Fortuna e incertezza rientrano in società
Zygmunt Bauman è stato ospite della decima edizione del FestivalFilosofia, svoltosi a Modena, Carpi e Sassuolo tra il 17 e il 19 settembre scorsi.
Il tema di quest'anno – la fortuna – è stato introdotto da Remo Bodei con le parole: "L¹avvenire, il domani, pare aver riacquistato la sua natura di incontrollabile contingenza, di luogo di esplicazione di grandi forze che, in gran parte, sfuggono al nostro controllo.
Seguono alcuni passaggi della relazione di Bauman, intitolata "La società dell'incertezza".
Marco Palla
«La modernità è arrivata come una promessa, ben determinata a sfidare l'incertezza, a condurre contro quella bestia dotata di tante teste una guerra di logoramento.
I filosofi hanno giustificato l'improvvisa abbondanza di orribili e crudeli sorprese, prodotte dalla violenza delle guerre di religione e da tante altre cause, con il ritiro di Dio dalla gestione della sua creazione, oppure con il malfunzionamento della creazione stessa e cioè con i capricci e le imponderabili stranezze della Natura, la quale finché non viene incatenata dall'ingegno dell'uomo resta sorda alle sue necessità.
[…]
Emerse un ampio accordo sul fatto che l'amministrazione umana del mondo dovesse essere urgentemente rivista, affinché si potessere una volta per tutte chiudere i conti con i peggiori demoni dell'incertezza: la contingenza, la casualità, la mancanza di chiarezza, l'indeterminazione.»
Il filosofo si riferisce nell'incipit alla fine della dominazione della sorte sulla vita degli uomini, che i pensatori del XVI e XVII secolo hanno visto nel disastroso terremoto di Lisbona (1755).
Voltaire, Rousseau e altri dissero dopo quell'avvenimento: "Non possiamo continuare ad essere in balia della natura, dobbiamo imparare a dominarla"
«La felicità umana non sarebbe stata più un dono del fato, ma il risultato di una pianificazione basata sulla conoscenza scientifica, positiva, e sulle sue applicazioni tecnologiche.»
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«La gestione umana (che sostituì la gestione divina n.d.r.) non è stata capace di rispondere alle aspettative del popolo, alimentate dalle generose assicurazioni dei dotti.
Molti concetti ereditati dal passato erano stati allora gettati via, ma quelli che li avevano sostituiti recavano con sé un volume d'incertezza non inferiore.»
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«Per i primi cento o duecento anni della guerra contro l'incertezza è stato trascurato il fatto che nessuna convincente vittoria fosse registrata, i sospetti che l'incertezza fosse compagna permanente dell'esistenza umana
essendo negati o non abbastanza dimostrati, cuindi prematuri.
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Durante gli ultimi cinquant'anni tuttavia si è diffuso un drastico cambiamento nella nostra visione del mondo, che ne condiziona parti ormai ancor più fondamentali rispetto alla concezione dei nostri antenati sul ruolo della contingenza.
Nelle nuove teorie delle origini dell'universo, dell'evoluzione della vita sulla Terra, nelle descrizioni delle unità elementari della materia, gli eventi casuali, cioè gli eventi imprevedibili e contingenti, sono stati promossi e innalzati dal grado di marginali fenomeni di disturbo della teoria a quello di fondamenti della teoria, di attributi primari della realtà e capitoli della sua spiegazione ultima.
La moderna concezione di ingegneria sociale si basava sull'assunzione di ferre leggi che governavano la Natura, e che avrebbero reso l'esistenza umana ordinata e regolata, una volta annullate le contingenze e le turbolenze. Ma negli ultimi cinquant'anni dell'esistenza di queste ferree leggi si è cominciato a dubitare fortemente, così come della possibilità di concepire catene di cause ed effetti.
Oggi ci stiamo accorgendo che contingenza, casualità e irregolarità sono caratteristiche inalienabili di tutto l'esistente, e perciò anche esse sono irremovibili dalla nostra vita sociale e individuale di esseri umani.»
[…]
«Il volume dell'incertezza non è aumentato, ma è aumentata l'intensità delle nostre preoccupazioni e delle nostre ansie, e ciò è accaduto perché lo scarto tra i nostri mezzi e i grandiosi compiti che ci troviamo a dover affrontare sono divenute evidenti, ovvie, più minacciose rispetto a quelle che hanno conosciuto i nostri padri e i nostri nonni.
Ciò che ci lascia in un'incertezza ancor più squallida è insomma la nuova percezione della nostra impotenza e il sospetto che essa sia insanabile.
[…]
Gli Stati sono indeboliti, e, costretti ad arrendersi alle pressioni dei poteri economici globali, affidano alla responsabilità dei singoli individui un numero crescente di funzioni, che in precedenza erano di loro competenza.
Come ha illustrato Ulrich Beck (sociologo tedesco interessato alla globalizzazione e alla definizione di una teoria del rischio, autore di "Che cos'è la globalizzazione, Rischi e prospettive della società planetaria, Carocci, Roma, 1999 – n.d.r.), oggi ci si aspetta che le donne e gli uomini – singolarmente – trovino risposte individuali a problemi creati dalla società, che agiscano su sé stessi utilizzando solo le proprie risorse, e che sia assumano la responsabilità delle proprie azioni.
In altre parole, oggi siamo tutti "individui per decreto", a cui viene ordinato di progettare le proprie vite, anche se non dovessero esserne capaci.
[…]
Per la maggior parte di noi, tuttavia, questa responsabilizzazione è una finzione bella e buona.
La maggior parte di noi non possiede le risorse né le conoscenze per innalzarsi dalla condizione di "individui per decreto" alla condizione di "individui di fatto".
Ci mancano la conoscenza e la potenza richieste.
La nostra ignoranza e la nostra incapacità nel trovare soluzioni individuali a problemi collettivi sfociano in una perdita di autostima, nella vergogna per la nostra inadeguatezza, nell'umiliazione.
Tutto ciò alimenta l'esperienza di un continuo e coalescente stato di incertezza, dell'incapacità di assumere il controllo della propria vita; siamo condannati a vivere in una condizione simile a quella del plancton, battuto da onde di origine e intensità sconosciute.»
Sappiamo che molti disastri naturali hanno origine nella gestione della Natura da parte dell'uomo. Sappiamo che la certezza sociale, a cominciare dalla certezza del lavoro e del sostentamento al nostro livello di vita, sono saltate indeterminatamente. Sappiamo che prima o poi arriverà un rovescio – individuale o sociale – a cui lo Stato non saprà opporsi, quello
Stato che accudisce per noi lo stato sociale che noi nutriamo con le nostre tasse. Sappiamo che il merito e lo studio non possono più assicurarci un roseo futuro.
Non abbiamo altro che le nostre forze su cui contare.
In altri termini le forze a disposizione di ciascuno sono parcellizzate ed enormemente calate in dimensioni e potenza – a meno di non calarci in qualche illusione di massa, dalla curva dello stadio alle osservanze cultuali – mentre i compiti da affrontare sono enormi.
Possiamo solo dare risposte individuali a domande globali.
D'altronde tutta le più significative svolte nei nostri sistemi di pensiero fissano nel cielo come una costellazione il concetto di responsabilità individuale: nella religione nonostante la predeterminazione (con la Riforma), nella scienza che studia l'uomo e ne ricerca le potenzialità nel materiale genetico (noi siamo portatori di una determinazione, quindi ne
siamo moralmente responsabili), e nella scienza che studia l'ambiente dell'uomo (ecologia).
E ovviamente nella scienza che studia e circoscrive il comportamento dell'uomo, la Legge che non accetta discriminazioni.
Per questo un Rom ci mette paura, perché ci mostra l'incertezza della nostra posizione umana. Per questo tendiamo – nei nostri peggiori impeti – a dare a lui la colpa di tutto.
mp
Articolo interessante che si presta a numerose osservazioni.
La prima: essendo noi un'appendice dell'impero USA, ne stiamo assorbendo l'etica protestante che, guarda caso, è proprio quella sottolineata dallo scritto.
Siamo "individui per decreto" dove chi redige tale decreto è una società centrata sulla responsabilità individuale. Se tutto va a rotoli è solo colpa nostra, insomma. Devo notare con dispiacere che tale propaggine ideologica semi newage è arrivata molto in profondità, riuscendo a conquistare anche menti brillanti che non perdono occasione di rimarcare come lo sfacelo attuale sia solo colpa nostra. Mai colpa loro, eh?
Non sono quindi d'accordo che le "certezze sociali" siano saltate "indeterminatamente". Ci sono precise cause ed effetti. Siamo entrati nell'era postmoderna che significa da una parte fine del sogno modernista (rivelatosi un incubo nella realtà) e dall'altra esasperate ed esasperanti tecniche di mantenimento dello status quo per mezzo di matematiche finanziarie. L'era finanziaria attuale si basa su truffe matematiche, in buona sostanza (vedi l'articolo su Black Box Economics), che garantiscono tramite l'ufficialità scientifica di rinverdire il (duro a morire) mito del governare gli avvenimenti.
Peccato che, come la meccanica quantistica ci insegna, non si possa controllare sempre tutto. La vecchia dicotomia cartesiana (Res Cogitans contro Res Extensa) si è rivelata una terribile trappola sociale oltre che filosofica.
Molto meglio quindi la Res Publica, quando questa non separa funzioni e responsabilità arbitrariamente.
Concordo pienamente sulla conclusione, molto meglio la res publica.
Non che non ci siano responsabilità e obblighi, ovviamente. Infatti esistono le costituzioni e le leggi. In questo, invece, dissento leggermente da quel che dici: gli yankee tendono a scaricare su altri le loro dissennatezze, e d'accordo. Ma quanto a piegare l'osservanza della legge ai nostri comodi più spiccioli non siamo secondi a nessuno. Come dire, la legge c'è per tutti gli altri ed è quella, scolpita nella pietra. Però io ora passo col rosso perché tanto non do fastidio a nessuno, che male c'è? Ecco, questo comportamento che è alla base delle nostre derive e divisioni, negli States è pressoché assente, mentre è presente anche in altre parti della vecchia europa, benché in misura minore.
Ben venga un po' di etica protestante, ben venga un po' di Max Weber, insomma. Qui nella nostra provincia imperiale ne sono circolate sempre troppo poche copie