Considerazioni sulla globalizzazione (1a parte)
di GIUSEPPE GERMINARIO (Conflitti e Strategie)
1. L’argomento della globalizzazione (G) comincia ad affiorare dagli ambienti accademici negli anni ’80 soprattutto a causa dei progressi tecnologici per affermarsi definitivamente nel dibattito pubblico con l’implosione del sistema sovietico, il crollo del sistema bipolare e la permanenza degli Stati Uniti come unica superpotenza regolatrice. Poggia quindi su un contesto politico inedito per le dimensioni dello scenario e la profondità del processo, anche se, inteso limitativamente come internazionalizzazione, è in realtà una situazione che si verifica ciclicamente nella storia.
2. Il processo di G implica una azione significativa sulle dimensioni del tempo e dello spazio. Il tempo di azione necessario alle attività tende ad azzerarsi; lo spazio operativo e di influenza tende invece ad estendersi all’intero pianeta
3. Il processo di G consiste in un decisivo incremento delle correlazioni, delle interrelazioni, degli scambi, dei flussi di dati, prestazioni e merci su scala planetaria tendenzialmente senza particolari zone di influenza. Riguarda l’ambito culturale, il sistema informativo e di trasmissione dati, l’ambito economico e in maniera più controversa quello politico
4. La rappresentazione del processo di G offre due scenari guida principali con numerose varianti e gradazioni all’interno:
a) quello di impronta liberale-liberista (con l’esclusione di gran parte della componente realista). Un sistema reticolare i cui punti sono in grado di connettersi potenzialmente con tutti gli altri attraverso gli snodi senza particolari gerarchie o percorsi obbligati da terzi, specie politici. L’obbiettivo ideale è la presenza debole e limitata alla regolamentazione del sistema politico e dei suoi decisori; i luoghi e gli strumenti operativi sono gli istituti sovranazionali; la modalità operativa è il multilateralismo, il quale prevede la possibilità di relazione tra gli stati senza blocchi, sfere di influenza ed alleanze predefinite e all’interno delle strutture e nel rispetto delle linee guida delle istituzioni internazionali.
Parte integrante dello schema liberale, con alterne fortune, attualmente però in declino, è la variabile progressista ancora ben radicata nella sinistra con le seguenti linee guida: il rapporto tra attività politica e attività economica è efficace solo se le dimensioni delle istituzioni politiche corrispondono a quelle del mercato; attualmente la divaricazione tra il mercato globale e le istituzioni territoriali impediscono il controllo e l’indirizzo dei circuiti economici nonché la formazione di una società civile corrispondente alle dimensioni del mercato; bisogna puntare quindi alla governance e possibilmente al governo mondiale.
Uno degli ispiratori più seguiti, ma con un ascendente sempre minore, sull’argomento è Habermas il quale in particolare individua nella storia una chiara tendenza alla giuridificazione dei rapporti umani e politici tra i paesi a scapito della violenza; la detta giuridificazione trae alimento dal riconoscimento di legittimità fondato attraverso la formazione di un “mondo vitale” comune imperniato su un linguaggio, un patrimonio culturale e valori comprensibili e accettati tendenzialmente da tutti; l’intera attività degli uomini è impregnata da questa prassi discorsiva ad eccezione dell’ambito economico, categoricamente separato.
In realtà Habermas si rende conto del carattere utopico e pericolosamente totalitario nella sua fase conclusiva della sua visione proprio perché tende a ridurre al diritto l’ambito d’azione del politico e questo allo stato con il rischio della prevalenza per via istituzionale di quella cerchia tecnocratica che altrimenti prevarrebbe grazie al predominio dell’ “economico”; per questo motivo sfuma e diluisce le funzioni del “governo mondiale”;
b) quello di impronta sistemica. Anche questo un sistema reticolare, ma diretto o egemonizzato da un centro di comando particolare (per i più la grande finanza) oppure da un sistema centrale ma pervasivo (il capitalismo). Uno dei filoni originari da cui si sono alimentate queste concezioni è quello della scuola degli “Annales”, a partire da Braudel per arrivare a Wallerstein e tanti altri.
Secondo costoro la storia si sviluppa per cicli di varia estensione all’interno a loro volta di cicli di lunga durata (Kondratiev) inframezzati da fasi di transizione; a ogni ciclo di lunga durata corrisponde la formazione di particolari sistemi-mondo, di sistemi cioè interconnessi con regole interne di funzionamento e capaci di continuità.
Nel passato i sistemi mondo erano costituiti da imperi e dal predominio del politico e della funzione diretta di comando, di controllo e di conflitto. L’ultimo sistema mondo, a partire dall’epoca moderna, è in realtà una economia-mondo, un mercato tendenzialmente sempre più globale dominato dal capitalismo, mentre alla dimensione politica viene affidata una funzione egemonica piuttosto che di decisione e comando.
La finalità del capitalismo, però, si riduce al profitto e all’accumulazione. Il capitalismo deve la sua esistenza e la sua fortuna all’oligopolio sui prodotti di punta coltivati nel centro del sistema e sullo sfruttamento conseguente dei prodotti concorrenziali presenti nella periferia; cerca di contrastare il proprio declino e il proprio collasso legato alla crescita dei costi di produzione attingendo dal serbatoio delle masse contadine per altro in via di esaurimento e cercando di eludere i costi sociali, infrastrutturali ed ambientali della propria attività per altro con sempre maggiore difficoltà.
L’impegno prioritario del “capitalismo” rivolto al politico è quello di alimentare la frammentazione degli stati in modo da sfuggire ad un loro eventuale stretto controllo; l’impegno subordinato degli stati è quello di conquistare la posizione egemonica centrale cercando di garantirsi l’allocazione e il controllo delle produzioni oligopolistiche rispetto alle posizioni semiperiferiche e periferiche.
Come in a), anche in b) dallo schema originario si ramificano numerosi varianti (Bauman, Negri, Badiou e tanti altri ancora ben inseriti, peraltro, nel mondo accademico specie anglosassone anche se con funzioni ancillari rispetto alla ben più autorevole componente del realismo politico) i quali esercitano una potente influenza sui fatui fuochi di opposizione movimentista planetaria che qua e là improvvisamente si accendono.
[continua]
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