Fermiamo quel paese, o riprendiamoci la sovranità
Pubblico un importante articolo di Sergio Cesaratto, fonte goodwin box, con i commenti svolti da alcuni economisti Italiani (SD'A).
1. La direzione presa dalla politica economica europea è allarmante. Alle misure draconiane imposte alla Grecia sono seguiti in una gara i tagli di bilancio deliberati in Spagna, Portogallo, Italia, Regno Unito e infine da Germania e Francia. Ciò nonostante (o meglio a causa di questo) gli spread fra i tassi sui titoli dei paesi periferici, inclusi ora quelli francesi, e quelli tedeschi hanno continuato a crescere – per l’Italia si sfiorano i due punti. Al contempo le televisioni di Berlusconi annunciano con toni trionfanti la ripresa economica nel primo trimestre e un balzo nella produzione industriale in aprile, che viene attribuita alla discesa dell’euro. Ma l’impatto dei tagli di bilancio deve ancora manifestarsi! Banca d’Italia e persino la BCE hanno espresso preoccupazione in merito.
I cosidetti “mercati finanziari” non sono affatto convinti dalle misure di “austerità”, anzi temono che conducano a un ulteriore problema di solvibilità di Stati e privati. Prendersela dunque con la speculazione, nel mentre nei fatti la si incentiva con misure controproducenti, va bene solo per gli allocchi che guardano il TG di Minzolini. Obama ha di nuovo strillato in sede di G20 contro il rifiuto tedesco di contribuire attivamente alla ripresa, ma di nuovo con effetti nulli. A inizio settimana Angela Merkel ha rifiutato un incontro con Sarkozy preliminare alla riunione dei ministri finanziari sapendo che questi avrebbe reiterato la richiesta francese di una governance macroeconomica europea da affidarsi all’Eurogruppo e di affrontare la questione degli squilibri commerciali infra-europei dovuti al mercantilismo tedesco. La Germania sembra affidare per ora le proprie sorti alla caduta dell’euro e a una massiccia ripresa delle proprie esportazioni (non senza aver provveduto a tagliare la spesa pubblica in modo da pararsi da una ripresa dell’inflazione e non farsi così mancare il tradizionale dumping mercantilista rispetto ai partner europei). Non è chiaro se questo sarà sufficiente a compensare la caduta delle sue esportazioni nei mercati europei – lasciati cadere in recessione – e da ultimo a evitare un crack del sistema finanziario tedesco fortemente esposto verso la periferia europea qualora – com’è possibile e forse auspicabile – la loro situazione finanziaria divenisse insostenibile. Le tensioni commerciali fra Stati Uniti e Cina si sono inoltre nuovamente esacerbate negli ultimi giorni: la reiterazione del disegno tedesco di farsi tirare fuori dagli altri dalla crisi sarebbe un carico da undici su queste tensioni. Dopo aver lucrato prima, e contribuito alla loro condanna poi, sui paesi della periferia europea, ora la Germania reitera il suo ruolo di fonte di squilibri mondiali. Questo è un paese pericoloso! Non avrei mai creduto di dovermi trovare d’accordo con Luigi Zingales che sul Sole 10 giugno scriveva sulla Germania cose del tutto condivisibili. Anche all’osservatore più attento sfuggono molti elementi della situazione: come mai un concerto di potenze economiche globali, Cina e Stati Uniti, e regionali, Francia, Italia, Spagna, non sono in grado di imporre alla Germania un mutamento profondo delle proprie politiche. Di cosa si ha paura?
2. Eppure la Germania dovrebbe essere memore di cosa significa la vessazione di paesi forti verso paesi deboli, e di quanto questo sia irrazionale anche dal punto di vista dei paesi forti. La memoria dovrebbe infatti andare alle sanzioni imposte dalle potenze vincitrici alla Germania dopo il primo conflitto mondiale, e alla denuncia della loro nefandezza umana ed economica che ne fece Keynes nelle Conseguenze economiche della pace. Come ci rammenta opportunamente Cristina Marcuzzo nel suo contributo al volume in memoria di Nando Vianello (che verrà presentato a Roma lunedì 14 presso la Facoltà di Economia della Sapienza) nelle questioni economiche il moralismo, spesso evocato nel giustificare le sanzioni (chiamiamole per nome) alla Grecia conduce alle più irrazionali soluzioni economiche e politiche. Ma queste sono chiacchiere accademiche, e anch’esse dal sapore moralistico.
Qui si sa benissimo cosa si potrebbe fare, e si sa benissimo che la Germania non vorrà farlo. Nell’immediato la BCE dovrebbe sostenere il debiti pubblici europei stabilizzando i tassi di interesse e il segno delle politiche di bilancio andrebbe invertito, in maniera sostanziale in Germania. Se questo non accadrà, e non accadrà – a meno di un pesante intervento americano – è una più o meno veloce agonia che ci attende, e una deflagrazione incontrollata dell’UME quando il punto dell’insostenibilità finanziaria e sociale verranno toccati. Allora è meglio una deflagrazione controllata.
3. Parliamo con franchezza. Il problema dell’uscita dall’UME, perché di questo si parla, non è tecnico. Si sa cosa fare, abbiamo persino, come Graziani ci ha sempre ricordato, gli s-euro (gli euro emessi dalla Banca d’Italia si distinguono per una “s” prima della numerazione): (i) ridenominare i debiti, pubblici e privati in s-euro; (ii) utilizzare la riguadagnata sovranità monetaria per assorbire tutti i titoli pubblici non desiderati dal mercato e stabilizzare il tasso di interesse; (ii) introdurre il controllo sui movimenti di capitale; (iv) sostenere l’economie con misure di espansione fiscale; (v) introdurre misure selettive di controllo delle importazioni (per evitare che l’espansione interna faccia esplodere il disavanzo commerciale). Si tratta naturalmente poi di decidere se e quanto svalutare rispetto all’euro per far ripartire le esportazioni verso la Germania. Molti prezzi e tariffe pubbliche andranno congelati per impedire che la svalutazione si traduca in caduta dei salari reali. Misure da gabinetto di guerra? Claro que sì. Per questo il problema è nel passaggio politico (vedi quanto scrive Eichengreen) che deve esser tempestivo. Queste sono cose di cui non si parla prima – se non fra le 10 persone che nelle istituzioni, nei partiti e nelle forze sociali contano, impensabile consultare il Parlamento – e che si attuano dalle 17 del venerdì (…tanto le intercettazioni Berlusconi le ha provvidenzialmente abolite). Vi spaventa? Tanto ci si arriva comunque, meglio giocare d’anticipo.
4. E il dopo? Nessuno vuole ritornare agli anni del conflitto esasperato o della spesa clientelare. Il paese sa che si deve dare un regolata (qualcuno aveva ritenuto di poterlo fare importando la disciplina tedesca a solo discapito dei lavoratori dipendenti). Il ripristino di una piena legalità nella politica, nell’amministrazione, nel prelievo fiscale, nei comportamenti minuti va ristabilito (o forse per la prima volta affermato). Un forte segnale redistributivo va dato a favore del lavoro dipendente per ottenere il consenso sociale e per sostenere i consumi. Sostegno a scuola e università seguono a ruota. Comunque meglio una vita un po’ spericolata che una lenta agonia. Paradossalmente solo Berlusconi avrebbe la necessaria spregiudicatezza mentale – assente nelle anime belle e timorose della sinistra politica e intellettuale italiana – di traghettare il paese fuori dall’Euro. Cinque minuti dopo si tratta di diventare un paese serio.
9 commenti
- Ugo Pagano scrive:
Un bell’articolo su cui vale la pena riflettere con attenzione…..
A parziale difesa della Germania mi sembra che si possa avanzare il seguente argomento:
Essa spinge per una Tobin tax sulle transazioni finanziarie che é ostacolata dall’Inghilterra e, con minore intensità, dagli Stati Uniti. A favore di tale tale tassa, per quello che vale, si é già espresso il parlamento europeo. La Germania sembra determinata ad introdurla anche unilateralmente entro il 2011. In questo senso la politica di rigore potrebbe essere vista nel contesto di una prova di forza con i mercati finanziari (e non contro gli altri stati europei, come dicono Cesaratto e Zingales).
Faccio notare che una Tobin tax (specialmente una non lineare nel numero delle transazioni e con una quota in funzione anti-ciclica) potrebbe da un lato stabilizzare i mercati (comprimendo anche le speculazioni su debito pubblico) e, d’altra parte, produrre un gettito fiscale sufficiente ad attenuare in modo significativo il debito pubblico dei singoli stati europei.
Prima di chiedere a Berlusconi di sganciarci dall’euro penso che sarebbe opportuno riflettere attentamente su questa politica.
- Sergio Cesaratto scrive:
Il punto è se Tobin tax and the like sono solo pannicelli caldi che non assalgono i problemi alla base. La speculazione è un risultato degli squilibri, magari li aggrava, ma non ne è la causa.
- Ugo Pagano scrive:
Ma la crisi é partita proprio dai mercati finanziari (e ancora prima, secondo un’analisi che ho proposto anche su questo blog, dalla dinamica della globalizzazione).
Non é certo partita dal surplus della Germania che é un pannicello che si é surriscaldato e che certamente occorre raffreddare ma non certo al costo di uscire dall’euro e anche dalle garanzie politiche che offre l’Europa proprio quando siamo in mano a Berlusconi……
Quanto alla Tobin tax sulle transazioni finanziarie mi sembra che ne sottovaluti grossolanamente la portata. In ogni caso essa richiederebbe per lo meno uno studio più attento prima di essere classificata come un pannicello di una qualsiasi temperatura……
- Antonio Nicita scrive:
Non entro nel dibattito tobin tax. E’ vero quello che suggerisce (non da solo e non per primo) Zingales, ovvero che la Germania sta tentando una svalutazione ombra agendo sui prezzi. Anche se secondo me ci si è trovata e ne approfitta ex-post piuttosto che determinarlo ex-ante. Ed è vero che uno dei problemi dell’euro sta nel venir meno di uno strumento di politica economica (svalutazione) nelle transazioni commerciali tra paesi UE. Effettivamente è impressionante notare come abbiamo perso quote di esportazioni verso la germania e verso gli altri paesi a causa della germania. E’ vero pure che del calo dell’euro dovremmo giovarci in piccola parte pure noi (debito a parte).
In oni caso, la soluzione che proponi mi pare sia proprio l’esito peggiore che ci attende, e tu lo dici: visto che li finiamo tanto vale organizzarci per tempo. Io credo invece che il punto sia provare a trovare un nuovo assetto europeo con aggancio USA. Se c’è una sola cosa buona che ha l’Italia è l’inesistenza di debito privato e dunque una maggiore stabilità finanziaria interna. Forse è su quel fronte che bisogna agire per differenziare meglio i paesi europei. Insomma non so se conviene imitare la Germania e inseguirla o accettare definitivamente di essere un pig. Andarsene prima, sbattendo la porta (della stalla) con un ultimo grugnito eroico, non mi pare a occhio e croce una grande cosa…;-)
- Lilia Costabile scrive:
Alle acute osservazioni di Ugo, vorrei aggiungere qualcosa, avendo premesso che anch’io non sono favorevole alle politiche deflattive decise dai Paesi europei, per le loro conseguenze negative sulla crescita e sulla stessa base imponibile (specie in Italia dove questa è già ridotta dalla massiccia evasione fiscale).
(1) Non so se ci sveglieremo uno dei prossimi lunedì (speriamo non domani) con gli s-euro, ma certo so che mi auguro vivamente di no, per le ragioni che tutti sanno: usciti dall’euro degli adulti, e ritrovandoci con una valuta deprezzata rispetto all’ “euro senza s-”, saremmo ancora di più preda della speculazione internazionale; pagheremmo di più le importazioni e quindi vedremmo ridotto ancora di più il potere d’acquisto dei salari, dato che non mi sembra proprio di vedere all’orizzonte una “real wage resistance” (data l’attuale assoluta debolezza dei lavoratori su mercato del lavoro, le divisioni tra I sindacati, ecc.).
(2) Vorrei chiedere a Cesaratto come funzionerebbe quel piccolo particolare “tecnico” che lui nomina sotto il punto (i), cioè la ridenominazione dei debiti sia pubblici che privati in s-euro. Pensa che i creditori esteri si lascierebbero ridenominare i crediti in s-euro? E’ una esplicita dichiarazione di insolvenza. Non so se sarebbe utile per finanziare il debito con prestiti esteri in futuro e per combattere la speculazione.
(3) Se il vero problema sono gli “squilibri di fondo”, di quali squilibri stiamo parlando? Non mi pare che Cesaratto in realtà li affronti. Dovremmo parlare della competitività e delle sue determinanti, per esempio. In primo luogo, la produttività. Il tasso medio di crescita della produttività (dati OECD) in Italia è stata pari a 0.9 (nel ’95-2000), per passare a 0,0 nel 2001-2006. I corrispondenti valori in Germania sono 2,0 e 1,4. Per quanto riguarda la produttività totale dei fattori, il nostro tasso di crescita è stato negativo (-0,51%)! Per la Germania la crescita è stata dello 0.9%. Risultati non esaltanti per la stessa Germania? Forse: ma come sta reagendo la Germania? Con incrementi nella spesa per ricerca scientifica, istruzione e innovazione, nelle quali noi siamo, come è noto, tra i fanalini di fondo nelle classifiche internazionali, e nelle quali stiamo ulteriormente concentrando i nostri tagli. Mi sembra strano che Cesaratto affidi le nostre speranze non alla ripresa della produttività legata ad uno sforzo su questi terreni, ma alla buona vecchia svalutazione competitiva con cui la nostra impresa ha sempre cercato (dal 1973 in poi) di sopperire alle proprie carenze di competitività.
(4) La Germania avrà pure una disciplina tutta impostata a discapito del lavoro dipendente, come dice Cesaratto, e certamente essa ha messo in atto negli ultimi anni politiche neo-liberiste nel mercato del lavoro e ha teso alla compressione dei salari. Ma, come ho detto, ha accopagnato queste politiche con quelle mirate al rilancio della produttività attraverso la ricerca e l’innovazione. E poi, se io se fossi un operaio o una operaia, preferirei vivere lì che da noi. Fatto pari a 100 il salario reale italiano (lordo e netto) di un lavoratore (single, senza figli, secondo il calcolo IRES CGIL per il 2007), quello del suo omolgo tedesco è pari a 192 in termini lordi, e a 143 in termini netti. Sempre secondo l’IRES CGIL tra il 1993 e il 2007 l’incremento delle retribuzioni lorde in termini reali, in PPA, è stato pari al 4% in Italia, al 13% in Germania.
(5) Concludendo, (i) l’uscita dall’euro non solo non sarebbe nemmeno un pannicello caldo, ma aggraverebbe i problemi; (ii) dovremmo con l’attuale governo diventare un paese serio? (iii) come si può definire la lotta alla speculazione finaziaria un pannicello caldo? Quello che sta succedendo dimostra che il benessere dei popoli è subordinato ai desiderata dei mercati finanziari (non tanto anonimi come si potrebbe pensare) e non dovremmo cercare di opporci ? La Germania ha sbagliato a non coordinarsi con gli altri Paesi, ma si è mossa sul terreno giusto, a mio parere.
- Massimo D'Antoni scrive:
Ciò che Cesaratto (ma anche Zingales) ci ripropongono sono gli stessi argomenti utilizzati a fine anni ‘90 contro l’unione monetaria. Come allora, si continua a sostenere (con qualche buona ragione, certo) che l’Europa non è un’area valutaria ottimale. E come allora si trascura di considerare i vantaggi dello scudo fornito dalla moneta unica per paesi a rischio di attacco speculativo e con elevato debito (vantaggi che con un debito pubblico per più di metà sottoscritto da non residenti, sono ben maggiori ora di allora). I dieci anni trascorsi non dimostrano la verità di tale tesi più di quanto non dimostrino altre cose; ad esempio che tra le diverse politiche monetarie possibili a livello europeo, quella perseguita dalla BCE non è stata la migliore per l’area nel suo complesso. Curiosamente, invece di puntare tutti gli sforzi intellettuali e politici per mettere in discussione tali scelte politiche, Sergio vuole radere tutto al suolo, tornando alla situazione precedente, in cui lo sviluppo era sostenuto da svalutazioni competitive e deficit fiscali.
Sono comunque d’accordo sul punto finale: un programma politico così velleitario non saprei a chi altro affidarlo se non a Berlusconi.
- Antonio Nicita scrive:
Ma non si potrebbe risolvere il problema dell’eterogeneità dei paesi con un sistema di tradeble permits sul tetto deficit/pil?
- Ugo Pagano scrive:
Sui cui scambi applicare poi una Tobin tax in modo da ridurre i deficit stessi?
- Antonio Nicita scrive:
perché no? sarebbe un modo per europeizzare – cioé lasciare dentro l’europa – gli scompensi nazionali via mkt, inoltre ci potrebbero essere interventi di mkt aperto della BCE che potrebbe comprare o vendere questi permessi…
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