Sfatiamo il mito dell’austerità spagnola
di ECONOPOLY (Francesco Lenzi)
È stata pubblicata da pochi giorni la nota di aggiornamento al Documento di Economia e Finanza del 2016. Si può leggere nelle considerazioni iniziali del Ministro dell’Economia e delle Finanze che “… in considerazione delle esigenze di carattere straordinario, il Governo potrà utilizzare, ove necessario, ulteriori margini di bilancio sino a un massimo dello 0,4 per cento del PIL per il prossimo anno…”. Come anticipato, quindi, il Governo ha stabilito che, ove necessario, utilizzerà ulteriori 0,4 punti di PIL, circa 10 miliardi di euro, di “flessibilità” rispetto al quadro programmatico per il 2017.
Il tema della flessibilità, la possibilità di sforare gli obiettivi di deficit precedentemente approvati, è uno degli argomenti più ampiamente dibattuto negli ultimi mesi. Il nostro Governo sottolinea come l’Italia abbia sempre rispettato le regole, sempre rispettato i parametri, ma nell’attuale congiuntura abbia bisogno di fare come altri Paesi hanno fatto in passato e continuano a fare. Dall’altra parte si obbietta come non è attraverso lo sforamento dei saldi di bilancio che si riesce a crescere, ma è piuttosto attraverso il contenimento delle spese che si riescono a fare quei risparmi ed efficientamenti che stimolano la crescita a lungo termine.
A supporto di entrambe le argomentazioni viene spesso citato il caso spagnolo. Soprattutto per quanto riguarda il tema dell’austerità, intesa come riduzione del saldo primario corretto per il ciclo economico, la Spagna viene spesso indicata come modello da seguire per il successo che le riforme varate prima dal governo Zapatero hanno avuto sulla crescita. La Spagna, infatti, nonostante sia da mesi senza Governo, e sia avviata verso nuove elezioni (le terze in un anno) a dicembre, sta registrando da due anni una crescita superiore a tutte le altre grandi economie dell’Unione Europea.
È da chiedersi pertanto se veramente questa performance sia merito dell’austerità. Ma soprattutto, se sia corretto considerare la politica economica seguita dalla Spagna nel periodo 2010-2013 veramente austera. Partendo da quest’ultimo interrogativo, proveremo a dare una lettura della crescita economica spagnola cercando di individuarne alcune caratteristiche distintive.
Per prima cosa andiamo a vedere se e quanta austerità è stata introdotta dal 2010 in poi. Nel grafico 1 sono indicati i dati sulla variazione del saldo primario corretto per il ciclo economico dei Paesi della UE rilevata alla fine del 2013 in relazione al valore registrato nel 2009.
Grafico 1. Variazione del saldo primario del settore pubblico dal 2009 al 2013
La Spagna in questa speciale classifica è seconda solo all’Irlanda. Se pertanto intendiamo come austerità la semplice riduzione del saldo primario corretto per il ciclo economico, quello che tecnicamente viene definito come processo di consolidamento fiscale, non vi è dubbio che il bilancio del settore pubblico spagnolo sia stato, nei 4 anni tra il 2010 ed il 2013, una tra i più austeri.
Questo tipo di ragionamento però non considera un elemento, a mio avviso, essenziale: il livello di partenza del saldo primario. È infatti abbastanza comprensibile come gli sforzi di consolidamento fiscale, da fare per migliorare un determinato saldo primario, dipendano anche dall’entità iniziale del saldo stesso. Introdurre manovre di consolidamento fiscale con un bilancio già in pareggio tra entrate e spese non è uguale rispetto ad introdurle con un bilancio di partenza in deficit di 5 o 10 punti di PIL. Se così non fosse si potrebbe consigliare a ciascun Governo di iniziare nel primo anno aumentando il deficit primario di 10 o 15 punti di PIL per poi ridurlo progressivamente con manovre, appunto, di austerità, piuttosto che iniziare subito dal primo anno a ridurre il deficit. Si potrebbe in sostanza consigliare di fare come è avvenuto in Spagna.
La cosiddetta austerità spagnola sconta una variazione dal 2006 al 2009 del saldo primario corretto per il ciclo di circa 10 punti. Dal 2006 il bilancio dello Stato spagnolo è passato da un surplus primario di circa 2 punti di Pil ad un deficit di circa 8 punti, superato nella EU solo da Grecia e Irlanda.
Se andiamo infatti a riorganizzare la classifica vista in precedenza partendo dal 2006 invece che dal 2009, considerando come punto di partenza l’ultimo anno precedente la “grande recessione” internazionale, troveremo una realtà differente.
Grafico 2. Variazione del saldo primario del settore pubblico dal 2006 al 2013
In questa nuova classifica si nota come l’austerità spagnola sia sostanzialmente sparita. Nel 2013 il saldo primario corretto per il ciclo è ancora circa 1 punto di PIL più basso rispetto all’anno precedente la crisi internazionale.
Associare pertanto i termini austerità e consolidamento fiscale può portare in questo modo a conclusioni molto differenti a seconda del valore iniziale preso in considerazione. Per ovviare a tale inconveniente bisognerebbe, anche nell’analisi macroeconomica, utilizzare il termine austerità associandolo piuttosto al cosiddetto “far coi propri mezzi”, a comportamenti di finanza pubblica che prevedano una corrispondenza tra entrate e uscite.
Il bilancio pubblico dovrebbe esser considerato tanto più austero quanto più vicino all’equilibrio o al surplus tra spese e entrate. Se infatti si considera come fine ultimo dell’austerità quello di contenere l’indebitamento pubblico per instillare maggiore fiducia nella sostenibilità dei conti, non vedo come un bilancio in deficit di 5 o 4 punti (seppur in riduzione) debba essere considerato più austero di uno in surplus (anche se stabile).
Partendo da questa considerazione, se riorganizziamo nuovamente la classifica vista in precedenza in funzione dei saldi primari annui di bilancio, si può fornire indicazione di quali Paesi abbiano avuto il bilancio pubblico realmente più austero, nel quale le entrate hanno equilibrato o superato le uscite.
Nel periodo cumulato dal 2010 al 2014, il periodo nel quale sono state introdotte le varie politiche di consolidamento fiscale, il risultato è quello che segue nel grafico 3.
Grafico 3. Saldo primario del settore pubblico cumulato dal 2010 al 2014
Il Paese che ha registrato il maggiore deficit primario cumulato è stato l’Irlanda, oltre 35 punti di PIL, dovuto in larga parte agli aiuti al settore bancario. Se però consideriamo il saldo strutturale, escludendo pertanto gli interventi una tantum, il Paese che ha registrato il maggior deficit cumulato è la Gran Bretagna, anch’esso indicato come uno dei campioni dell’austerità. La Spagna ha registrato invece un deficit cumulato di circa 10 punti, che sommato a quello degli anni 2009 e 2008 porta il deficit complessivo nel periodo successivo alla “grande recessione” a 22 punti di PIL.
Per fare un paragone, nello stesso periodo 2008-2014, l’Italia ha avuto un surplus cumulato di 18 punti, ma si continua a sentir dire che la Spagna ha fatto austerità e l’Italia no.
Considerare l’entità del deficit primario e complessivo, piuttosto che la sua variazione annua in termini di consolidamento fiscale, ci può aiutare nella lettura della crisi spagnola in un’ottica di recessione da stress di bilancio (balance sheet recession) del settore privato, fornendo una possibile spiegazione alla crescita del prodotto degli ultimi trimestri.
Secondo questa chiave di lettura, lo scoppio della bolla immobiliare del 2008 ha impattato sui bilanci delle aziende e delle famiglie secondo lo schema tipico della balance sheet recession. Dal 2008 il settore privato, in crisi per eccesso di debito, ha fortemente ridotto i consumi e gli investimenti ed iniziato un lungo percorso di riduzione del livello di indebitamento. Il settore pubblico viceversa, per agevolare ed accelerare tale percorso, non ha mantenuto l’equilibrio di bilancio, ma ha fornito risorse al settore privato incrementando sussidi, consumi e investimenti.
Come abbiamo visto nel post del dicembre scorso a fronte di un aumento del debito pubblico di 40 punti di PIL, il debito privato è diminuito di circa la stessa entità. Questo elemento, associato alla riduzione dei tassi d’interesse degli ultimi anni, ha permesso di riportare il debt service ratio (il rapporto tra spese al servizio del debito e reddito disponibile) delle imprese spagnole ad un livello addirittura inferiore rispetto a quello delle imprese italiane o francesi.
Il miglioramento del debt service ratio del settore privato ha quindi rallentato la necessità di ridurre l’indebitamento, il tasso di risparmio del settore privato è infatti diminuito, e sono così aumentati consumi e investimenti privati (anche nelle costruzioni), il vero motore della crescita degli ultimi trimestri (figura 4.)
Grafico 4. Contributi alla variazione del PIL
Come avevamo evidenziato anche nel post precedente, rimane da capire quanto le condizioni macroeconomiche interne ed esterne che hanno permesso questa particolare forma di deleveraging del settore privato a carico del settore pubblico possano essere ancora sostenibili (anche se per il momento non si vedono perturbazioni dal punto di vista dei tassi di interesse o dei conti esteri).
Rimane poi il dubbio su quanto il deleveraging del settore privato a carico del pubblico sia riproponibile in altre economie, come ad esempio quella italiana, che non dispongono dello spazio fiscale di cui la Spagna disponeva all’inizio del 2008.
Ciò non significa che sia un errore fare maggiore deficit, o maggiore “flessibilità”, nelle circostanze particolari in cui il settore privato non contribuisce alla crescita del prodotto, ma che, soprattutto nei Paesi con minore spazio fiscale, l’attenzione dovrebbe essere rivolta tanto all’entità del disavanzo, quanto e soprattutto alla sua qualità.
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