Un Paese ormai disfatto (2a parte)
di GIANFRANCO LA GRASSA (economista)
In questo periodo [gli anni Novanta, ndr], in Italia andò portando a termine la fine della prima Repubblica, cioè del regime Dc (e Psi) non più ritenuto necessario, e ci si propose – non riuscendoci, come già detto, per l’inettitudine di coloro cui si affidò il compito – di sostituirlo con quello degli ex piciisti ormai “bolliti” (in senso filoamericano) al punto giusto.
Si portò comunque avanti il progetto di liquidazione dell’industria “pubblica”, che interessava molto a quella “privata” (guidata da Agnelli), un settore industriale che è sempre stato il tramite, fin dalla seconda guerra mondiale, dell’influenza anglosassone in Italia. Del resto, l’indebolimento della parte “pubblica” del sistema economico – che da sempre aveva costituito un punto di forza di settori decisivi della Dc (e di una opposizione tutto sommato “leale” da parte del Pci) – era misura coerente con l’ulteriore nostro asservimento alle finalità del paese che, dalla fine della guerra, orientò il “campo occidentale” (diciamo pure capitalistico).
Con il XXI secolo – per fissare una data, usiamo il famoso episodio delle “due Torri” dell11 settembre 2001 – la situazione si fa più intricata; sia pure lentamente si comincia a notare che la Russia non è completamente fuori da ogni gioco, è molto indebolita ma con possibilità di ripresa per i tempi a venire. Si ha progressivamente quel mutamento di strategia degli Stati Uniti – con punto culminante nello sconquasso provocato in Nord Africa e accentuazione della pressione in Medioriente – di cui non credo si abbia ancora un’idea veramente precisa e coerente.
Continuo comunque ad avere molti dubbi sul fatto che si sia alla fine dimostrato quali gravi errori abbiano commesso gli Usa e che da tali vicende stia uscendo sostanziale vincitrice la Russia intervenuta in Siria. In ogni caso, semplificando la questione, si nota il mettersi in moto di una tendenza, tutt’altro che chiara e lineare, al multipolarismo con crescenti difficoltà – ancora tutt’altro che insormontabili – per il predominio mondiale statunitense.
La Russia è in fondo meno forte e determinata di quanto qualcuno oggi la ritenga; tuttavia, resto convinto che nel giro dei prossimi anni (non pochissimi) sarà ancora l’antagonista principale degli Usa. Inoltre, tale paese, pur sempre predominante, sta giocando in Africa e nel Medioriente una partita abbastanza complessa, in cui cerca di sfruttare non più la semplice contrapposizione tra Israele e determinati movimenti arabi, bensì proprio una serie di contraddizioni a questi ultimi interne.
In una situazione di così crescente complessità, diventa viepiù rilevante la funzione della “portaerei” Italia; la sua posizione geografica è sempre più allettante, ma deve essere supportata da una situazione politica adeguata, che tuttora manca. Si è messo fine ad ogni pur assai superficiale e debole “balletto” tra Russia e Italia con proiezione verso la Libia: non era difficile ottenere il risultato poiché una certa politica di Berlusconi – non così allineata come quella degli ignobili ex piciisti e con aperture ai russi, fatte passare per amicizia personale tra questo ambiguo personaggio e Putin – era semplicemente dovuta ad interessi probabilmente molto personali. Per cui è bastato il pericolo di danneggiamenti di altri interessi, o magari ulteriori pericoli ancora più personali, e quella politica ha fatto acqua da tutte le parti.
Ciò malgrado, non credo si sia giunti per semplice errore al massacro di Gheddafi che ha consegnato quel paese al caos più indescrivibile. Probabilmente, si è evitata ogni possibilità di qualche infiltrazione russa pur avendo “messo a regime” Berlusconi. Non ci si scordi che il coinvolgimento di quest’ultimo (tramite influenza sull’Eni, di cui si cambiò il presidente Mincato con Scaroni per accelerare l’accordo con la Gazprom) è avvenuto nell’agosto del 2003 quando Putin si fermò in Sardegna dopo un importante viaggio proprio in Libia e in Algeria (continuo a pensare che l’attuale regime di tale paese si sia salvato, per vari motivi nient’affatto conosciuti, dal subire un trattamento simile a quello di Gheddafi).
La Russia è oggi confinata a compiere movimenti vari, assai poco trasparenti, nell’area della Siria; e deve tenere almeno il porto di Tartus e qualche altra area d’influenza, ma il tutto “congelato” in quella zona dove si stanno svolgendo giochi a “geometria variabile” (e, lo ripeto, per nulla limpida).
Bene, tornando all’Italia, tutto questo ambaradan – complicato ulteriormente sia dalla rivalità tra Turchia ed Iran e dai problemi che si stanno creando in Europa per la questione dei migranti, da cui sembra derivare un certo rafforzamento dei settori euroscettici – esige cambiamenti notevoli nel nostro paese, in una situazione in cui il passato quarto di secolo ha condotto ad un pauroso abbassamento di ogni qualificazione politica dei partiti composti da autentici mediocri e meri opportunisti, che cambiano casacca ad una velocità supersonica.
E’ ormai indispensabile, per i predominanti Usa, sostituire gli ex piciisti dimostratisi degli autentici incapaci e in fase di forte perdita di credibilità e consenso. Bisogna però dire che i nuovi settori (diciamo, per semplicità, “renziani”) sono più o meno indecenti quanto i precedenti; semplicemente hanno il 90% dei media, in mano a venduti di ogni sorta, che li incensano.
Una simile copertura non è però del tutto sufficiente a dare popolarità adeguata a simili buffoni. Essi godono pure della coperta complicità di quel laido personaggio che è Berlusconi, evidente solo a chi capisce qualcosa di politica (molto pochi in verità). E i suoi “alleati” del “centrodestra”, sempre più convinti di doverlo mettere da parte, non chiariscono affatto il suo ruolo di tradimento, indebolendo così il loro comportamento e consentendo al “nano d’Arcore” di figurare come fosse lui il tradito.
Indubbiamente, per gli interessi americani si sta rivelando molto utile l’inettitudine e poca coerenza dell’opposizione in Italia. I cosiddetti pentastellati sono un ammasso abbastanza caotico di incompetenti pronti, io credo, a porsi al servizio degli Usa se questi decidessero di sfruttarli per la solita necessità di avere un paese ridotto a semplice area geografica delle loro operazioni; non solo verso Africa e Medioriente, ma pure per ostacolare i movimenti euroscettici.
E anche le forze dette di centro-destra, incapaci come già detto di regolare definitivamente i conti con i forzaitalioti berlusconiani, danno l’impressione di dover rimanere sempre all’opposizione. Il vero difetto di tutti questi partiti è di essere alla disperata ricerca di voti; il culto settantennale della finta “democrazia all’americana” gioca sempre brutti tiri. Non ci si rende conto che una siffatta “democrazia” esige la presenza di forti lobbies, dotate di mezzi per strapagare media e corrompere tutto e tutti.
In un paese come il nostro – in cui i gruppi di potere e gli apparati di servizio agli stessi (l’Intelligence in primo luogo) sono subordinati ad interessi predominanti (degli Usa appunto); e in cui anche i gruppi industriali e bancari, soprattutto dopo il forte indebolimento dei settori “pubblici”, giocano nello stesso senso – le lobbies, così essenziali alla “democrazia” da burletta, sono o straniere o al servizio di queste ultime.
Le povere opposizioni, se semplicemente si adattano alla ricerca dei voti, non riescono ad emergere. E qualora si rafforzassero un po’, subito si formerebbero gruppi di meschini opportunisti venduti (alle lobbies in questione).
[continua]
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