The Social Network: vita (asociale) del fondatore di FB
di Matteo Ciucci fonte Nazioneindiana
Quasi una nemesi divina, una maledizione. Mark Zuckerberg, fondatore di Facebook, il sito che con i suoi 500 milioni di iscritti raggiunge un valore di 25 miliardi di dollari, padre dell’incarnazione del più vasto social network del mondo, perde per colpa della sua creatura l’unico amico che aveva. Zuckerberg è infatti un Nerd di Harvard incapace di stabilire relazioni sociali con gli altri, che genera l’esperimento di Facebook per vendetta contro una studentessa che lo ha rifiutato. E’ questo l’incipit del film The Social Network di David Fincher sulla vita socialmente arida del fondatore di Facebook, il cui nome, per ironia della sorte, in tedesco significa “montagna di zucchero”.
La neo-classista società americana degli anni 2010 è rappresentata dal regista all’interno delle università d’élite anglosassoni come un nucleo preesistente di un ordine sociale già interiorizzato dagli studenti e pronto per essere replicato tale e quale nella vita adulta. Una società effimera, misogina, narcisistica e vanitosa, un circolo chiuso il cui massimo riconoscimento sociale ruota intorno all’appartenenza a un’aristocrazia i cui privilegi sono fondati sull’esclusività conferita loro dal possesso di enormi fortune.
Parecchie sequenze del film sono, per tutti gli utenti comuni di FB – i celebrati 500 milioni di friends – autentici schiaffi in faccia all’ingenuità di ciascuno. Il più grande Social Network altro non è che l’estremo atto di conformismo sociale[1] nato in seno all’aristocrazia della società americana, nel cuore delle università d’élite di Harvard, MIT, Yale, Stanford, Berkley, basato sul desiderio di appartenenza al mondo esclusivo di coloro che possiedono una vita pubblica.
Soltanto in un secondo tempo, quando, diventato un collaudatissimo business in grado di produrre denaro al ritmo di 50$ ad utente[2] comincia ad espandersi al grande pubblico; esattamente come un sistema di moda, promettendo in modo seriale e massivo l’accesso a quel mondo esclusivo, FB riesce a perpetuarsi eternamente divenendo nei fatti uno strumento di omologazione, premessa di ogni controllo degli individui.
L’idea che molte delle persone più attive in FB siano nella vita reale tragicamente sole non è nuova. La rappresentazione che ne da’ il regista di The Social Network trova la sua conferma nelle motivazioni profonde del suo creatore, in una sorta di moderno peccato originale: mancanza di autostima, isolamento, frustazione. Grazie a FB, chiunque oggi può gridare in rete la propria solitudine, avendo accesso a un profilo pubblico visibile al mondo intero o acquistare l’illusione di trasformare la propria vita in una tragedia compassionevole o in un’appassionante telenovela.
E’ il meccanismo stesso dell’innovazione a qualunque costo, di certa ricerca scientifica, del giornalismo strillato, in una parola, della moda, termine che persino nel film viene individuato come essenza suprema di FB (“diverrà una moda, muterà continuamente, sarà eterno”). E’ la favola dell’agnello che grida “al lupo, al lupo” che ha intuito che, per continuare ad attirare l’attenzione, dovrà generare ogni volta un nuovo evento, mutare le proprie sembianze perchè tutto si ripeta identico a sé stesso.
I profili di FB, aggiornati continuamente, incarnano la generazione di simulacri anticipata da J. Baudrillard, i suoi simboli vuoti; così come i derivati della finanza speculativa, sono meri generatori di inflazione informativa, intellettuale e culturale, che ha il solo scopo di normalizzare i comportamenti delle nuove masse su nuovi standard pseudo-esclusivi (Facebook, blog, Iphone, Televisori 3D) che ridefiniscono, con le proprie mutazioni continue, i confini sempre più rigidi delle emergenti moderne classi sociali.
[1] L’autore di questo articolo ha regolarmente un suo blog, un profilo FB e frustrazioni in bella mostra.
[2] Questo il valore, assolutamente non esclusivo, di un profilo pubblico che si deduce facilmente dalla stima della società e dal numero dei suoi utenti.
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