L'Italia e il riequilibrio fiscale
di NICOLA DI CESARE (ARS Sardegna)
A leggere la stampa, sia quella “ufficiale” che quella “alternativa”, sul sistema fiscale italiano e sulla questione del carico gravante su imprese e cittadini , se ne sentono di tutti i colori: dati, cifre, statistiche di ogni genere, sono sviscerate e interpretate a seconda della convenienza del relatore di turno; alcuni aspetti della vicenda tuttavia sono sistematicamente obnubilati.
Il motivo di tale oscuramento è presto detto: se i contribuenti prendessero coscienza del reale funzionamento del sistema fiscale probabilmente sarebbe impossibile per chi ne trae vantaggio continuare a speculare.
Per spiegare cosa accade è necessario lasciare da parte, per ora, opinioni preconcette e orientamenti politici, limitandosi ad enumerare alcuni fatti incontestabili che come al solito si chiamano “numeri”, “date” e “fatti”.
Supponendo per assurdo che per lo Stato non esistano altri modi per finanziarsi che non l’imposizione fiscale e il ricorso ai mercati finanziari e tralasciando quella più logica e scientificamente accreditata per uno stato sovrano, cioè allargare la base monetaria per far fronte alle spese in conto capitale in disavanzo ricorrendo alla semplice stampa di moneta in assenza di effetti inflattivi, così come è naturale dato il regime di forte sottoutilizzo dei fattori produttivi (si vedano gli equilibri della IS-LM in caso di pura emissione monetaria in costanza di saggio di interesse e sottoccupazione), possiamo descrivere la situazione come la seguente (le cifre proposte sono approssimate all’unità).
In Italia il peso fiscale complessivo sul reddito prodotto è di circa il 65% contro una media di circa il 41% dei paesi UE. Questa tassazione è variamente distribuita tra le categorie di contribuenti, tra le quali quella del lavoro si accolla circa il 45% del totale contro il 20% del totale versato dai profitti. Considerato che quel 45% sul lavoro grava sui costi di impresa, si può dire che anch’essa gravi indirettamente sulla tassazione complessiva dei profitti.
Il PIL Italiano nel 2014 è ammontato a 1542 miliardi di Euro; la tassazione complessiva ha dunque prelevato una quota di redditi pari a circa 1000 miliardi di Euro. Ora, definite le quantità numeriche, passiamo a valutare le destinazioni di questi cospicui 1000 miliardi.
Considerato un avanzo primario che per il 2014 è stato di circa il 2%, le amministrazioni pubbliche hanno utilizzato per far fronte alle proprie spese, circa 980 miliardi prelevando 20 miliardi in più del necessario; considerando però gli oneri finanziari ne ha speso complessivamente circa 1030, reimmettendo, di fatto, nel sistema economico circa 950 miliardi sui 1000 prelevati; questo perché la spesa per interessi che, secondo le nuove regole, non comprende più l’impatto (rilevante e da tenere nascosto) delle operazioni di swap, è stata pari al 4,7% del Pil, circa 73 miliardi; considerato che la componente degli oneri finanziari sul debito delle pubbliche amministrazioni di circa 100 miliardi vale 8 miliardi, si può dire che complessivamente la spesa per interessi ammonta a circa 80 miliardi/anno.
Gli 80 miliardi REGALATI alle banche OGNI ANNO costituiscono l’8% di tutte le tasse pagate dagli Italiani. Dal momento che in Italia si paga un differenziale fiscale medio del 24% rispetto al resto dell’Europa, resta da spiegare quel restante 16% di spread. A ragionarci un po’, appare più semplice del previsto.
In Italia il sistema (regime illiberale) economico oligopolistico di stampo liberoscambista, a moneta privata, ha imposto, per il tramite del dogma (scientificamente falsificato) della stabilità monetaria della BCE, un tasso di disoccupazione NAIRU calcolato non inferiore all’11%, corrispondente a un tasso di occupazione del 56% circa contro il 70% dell’UE.
Senza scomodare la statistica e il moltiplicatore del reddito, voliamo basso e facciamo i cosiddetti conti della serva.
Un differenziale occupativo del 14% corrisponde percentualmente a un aumento del PIL di pari importo e cioè di 215 miliardi di Euro, capaci di un gettito fiscale complessivo di circa 140 miliardi (ai tassi attuali di prelievo) che equivalgono al 14% dell’intero gettito; questo dato “ruspante” appare più alto di quello econometricamente “stimato” dall’OCSE che si otterrebbe dall’azzeramento all’Output Gap italiano, per il semplice motivo che esso non può essere ottenuto ceteris paribus, date le condizioni moltiplicatrici di sviluppo che si verificherebbero in regime di svincolo dalla UE; il resto spiccioli.
Questo significa che gran parte della sofferenza italiana deriva dall’impossibilità dello Stato di investire nell’economia reale, per via dei divieti dell’UE, al fine di realizzare il pieno impiego dei fattori produttivi interni. Tali divieti sono funzionali al rispetto degli obiettivi statutari della BCE.
Ma torniamo a quegli 80 miliardi regalati alle banche private e alla speculazione finanziaria. Vi sembra normale? C’è forse qualcosa che non torna? Vediamo. E’ bene sapere che questo non è l’unico dei mondi possibili; ce ne sono e ce ne sono stati di molto migliori. Prima del 1990 (legge Amato 30 luglio 1990, n. 218 e 1992 Maastricht UE) in Italia le banche private erano un’eccezione. Lo Stato era proprietario delle banche e quegli 80 miliardi che oggi escono dalla porta prima rientravano dalla finestra tornando nella disponibilità finanziaria dello Stato per il suo fabbisogno.
Con la privatizzazione e internazionalizzazione del sistema bancario, gli 80 miliardi escono, non solo dalla porta, ma anche dall’Italia e dal suo sistema economico andando in genere a ingrassare la speculazione finanziaria per i canali internazionali senza rientrare mai più. Un fenomeno che sta di anno in anno facendo regredire il PIL complessivo del paese per effetto dei moltiplicatori , fiscale e del reddito (dagli oltre 1.615 miliardi del 2011 si è infatti passati a 1.542 miliardi nel 2014) in presenza di avanzi primari.
Vi hanno riempito di sciocchezze la testa parlandovi della recessione (uguale in tutto il mondo), della corruzione (simile in tutti i paesi UE), dell’inefficienza (con differenziali minimi rispetto alla media UE) ma in realtà le cause sono imputabili alla cosiddetta austerità che ad altro non è servita che a garantire la solvibilità dello stato nei confronti del sistema bancario, regalato alla speculazione privata dai trattati dell’Unione Europea e dell’Eurozona.
Questa sistemica asfissia dei conti pubblici è stata dunque anche aggravata dall’impossibilità per lo Stato di finanziare l’economia reale attraverso il credito pubblico, svolgendo la sua naturale funzione di creatore monetario in seno all’economia reale; ciò ha provocato negli anni il crollo dei tassi di occupazione (e la deflazione), fenomeno che ha avuto i seguenti effetti: diminuzione del gettito fiscale complessivo; aumento della pressione fiscale complessiva; aumento dei tassi d’ interesse passivi richiesti dal mercato allo stato e ulteriore aumento della pressione fiscale; una spirale ormai inarrestabile che ha fatto saltare tutti i conti e che nessun governo può controllare in assenza dei classici strumenti di politica economica monetari e fiscali ormai ceduti fuori dai confini del paese alla speculazione privata.
Spero che sia chiaro per tutti che in questa triste storia lo Stato (e quindi tutti i cittadini) è la vittima e non il carnefice; i veri carnefici sono altri. Quella classe dirigente che a colpi di trattati ha svenduto privatamente il Paese per proprio tornaconto personale a chi se lo è letteralmente mangiato e digerito. Ciò che ci resta è il risultato della digestione; al lettore l’esercizio di immaginazione.
Ora che non c’è più nulla da mangiare forse è il caso di lasciare l’Unione Europea alla sua deriva distruttiva e pensare agli interessi di un paese ormai pronto a riprendere a dialogare col mondo senza più vincoli esogeni e catene speculative.
Per saperne di più:
http://www.unilibro.it/libro/acocella-nicola/elementi-politica-economica-esercizi/9788843042302
http://www.pwc.com/gx/en/services/tax/paying-taxes-2016/download.html
http://dati.istat.it/Index.aspx?DataSetCode=DCCV_TAXOCCU
http://www.istat.it/it/archivio/156820
http://www.istat.it/it/archivio/154470
http://www.mef.gov.it/inevidenza/article_0045.html
Il ragionamento fila (a parte la boutade sull’idea balzana per cui può esistere un regime illiberale ma liberista), ma i numeri mi sembrano più alti del dovuto.