Dallo Stato sociale allo Stato penale
di DANILO ZOLO
Soprattutto nei paesi occidentali nuove sfide stanno alterando i rapporti fra quella che un tempo veniva chiamata civil society e le strutture centralizzate del potere statale. Due sono a mio parere i fenomeni più evidenti e più rilevanti.
Il primo è il processo di sfaldamento degli istituti della rappresentanza politica che erano alla base del tradizionale modello “democratico”. I suoi principali assiomi – il pluralismo dei partiti, la competizione fra programmi politici alternativi, la libera scelta elettorale fra élites concorrenziali – sono ormai degli enunciati sfuggenti, puramente formali. Anche il parlamento non svolge più alcuna funzione rappresentativa e legiferante, sostituito dal “governo” che tende a concentrare in sé tutti i poteri dello Stato di diritto (o rule of law) e a praticare una permanente ignorantia legis.
La volontà del potere esecutivo si sostituisce di fatto alla volontà, puramente presunta, del “popolo sovrano” e alla dottrina della “sovranità popolare” non resta che il ruolo di una “maschera totemica”, come lo stesso Kelsen ha sostenuto.
Il secondo fenomeno è la pressione crescente che il potere esecutivo esercita sui cittadini. La vita pubblica è dominata dall’egemonia di alcune élites politico-economico-finanziarie al servizio di intoccabili interessi privati. È la cosiddetta “nuova classe capitalistica transnazionale” che domina i processi di globalizzazione dall’alto delle torri di cristallo di metropoli come New York, Washington, Londra, Francoforte, Nuova Delhi, Shanghai.
In questo contesto il sistema dei partiti è un ristretto apparato “autoreferenziale”, che opera circolarmente come fonte della propria legittimazione e della promozione degli interessi delle grandi imprese produttive e degli enti finanziari, come le banche d’affari, gli investitori istituzionali, i fondi pensione, le compagnie di assicurazione.
In questa veste il potere “post-democratico” svolge un ruolo di controllo e di repressione dei comportamenti privati. Nei paesi occidentali – USA ed Europa occidentale in particolare – il Welfare State sta scomparendo mentre avanzano sempre più il controllo poliziesco pubblico e privato, la segregazione degli strati più poveri della cittadinanza (la Zero tolerance newyorkese), l’incontenibile espansione della popolazione carceraria, in particolare in paesi come gli Stati Uniti, l’Italia, la Francia, l’Inghilterra. Stiamo passando, ha scritto Loïc Wacquant, dallo Stato sociale allo Stato penale.
La dottrina della “democrazia pluralistica”, assieme alla cosiddetta responsiveness e accountability del potere esecutivo, è di fatto sostituita da forme di populismo autoritario che si giova largamente degli strumenti di comunicazione di massa. I partiti politici, operanti come apparati burocratici dello Stato, si accordano fra di loro e con gli altri soggetti della poliarchia corporativa, sottraendosi a qualsiasi efficace regolazione normativa, controllo o sanzione e garantendosi fra l’altro un imponente auto-finanziamento.
Non vedo alcuna possibilità di recupero nel breve periodo di un rapporto fra cittadini ed “élites democratiche” che operino come veicoli delle aspettative popolari e siano sostenute dai propri militanti ed elettori.
La globalizzazione ha favorito il costituirsi di regimi che, pur sventolando ancora, opportunisticamente, la bandiera della democrazia, sono in realtà oligarchie elitarie, tecnocratiche e repressive che vivono all’ombra del mercato globale. Sono regimi orientati alla pura efficienza economico-politica, al benessere della classe dominante e alla discriminazione dei cittadini non abbienti e dei migranti provenienti dall’Africa e dall’Asia.
Un ruolo decisivo nella trasformazione della “democrazia” occidentale è stato svolto dai mezzi di comunicazione di massa, in modo tutto particolare dalla televisione. Come è noto, gli sviluppi della tecnologia informatica vengono esaltati nel mondo del business multimediale come l’avvento della comunicazione interattiva. Una delle conseguenze positive, si assicura, è l’accrescimento della cultura e della competenza politica e, soprattutto, l’affermarsi di nuove forme di partecipazione popolare. Grazie all’uso di sofisticate apparecchiature elettroniche – teleconferencing, opinion-polling systems, automated feedback programmes, two-way cable television, etc. – i cittadini sono in grado di impegnarsi in un quotidiano bricolage politico. L’agorà elettronica uscirà dal mito e si incarnerà nelle forme di una instant referendum democracy.
Si tratta a mio parere di un ottimismo senza fondamenti.
Il carattere asimmetrico, selettivo e non-interattivo della comunicazione elettronica non potrà subire in futuro alcuna attenuazione. E non crescerà la capacità degli utenti di selezionare la comunicazione ricevuta, né la loro capacità critica nei confronti dei suoi contenuti. Al contrario, la loro autonomia sarà probabilmente esposta a rischi più gravi poiché le strategie della comunicazione multimediale punteranno sempre più consapevolmente su forme di persuasione ‘subliminale’, a cominciare dalla pubblicità commerciale, dai sondaggi di opinione e dalla propaganda politica.
La comunicazione politica, dominata dal codice televisivo del successo, della spettacolarità e della personalizzazione, tenderà a svuotarsi ancora di più dei suoi contenuti argomentativi e razionali e ad alimentare nuove forme di delega plebiscitaria. Usando sistematicamente lo strumento televisivo, i leader politici continueranno a rivolgersi ai cittadini-consumatori esibendo, secondo precise strategie di marketing televisivo, i propri prodotti.
Una tele-democrazia dispotica e grottesca è destinata così a convivere con un tele-populismo servile all’ombra del tramonto della democrazia rappresentativa.
Fonte: Jura Gentium
Zolo è acuto e realista come sempre. Meno quando parla dell’invasione migratoria, e allora la mobilità della forza-lavoro – il gancio inferiore della tenaglia studiata dal regime per polverizzare il “popolo sovrano” in una plebe meticcia che chiede panem et circenses – si capovolge immediatamente in sua vittima sacrificale.
Dimostrazione che l’essere umano non vuole chiarezza. Vuole vivere, e per vivere gli sono indispensabili dei pregiudizi aggregativi. Ciascuno fa uso dell’intelletto critico per mostrare l’inconsistenza dei pregiudizi avversari, ripetendone pari pari i procedimenti quando si tratta di plasmarne di propri.
“discriminazione dei cittadini meno abbienti provenienti dall’Africa e dall’Asia”.
Il danno che fa alle menti deboli il progressismo si rivela da poche parole.
Quindi secondo questo signore, in Italia gli allogeni sono discriminati rispetto agli autoctoni.
Immagino che sia così per chi fa il docente negli atenei britannici…