefano Delle Chiaie, nonché punto di incontro tra la Liga Veneta e molti dei movimenti autonomisti centro-meridionali, tutti nati durante gli anni Novanta sotto il controllo di un’altra conoscenza della storia italiana del secondo Novecento: Licio Gelli.
A colpire – tra i tanti punti oscuri che hanno caratterizzato questo periodo della crescita leghista – è come, da un certo momento in poi (il pool di Mani Pulite è nel pieno delle sue inchieste e la prima Repubblica sta crollando sotto gli avvisi di garanzia), l’esposizione mediatica di Umberto Bossi e i suoi accoliti cominci a godere di una crescita esponenziale rispetto ai tempi dello spontaneismo, arrivando a imporre la Lega Nord come realtà politico-culturale credibile. E, come d’incanto, insieme all’impianto ideologico dei leghisti, viene accettata dai più famosi corsivisti, senza nemmeno più il filtro dello sfottò, anche la loro maniera di fare politica.
Per uno strano sortilegio, il concetto federalista, dai e dai trascorrendo gli anni, comincia anch’esso a farsi largo simile a un mantra, trasformandosi in una politica spendibile e buona per tutti, penetrando nei salotti buoni della politica, fino a diventare il focus della progettualità dei partiti sia di centro-destra che di centro-sinistra.
Molteplici sono le ragioni per cui la Lega Nord all’improvviso appare al potere economico come una forza politica utile ai propri scopi.
Primo, perché, nel mezzo della bufera giudiziaria, in quegli anni è l’unico partito senza scheletri nell’armadio.
Secondo, perché, presentandosi come forza anti-partitica, rappresenta un elemento di rottura e, di conseguenza, ha le carte in regola per farsi carico del voto di protesta dopo il crollo dei partiti popolari storici, in particolar modo nella prospettiva di quel nuovo ordine che il mondo politico economico è in procinto di costruire sotto il nome di seconda Repubblica.
Terzo, perché in quegli anni comincia ad aumentare il peso politico di una fascia sociale di piccoli e medi imprenditori arricchitisi durante l’ultimo decennio. Si tratta di un nuovo modello di elettore (nuovo per l’entità numerica) che ha guadagnato una posizione sociale, a cui sarebbe pericoloso non garantire una valvola di sfogo parlamentare. E la Lega Nord è il partito con le giuste caratteristiche per coprire questo compito.
Quarto: la Lega Nord, profondamente liberista, è in grado di fare fruttare il suo razzismo per spostare l’asse del conflitto sociale da verticale a orizzontale e così, rendere un grosso favore ai capitani d’industria. Non più, quindi, padroni contro salariati, bensì lavoratori privati contro lavoratori del pubblico e italiani contro stranieri.
Quinto, e ultimo: il progetto federalista, maturazione legata al pensiero di Miglio ed evoluzione politica naturale delle ormai vecchie istanze separatiste delle origini. È proprio sul federalismo, infatti, che la natura gattopardesca delle forze economiche italiane – ancora legate, per convenienza, a logiche di potere fondate sull’assistenzialismo statale – decidono di appoggiarsi per contrastare i processi di globalizzazione imminenti. Una questione di sopravvivenza, quindi.
Fonte: Pagina Uno
Probabilmente giusto, per la Lega di 25 anni fa. Ma, e adesso?
Articolo mediocrissimo, ispirato a un atteggiamento antagonista rispetto al proprio oggetto e a vaghe allusioni complottistiche. Non lo sfiora l’idea che il motivo principale della nascita della Lega sia il più semplice nonché ufficialmente dichiarato, cioè il crescente discredito che in quegli anni investiva le istituzioni unitarie e il sano egoismo di tanti settentrionali stanchi di finanziare il lazzaronismo meridionale.
Il grimaledello del liberismo, insomma. Retorica della castacriccacorruzionemafiacamorradebitobrutto alla cassuela.
Tranquillo comunque, caro Padano (se sei padano) che ora con Salvini il lazzaronissimo meridione si metterà in riga.
Ahahhahahahahahaahahahahahhaa