Il campetto
di Tonguessy
Chi ha parecchi capelli bianchi come il sottoscritto si ricorda di com'era l'Italia degli anni '60. Poche macchine, tante biciclette, le vespe e le lambrette. E nugoli di ragazzini figli del baby-boom del decennio precedente quando, finita la guerra, si era tornati alle cose normali: il lavoro, la famiglia, la casa. I figli rappresentavano la speranza del "darci un taglio" così straordinariamente testimoniato dalla nostra Costituzione: lavoro per tutti, mai più guerra, democrazia. Noi bambini dell'epoca eravamo tanti e, come tutti i bambini, giocavamo. Tra i giochi dell'epoca alcuni sono ormai scomparsi, purtroppo.
Pindolo, ad esempio. Gioco semplicissimo fatto con un vecchio manico di scopa opportunamente adattato che ricalcava le orme del moderno baseball.
Oppure il carrettino costruito con un asse, il solito manico di scopa con due cuscinetti alle estremità avvitato alla fine dell'asse ed un pezzo di legno imbullonato all'estremità opposta con sotto il terzo cuscinetto a fare da sterzo.
I cartoni quando c'era una discesa e neve o, meglio, ghiaccio e ci si lasciava scivolare e poi si risaliva. Poi il sempiterno calcio.
Il campetto rappresentava il fulcro sociale dei nostri giochi, l'agorà ludico dove tutte i giochi avevano luogo, con l'esclusione del carrettino, delle corse in bici o dei "giri d'Italia" con i tappi corona che necessitavano di strade asfaltate. Campetto o piazzetta che fosse tutti i pomeriggi dopo la scuola o anche la mattina durante le vacanze ci si trovava lì. Non c'era né il televisore con i suoi Disney Channel né la Playstation.
Oggi invece abbiamo Sky, playstation, computer e molto altro ancora: auto in quantità (abbiamo il più alto rapporto auto/abitanti d'Europa), ed una autentica chicca della globalizzazione: le zanzare tigre, attive 24h al giorno. Abbiamo però perso quel campetto, diventato ormai condominio, case a schiera o selciato progettato da qualche illustre architetto. Non ci sono più quei giochi semplici ma non ci sono più, a ben guardare,neanche i bambini. Dove saranno finiti?Tra tv, playstation e computer non si schiodano proprio mai di casa?
Per chi ha bambini in età scolare sa che esiste un'alternativa: il patronato. Che, differentemente dal campetto, è di proprietà privata. Anzi appartiene ad un altro Stato. Dove lo Stato fallisce subentrano i privati, oppure un altro Stato che si vede garantito il diritto a mantenere degli spazi di condivisione sociale all'interno del territorio Italiano. Territorio Italiano che altrimenti non avrebbe spazi di socializzazione minorile.
Buffo, no? I nostri figli per svolgere attività ludiche devono quindi entrare in quella parte del territorio Italiano gestito da un altro Stato, perché il nostro, quello delle belle speranze del dopoguerra, non ha più niente da offrire. Grazie ed una accorta politica di saccheggio territoriale è stato cementificato tutto. Perfino i pochi spazi "pubblici" sono di appannaggio delle macchine, parcheggiate in ogni dove. Ne hanno diritto, visto che pagano la tassa di circolazione. I nostri figli invece, non pagando niente, non possono accampare diritti.
Sono tantissime le tradizioni perse e quelle che stiamo perdendo, purtroppo questa è proprio l'essenza del progresso e della società moderna: l'omologazione ad un modello unico, non solo di pensiero, ma di ogni aspetto della vita.
E in questo contesto due cose sulla frase:
"finita la guerra, si era tornati alle cose normali:"
…adesso siamo pieni di cose normali: i cellulari, la TV, i giochi elettronici, i reality…
E' vero ma in compenso possono guardarsi Rambo 618, dove un fulgido stallone, ammazza gli ultimi tre comunisti vietnamiti a colpi di catetere.
ciao tonguessy… i ricordi che evochi mi muovono a tenerezza… :-)… semplicemente ci siamo/siamo stati "omologati"… qualche volta anche ns. malgrado… comunque è accaduto… eravamo ciascuno perso dietro ai propri miseri splendori oppure alle proprie splendide miserie… non siamo stati capaci di incidere nel concreto, di ribaltare il tavolo del gioco truccato, di rifiutare il vento coloniale dell'ovest, di difendere la ns. identità culturale… di spiegare ad alcuni poveri mezzi-idioti/mezzi-incoscienti dei genitori degli amici dei ns. figli che non era affatto normale tutto quello che stava succedendo… a mio avviso è la colpa maggiore della ns. generazione… e i ns. figli pagheranno per intero la ns. parziale vigliaccheria o inconcludenza… spero di non aver detto delle "strunzate", ma non è poi così importante… personalmente avrei voluto (e forse potuto) fare meglio di quanto non sia riuscito a fare… nel concreto OGGI parliamo quanto più possibile con i ns. bambini o ragazzi, spieghiamo loro che le cose non sempre sono come appaiono a prima vista, impegnamoci affinché prevalga il loro intelligere rispetto al loro eventuale deficere… e sempre alegri bisogna stare…
concordo con tutti e:
"OGGI parliamo quanto più possibile con i ns. bambini o ragazzi, spieghiamo loro che le cose non sempre sono come appaiono a prima vista,…".
io non ho figli ma la mia atroce domanda è:" come posso riuscire a far capire ad un giovane quanto sopra ha riportato telethont?".
come posso riuscire a non passare per disfattista, pessimista, bastian-contrario, agli occhi della maggioranza?
come posso seguire mio figlio nel complesso mondo della scuola (nel senso che è quasi impossibile riuscire a fargli filtrare le immani mistificazioni della storia e dell'attualità).
la speranza è che in molti si riesca a trovare il tempo per fare tutto ciò insieme, altrimenti il buon lavoro del genitore rischia di essere spazzato via dal menefreghismo della maggioranza che non educa adeguatamente i propri figli che poi infetteranno (perchè moltitudine) il mio.
.-p capito?
Se siamo fortunati, possiamo fare scelte di vita, come vivere in campagna o in qualche dignitosa (o meno indignitosa) periferia.
Però non basta, perché come osservato da telethont e da andreatparma, restano gli amici dei nostri figli, che sono figli di persone totalmente "adattive" (mi riferisco a ciò che Adorno aveva previsto e che è descritto nell'articolo pubblicato su appelloalpopolo pochi giorni fa). D'alra parte dove io vedo ancora i campetti e le case e per qualche ragione vi sono poche macchine, lì io non vedo ugualmente i bambini. E questo mi riempie di tristezza.
Qui sta, al di là di tutto, la fallacia totale del liberalismo (parlo del liberalismo come concezione dell'uomo, che ha pretese anche fondate di nobiltà e che nulla ha a che fare con il liberismo). Non viviamo in sfere di cristallo e spesso nemmeno la reisstenza individuale è possibile; se non come strenua resistenza e come lotta titanica.
Non resta che la politica. In fondo la politica ha un senso per noi soltanto se ci poniamo all'interno di qualche cosa che ci trascende. Un popolo, in particolare (anche se su questo non abbiamo mai riflettuto). Una entità che c'era quando noi non c'eravamo e ci sarà quando ce ne saremo andati.
I valori dei nostri genitori, il loro mondo (come eravamo) e, soprattutto, i nostri figli (o nipoti, fa lo stesso) sono ciò che ci lega al tempo e ci introduce in un popolo. Ecco perché appelloalpopolo. Nell'intersse dei nostri figli e dei nostri nipoti siamo tenuti all'impegno politico.
E' necessario che sorgano organizzazione politiche radicali (in senso assoluto, non come le formazioni radicali che abbiamo conosciuto ultimamente) ed è necessario sostenerle, correndo anche i rischi che storicamente il radicalismo comporta. E' necessario per i figli e forse addirittura per i nipoti. Non vedo altre possibilità.
Siamo costretti alla politica. Proprio noi che ci eravamo tirati indietro. Noi che abbiamo cercato nidi, luoghi compagne interssi passioni dove trovare rifugio.