Fossimo tutti padroni a casa nostra…
di Maurizio Pallante e Andrea Bertaglio fonte Il Fatto Quotidiano
“Padroni a casa nostra” è un’espressione apparentemente di moda, di questi tempi, un po’ dappertutto. Ma soprattutto in quelle parti d’Italia in cui ci sono centinaia di persone che, almeno a parole, sono pronte a “impugnare il fucile” per difendere la propria terra, anche se quella terra ha in certi casi nomi di fantasia ed origini storiche incerte, con tanto di improbabili rituali da circo.
Persone che proclamano di essere settentrionali ma che il nord, quello vero, evidentemente non lo hanno mai visto. Un nord in cui il numero di immigrati è di diverse volte superiore alla media italiana, ma nel quale, nonostante ciò, il rischio di avere i problemi a causa dell’immigrazione (o la percezione di averne) è decisamente inferiore. Nonostante il successo che anche nel centro e nel nord Europa stanno avendo partiti razzisti, xenofobi e in generale affini per ideologia alla Lega Nord, ultimamente in Italia siamo arrivati al punto di vedere scuole tappezzate impunemente di simboli di partito, politici prezzolati e semi-analfabeti che aizzano le folle per banali ed evidenti scopi elettorali, altri che, schifati dai nepotismi e dalla corruzione di “Roma ladrona”, hanno ricevuto condanne per corruzione già nei primi anni ’90, quando le trote di cui vogliono promuovere la carriera politica erano fortunatamente ancora in fasce; altri ancora che, per fronteggiare (sempre e solo rozzamente) il problema dell’immigrazione, hanno avuto come migliore idea quella di organizzare “sagre del suino” a fianco delle Moschee.
Anche nel resto del mondo non va meglio: c’è un presidente de la République che, per recuperare un minimo di consenso, vuole espellere centinaia di persone al giorno dal suo Paese, forse dimenticando le proprie origini di immigrato ungherese e soprattutto infischiandosene, con un’arroganza di ormai tipico stampo italiota, degli accordi e delle convenzioni internazionali; e che dire degli idioti che vogliono bruciare pubblicamente il Corano per far vedere al mondo che esistono anche loro o, molto più probabilmente, nel tentativo di dare un senso alle proprie inutili vite? Ci sono tante, troppe persone che odiano culture e religioni millenarie diverse dalla loro, senza sapere nulla di ciò che dicono di odiare e, cosa ancora più assurda, senza conoscere minimamente neppure la “loro”. Il problema che nasce dall’abusare di espressioni quali “padroni a casa nostra” è quello che l’amore per il proprio territorio, sacrosanto e legittimo, viene oggi più che mai confuso con l’odio a priori verso lo straniero, il diverso… l’”intruso”. Un vero problema in tempi in cui la globalizzazione si sta intrecciando con la necessità sempre più forte di tornare in contatto con le proprie tradizioni, i propri usi e il proprio territorio; tempi che ci mostrano quanto le migrazioni siano un fenomeno inarrestabile, soprattutto in società basate sulla crescita economica illimitata.
Fino a quando dominerà il paradigma della crescita infinita non si potrà mai arrestare il fenomeno delle migrazioni. Quest’ultimo, insieme a guerre di occupazione per accaparrarsi le risorse, consumismo ed inquinamento, si ridurrà soltanto con uno stile di vita più sobrio e con l’implementazione dell’autoproduzione di beni. Un sistema economico fondato sulla crescita del prodotto interno lordo deve aumentare in continuazione il numero dei produttori e consumatori di merci. Di conseguenza deve indurre, con le buone o con le cattive, con la persuasione o con la forza, un numero crescente di contadini tradizionali ad abbandonare l’autoproduzione di beni, cioè l’agricoltura di sussistenza dove la vendita è limitata alle eccedenze, per andare a produrre merci e guadagnare in cambio il denaro necessario a comprarle. Uno stile di vita non omologato sui modelli consumistici, invece, oltre a migliorare la qualità della vita di chi lo pratica, può contribuire a rimuovere le cause che inducono a emigrare in misura superiore a quanto comunemente si pensi; seppure sia a volte difficile, e delicato, far capire a chi non ha avuto mai niente (materialmente parlando) che la soluzione ai suoi problemi non è l’acquisto di merci, che anzi ne è la causa.
A livello politico non c’è purtroppo nessuna intenzione di eliminare veramente le cause dei flussi migratori in corso, nonostante i buoni propositi in alcuni casi o le ridicole o altisonanti proposte per ridurne la portata in altri. Quando sia la destra che la sinistra auspicano (ancora) una società ed un’economia che prevedono la crescita infinita del consumo di merci, si ha bisogno di un numero sempre più alto di “consumatori”, e fino a quando la crescita infinita sarà il modello economico e sociale propinato a tutte le società del mondo, non si potrà mai dare fine al fenomeno delle migrazioni, nemmeno se si volessero istituire le più feroci ronde da una parte, o se si volesse accogliere chiunque ne faccia domanda dall’altra: entrambe soluzioni impossibili ed insensate.
Dunque l'unico futuro che le società del Mali, del Mozambico, della Cambogia devono augurarsi è quello dell'agricoltura di sussistenza? Dovevamo augurarcelo anche noi, doveva augurarselo l'URSS degli anni '20, per non parlare della Cina?
Non è una domanda retorica. Mi piacerebbe avere una risposta precisa.
Caro Claudio,
stimo Pallante, senza peraltro condividerne in toto le idee. Sarà che sono giurista, sarà che sono stato educato al realismo politico, sarà che so che la politica è lotta (sangue e merda), ma ancora non riesco a vedere la linea che Pallante cerca di tracciare. Detto questo, io non credo che il discorso di Pallante valga anche per le società del Mali, del Mozambico e della Cambigia. Al pensiero unico globale – se vogliamo della crescita – non ha alcun senso opporre un pensiero unico antiglobale della decrescita, se non altro perché ci vuole la forza militare ed economica per imporlo o persuadere i governanti di altri stati a perseguirla.
Io credo che se la decrescita saprà trasformarsi da uno slogan interessante a una linea direttiva per la politica, ciò dovrà avvenire in Italia e in ogni altro luogo uno o più gruppi politici vorranno scommettere su di essa. Insomma la decrescita, se è qualcosa di diverso da uno slogan che può beneficamente influenzare singole scelte di vita, è no global. Ciascuno stato la perseguirà se vorrà e comunque a modo suo.