Considerazioni sulla globalizzazione (3a parte)
di GIUSEPPE GERMINARIO (Conflitti e Strategie)
Quello che nelle rappresentazioni “creative” si è fatto uscire dalla porta, sta rientrando alla chetichella dalle finestre o di forza DALLE ENTRATE PRINCIPALI in quelle stesse rappresentazioni: lo Stato.
In realtà, pur in una visione economicista, sono sempre rimaste ben salde specie nei paesi dominanti, anche se in ombra sino a pochi anni fa, correnti di economisti che riconoscono un ruolo decisivo dello Stato non solo in termini di regolazione keynesiana dei cicli ma anche di regolazione normativa.
A maggior ragione le correnti del realismo politico, incluse quelle liberali, hanno sempre avuto un peso determinante anche se discreto nei centri decisionali delle potenze egemoni. In Europa e nelle regioni periferiche con scarse ambizioni e capacità di autonomia politica hanno prevalso nettamente le tesi sovranazionali, del declino degli stati, della legittimità e della legge senza il corredo della forza, del potere autonomo degli organismi internazionali.
Nel paese dominante ed egemone ha prevalso tutt’al più la rappresentazione falsamente egualitaria del multilateralismo tra gli stati all’ombra di organizzazioni internazionali (FMI, BM, UE, ecc.) senza potere diretto e condizionate dal paese vincitore; la stessa rappresentazione egualitaria dei ventisette paesi europei dell’UE propinata dai più eterodiretti, tra i quali ovviamente l’Italia.
Tutto ciò per impedire o ritardare la nascita e lo sviluppo di aree di influenza alternative e potenzialmente contrapposte. Tanto è vero che, al sorgere di questo pericolo, l’iniziativa americana ha mutato registro e si è rivolta soprattutto alla stipula di trattati di area internazionali (TTP, TTIP, ecc.) con gli Stati Uniti come cerniera e baricentro tra questi gruppi.
La condizione di uno Stato dipende dalla capacità di tenuta delle relazioni esterne e dal livello di controllo e dalla capacità di coesione della formazione sociale di appartenenza (Huntington: intensità ed estensione del potere). Uno Stato può quindi sorgere, fallire, rafforzarsi, indebolirsi, estendersi o ridimensionarsi. Esattamente quello che sta avvenendo in questa fase di fine del bipolarismo e di incertezza e volubilità degli schieramenti legata all’incipienza del multipolarismo che rende i centri strategici decisori di diverse formazioni sociali più esposti agli interventi esterni e più fragili rispetto alle mutazioni delle proprie formazioni sociali.
Al momento lo Stato rimane ancora l’unica istituzione e struttura organizzata in grado di pretendere e garantire in diversa misura quelle prerogative che consentono la tenuta della formazione sociale ed il confronto con le interrelazioni esterne: il controllo territoriale la cui estensione dipende dalle caratteristiche geografiche, dalla sedimentazione storica della popolazione, dalla capacità tecnologica e quindi in particolare dalla capacita dei centri dominanti di gestire i rapporti di cooperazione e conflitto; la pretesa di monopolio dell’uso della forza all’interno e la conseguente fondazione del diritto regolatore dei rapporti tra lo Stato e i cittadini e tra i cittadini nei suoi aspetti anche informali; la rappresentazione del bene comune indispensabile alla tenuta e alla motivazione dei componenti la formazione sociale e dell’insieme; importante per i fautori del conflitto strategico, la delimitazione dell’azione politica esterna allo stato negli aspetti formali ed informali, comprese le trasgressioni.
Le prerogative, lo spazio e l’intensità degli interventi tendono piuttosto ad estendersi, intensificarsi e complicarsi: l’estensione del controllo delle acque, la gestione e la manipolazione del flusso dei dati e degli snodi di transito, la dimensione dello spazio aereo, la ricerca scientifica, l’integrazione delle piattaforme industriali, l’apparato militare sono tutti fattori tra gli altri che richiedono un utilizzo complesso delle strutture statali e che definiscono le gerarchie e le possibilità di sopravvivenza e autonomia decisionale degli stati.
Le organizzazioni internazionali sono il frutto di accordi diplomatici ed agiscono con il supporto fondamentale degli stati; non possono essere equiparate al funzione degli stati e quindi non si prestano a modello di superamento di essi. Se dovessero sorgere nuove istituzioni, non deriverebbero certamente da queste ultime; piuttosto trarrebbero ispirazione dalla forma più flessibile, lo Stato Democratico Rappresentativo o per meglio dire lo Stato Poliarchico (Lindbloem).
Ho già ribadito che una struttura, una rete, una relazione non sono un soggetto. Hanno una dinamica, ma non una volontà. Sono composte, mosse da soggetti che tutt’al più agiscono in nome e per conto.
Sono i soggetti, singoli o in gruppo che si muovono, utilizzano e mobilitano, non lo Stato o parti di esso. Lo Stato, campo e strumento di azione politica per eccellenza, nelle sue varie conformazioni, fondamentali nel delineare le modalità della cooperazione e del conflitto tra agenti strategici e della formazione dei blocchi sociali, è comunque una struttura su base gerarchica. La competizione politica tra agenti in conflitto dovrebbe quindi ridursi alla conquista del vertice e alla defenestrazione o inglobamento dell’avversario.
Non è così in quanto:
1. Il rapporto gerarchico non implica una relazione univoca dall’alto in basso; trattandosi inoltre di più livelli nella struttura, le figure intermedie svolgono funzioni di comando e di esecuzione. La biunivocità o “multiunivocità” è determinata dai rapporti informali, dalle competenze, dall’impossibilità di controllo diretto, dall’interpretazione e da tanti altri fattori
2. Lo Stato moderno ha sviluppato una separazione di poteri (legislativo, esecutivo, giudiziario) che implica una prima divisione di strutture e un rapporto di controllo, conflitto e cooperazione tra di essi; la stessa struttura burocratica tende a complicarsi; condizioni straordinarie ed eccezionali creano strutture ad hoc difficilmente revocabili le quali una volta sedimentate duplicano e sovrappongono le competenze; la stessa complessità della macchina spinge a rapporti formali ed informali orizzontali tra i livelli tra i vari settori; le strutture diventano di per sé centri autonomi di potere; con il decentramento spesso si tendono a sovrapporre stessi livelli di competenze e sovranità tra potere centrale e periferico.
Nelle situazioni di crisi e di transizione si tende a sopperire alle carenze e al mancato controllo di un settore con l’attribuzione o l’usurpazione di competenze improprie ad altri ambiti (Althusser, Poulantzas) pagando lo scotto di carenze di gestione e situazioni croniche di instabilità (mani pulite). Il processo può essere manipolato direttamente, indirettamente o scaturire da dinamiche incontrollate.
3. I componenti dei centri strategici tendono a creare una cerchia di fedeli, anche esterni ed estranei ai posti di comando (“cerchio magico”) come rifugio e consulenza informale e di ultima istanza.
4. La rappresentazione della classe dirigente in regnante, governante e dominante rende ancora più difficile individuare e stabilizzare le gerarchie di potere per non parlare della funzione del cosiddetto “Stato Profondo” (Chauprade).
5. Nell’interazione agiscono a pieno titolo importanti centri esterni allo Stato autonomi oppure strettamente collegati a settori di esso.
Sono tutte condizioni che agevolano le trame politiche, gli spazi agibili e la provvisorietà delle situazione non ostante l’apparenza di equilibrio e di definizione dei rapporti di forza; condizioni che allargano lo spettro di azione e le condizioni di conflitto. Quello che si riferisce allo Stato è, per di più, riproponibile con alcune varianti essenziali all’intero spazio del conflitto strategico. Ma siamo ancora alla fase propedeutica ad una “analisi concreta della situazione concreta”. Il che dice tanto sull’arretratezza della nostra condizione.
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