Considerazioni sulla globalizzazione (2a parte)
di GIUSEPPE GERMINARIO (Conflitti e Strategie)
Le incongruenze di queste rappresentazioni riguardano rispettivamente il merito del processo di globalizzazione, la sua immagine sacralizzata e assolutizzata che ne obnubilano le diverse e diseguali dinamiche interne, l’attribuzione di una intelligenza e volontà proprie ai sistemi reticolari e alla relazione piuttosto che agli agenti operanti in quelli, la riduzione di ogni gerarchia al dominio dell’economico o al meglio degli agenti economici sugli altri ambiti, alla separazione dell’azione politica rispetto agli altri ambiti di attività, alla riduzione dell’attività politica all’attività statale e nell’ambito dello stato, al disconoscimento e al travisamento della funzione dei centri strategici e delle dinamiche del conflitto e della cooperazione tra di essi.
Le conseguenze di queste discrasie sono particolarmente pesanti e negativamente significative nell’azione politica.
Comincio dalle incongruenze:
1) La G non è un processo che investe uniformemente tutti gli ambiti. Vi sono settori investiti pesantemente (parte del finanziario, trasmissione e gestione dei dati), altri con minore intensità; nemmeno investe uniformemente i territori ed i paesi e le limitazioni sono presenti spesso e volentieri anche nei paesi centrali paladini della libera circolazione. La stessa intensità è sopravvalutata dalla ulteriore frammentazione politica del pianeta che ha trasformato in internazionali gli scambi interni dei paesi originari.
In realtà si parte da un presupposto invece tutto da dimostrare (stati in dissolvimento e/o strumento del capitale e delle sue esigenze di accumulazione e profitto), si individua l’ambito di maggior successo come dominus e regolatore esclusivo del sistema (finanza), capace di autoalimentare potere e ricchezza senza rapporto con i poveri e i diseredati (Bauman).
La conseguenza è che il conflitto diventa planetario ma riguarda la semplice redistribuzione tra l’1% ed il restante ridotto a plebe nella rappresentazione più estrema, tutt’al più il capitale e gli sfruttati questa volta uniti nella richiesta di diritti sociali classici e dei diritti civili ed individuali (Wallerstein) nella versione più “novecentesca”. Il ruolo degli stati non è più centrale ridotti come sono a meri esecutori e agenti di repressione e spesso nella condizione di ostaggi del mondo finanziario. In sostanza l’aspetto e il punto di vista economico, in particolare quello distributivo e commerciale, pervadono tutti gli ambiti, da quello politico (denaro corruttore) a quello ideologico-esistenziale (consumismo, l’alienazione)
2) La rappresentazione reticolare, nel suo aspetto appariscente, offre una visione di flussi frenetici secondo una logica propria e autonoma, praticamente spontanea, di quella trama; al sistema e alla rete di relazioni viene attribuita una volontà ed una intelligenza proprie; nasconde in realtà la valenza della gerarchia degli snodi dove i flussi si incrociano, si mischiano e si scontrano e soprattutto che gli impulsi partono da agenti e da loro gruppi di diverso peso e composizione presenti nella trama in rapporto non univoco
3) L’azione politica subisce di conseguenza una sorta di dissociazione e separazione. Da una parte viene relegata negli ambienti e nelle dinamiche istituzionali, per lo più rappresentative o al meglio di solo governo ma svuotate in realtà sempre più di potere e di competenze, dall’altra assume connotati esistenziali che investono la salvaguardia della natura umana oppure la sua riduzione ed alienazione ad un unico aspetto (economico, consumistico). In pratica l’assoluto tra bene e male.
Le rappresentazioni così enunciate inibiscono una comprensione adeguata del contesto, conducono ad una sottovalutazione della identità, della natura e della capacità operativa e attrattiva dei decisori dominanti e ad una sopravvalutazione moralistica degli oppositori e dei centri minori in conflitto e competizione.
a) il dominio occidentale viene assimilato nel dominio capitalistico e quest’ultimo nel dominio finanziario. Una rappresentazione resa verosimile da una fase di dominio unipolare incipiente, laddove lo strumento militare esercita soprattutto una pressione latente e la gerarchia degli stati e la progressiva disgregazione o assoggettamento degli stati autonomi più deboli può offrire una parvenza di sistema unico dominato dalle forze più appariscenti e più mobili e liquide (finanza, ect) cui contrapporre masse informi o richiedenti al meglio una costellazione di diritti.
L’emergere di centri politici alternativi e progressivamente contrapposti al dominante, radicati in alcuni stati emergenti ha disorientato la leadership della contestazione mondialista al dominio mondialista. Da una parte questa li assimila forzatamente ai dominanti storici denunciandone la condivisione di interessi e di dominio.
Un’altra parte investe i nuovi arrivati dell’aura di paladini della ricostruzione dell’integrità umana antitetico al nichilismo e materialismo occidentale, assegnando loro una funzione salvifica e di creazione di un sodalizio strategico millenaristico (lotta tra impero terrestre e potenze marittime, spiritualità e gretto materialismo, ect). Tutti gli ingredienti per sostituire una nuova subordinazione alla precedente o per indurre al rifugio verso soluzioni localistiche e comunitaristiche;
b) il preteso dominio assoluto della finanza impedisce di individuare la complessità della struttura finanziaria, la conflittualità tra i centri finanziari, la funzione ultima di drenaggio, convogliamento e destinazione delle risorse, la caratteristica prevalente di strumento politico-strategico dovuta alla facilità e flessibilità di utilizzo, soggetto quindi alle fasi difensive e di attacco delle azioni politiche. Impedisce inoltre di vedere la finanza come un ambito particolare e consustanziale del capitalismo, inteso come un sistema di relazioni sociali in ambito economico molto più pervasivo, più potente ma meno volubile e mobile dell’ambito finanziario, se non nei tempi lunghi
c) il capitalismo può definirsi “assoluto” solo perché ormai pervade, come “rapporto sociale di produzione” l’intero pianeta soprattutto per le caratteristiche superiori di organizzazione e di dinamicità grazie alla sua capacità attrattiva, non perché determini in esclusiva ogni aspetto della vita umana. Questo rapporto implica anche e soprattutto il conflitto tra agenti capitalistici e comunque, sempre più, caratteristiche intanto di gestione politica strategica delle dinamiche interne delle attività; dalla gestione dei gruppi interni alle imprese, ai rapporti tra i vari ambiti e i vari agenti in conflitto e cooperazione, alla creazione e gestione di aree di influenza nella verticale della struttura di produzione e nella competizione orizzontale.
Altrettanto, però, comporta dinamiche politiche esterne all’attività economica nelle loro interazioni ed influenze che lo costringono ad adattarsi e conformarsi dinamicamente alle diverse formazioni sociali e alle strutture politiche. I capitalismi, gli agenti delle varie formazioni, hanno bisogno di essere normati, sostenuti, indirizzati formalmente ed informalmente nei rapporti interni, nella competizione interna e in quella esterna, inseriti in una base sociale sufficientemente solida che le dinamiche capitalistiche contribuiscono continuamente a sconvolgere.
Tutti requisiti che richiedono l’esistenza di una struttura particolare deputata ad alcune specifiche e particolari attività politiche le quali, però, hanno uno spettro e finalità di azioni diverse e più ampie e offrono una rappresentazione tendenzialmente organica. Gli stessi capitalisti delle varie formazioni capitaliste devono tener conto, agire all’interno e il più delle volte obbedire alle indicazioni e alle esigenze dei centri strategici dello stato anche nelle loro attività internazionali, quelle che apparentemente dovrebbero garantire maggiore autonomia di azione.
[continua]
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