Stati Uniti, l'impero senza sovranità
di CARLO GALLI (filosofo della politica; Università di Bologna)
L’agire militare americano non sembra una manifestazione tradizionale di sovranità, quanto piuttosto di una necessità, un’opera di supplenza continua di un ordine mondiale che non c’è, un lavoro da pompieri o da poliziotti globali, piuttosto che da politici. La lotta armata contro il terrorismo è uno dei modi con cui gli Usa partecipano alla guerra globale, ed è la prosecuzione con altri mezzi della mancanza di politica, in senso tradizionale, tipica dell’età globale: è la prosecuzione della nuova politica dell’immediatezza, del cortocircuito fra ragioni dell’economia e manifestazioni della violenza.
Risucchiati nella palude globale, gli Usa non sembrano avere un disegno strategico preciso, quanto piuttosto molti immediati interessi da difendere e molte paure da compensare; anche se l’Impero americano non è in declino, catturato nel vortice dell’Impero globale, forse è davvero l’Impero del caos, condannato a combattere per sempre, a vincere, certo, ma anche a non avere mai pace e non dare mai pace.
Del resto, una bonifica preventiva delle fonti del terrorismo implicherebbe che gli Usa costruissero o riformassero radicalmente l’ordine interno di un’ottantina di paesi poveri e de-istituzionalizzati: il che è un’impresa eccessiva persino per una potenza che ha basi militari in 100 dei 180 paesi del mondo.
In ogni caso, si può ben dire che anche da parte americana c’è grande disordine sotto il cielo, e che l’iperpotenza degli Usa non è ‘sovranità’ in senso classico: infatti, la sovranità trae il proprio senso dall’essere plurale, dal riconoscere altri centri sovrani, mentre gli Usa non riconoscono alcun nemico fuori di loro, non hanno iusti hostes, ma vedono nei propri avversari solo dei criminali, degli Stati-canaglia, un ‘asse del male’. E così rendono evidente che oggi non esiste, propriamente, un ‘sistema internazionale’, con attori precisamente distinguibili e interdipendenti, ma appunto un asistematico ‘sistema globale’ in cui esiste solo la dimensione ‘interna’ della ‘polizia’, o meglio di una politica deterritorializzata che insegue l’economia, e porta immediatamente in sé la guerra.
[da La guerra globale, ed. Laterza 2002]
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