Noterella ai fatti di Roma
Premesso che:
-non è buona educazione tirare bombe carta contro le sedi delle istituzioni, nè tantomeno dare fuoco alle camionette della Guardia di Finanza;
-c’erano sicuramente degli infiltrati, secondo la ben nota ricetta cossighiana http://www.megachipdue.info/tematiche/legalita/5253-ecco-gli-infiltrati-della-guerriglia-romana.html
-i giovanotti fracassoni, probabilmente in ottima fede, si mettono oggettivamente al servizio dei poteri forti, nazionali e internazionali, che non ne possono più di Berlusconi;
-a parziale attenuante, la generazione a cui appartengono i suddetti giovanotti vive una fase di disagio acutissimo, e senza prosepettive di miglioramento (c’è chi ha scritto che “in Italia, se sei giovane e non ti prendono al Grande Fratello, non ti resta che ribellarti”)
ecco, premesso tutto questo, vorrei focalizzare l’attenzione su un punto: lo stravolgimento del linguaggio come prodromo allo stravolgimento del pensiero.
I media, tutti, hanno riferito degli scontri a Roma con termini come “guerriglia urbana” o “battaglia” o direttamente “guerra”. Addirittura! Ora, per descrivere quanto successo esiste nella lingua italiana un termine preciso: sedizione. Niente di meno, ma nulla di più. Chi parla di “combattimenti” riferendosi ad una giornata conclusasi con qualche ferito lieve non sa letteralmente quel che dice. Cosa credono che sia la guerriglia urbana, questi signori? Qualche settiman fa, durante una retata nelle favelas di Rio de Janeiro la polizia federale brasiliane è incappata nella resistenza armata delle gang; ne è scaturito un conflitto a fuoco, durato ore, con migliaia di colpi sparati e diverse vittime. Con quali vocaboli avrebbero riferito la notizia, i nostri tg, qualora i fatti si fossero svolti in Italia? Apocalisse?
Potrebbe apparire una marginale questione di maleducazione giornalistica, ma è in realtà una centrale questione di etica del linguaggio. Chi sceglie quei termini, chi imposta la narrazione degli eventi su un tono drammatico e sproporzionato, ha intenti terroristici. Vuole suscitare orrore per quanto avvenuto. In un paese di vecchi e di mamme impaurite come il nostro l’operazione è di sicuro successo, ma è necessario assicurarsi che nessuno abbia il coraggio di rifiutare il carattere orrendo della sommossa. La logica suggereirebbe equilibrio e moderazione: qualcuno potrebbe far notare che scene come quelle del 14 dicembre si sono in viste in città come Londra e Parigi pochi giorni orsono, e che Atene è abituata a simili spettacoli, a scadenza regolare, ormai da mesi. Qualcun’altro potrebbe ricordare le vere scene di guerriglia urbana nell’italia degli anni ’70, quando in piazza ci si scambiava anche pistolettate, non solo fumogeni. Ma a nulla vale l’argomentazione razionale di fronte all’emotività terroristica imposta dal mezzo televisivo e cartaceo.
C’è un coordinamento, dietro al coro mediatico? Non lo credo. Penso che la realtà sia ancora più inquietante. La manipolazione terrorisitca dei media non è altro che il riflesso di un determinato atteggiamento ideologico: quello della fine della storia. Filosoficamente, la nostra società si regge sull’assunto che A) la Verità non esiste e B) non importa quali e quanti siano i difetti del sistema, esso è comunque privo di alternative. Corollario: rivoltarsi non è solo inutile, è folle, è osceno. Siamo la prima civiltà che non ammette le legittimità della lotta senza compromessi e riguardi per la legalità. Abbiamo dichiarato pornografico e inaccettabile il disobbedire alle disposizioni di ordine pubblico. Quello che i media e gli intellettuali di regime tentano di fare è espungere la violenza , la possibilità stessa del gesto violento, dalla vita e dalla storia. Con tanti saluti alla rivoluzione francese, alle cinque giornate di Milano, e qualunque evento della storia umana che abbia portato a qualche mutamento dello status quo antea. Si conferma così il carattere totalitario, assolutista, e visceralmente intollerante di un sistema che millanta tritoli di democraticità e liberalismo. La non-violenza imposta dal Leviatano non merita altro che disprezzo.
Claudio Martini
Concordo assolutamente sul fatto che i media abbiano finalità soporifere/drammatiche. Il microfono piantato sotto al naso di chi ha avuto qualche disgrazia con la indecente domanda: "cosa prova adesso?" fa il paio con le veline di regime.
Quello che non condivido è che questo regime sia fondato sul relativismo. Se così fosse qualsiasi verità avrebbe uguale peso. Invece coma fai giustamente notare esiste uno sbilanciamento imbarazzate nei commenti dei notiziari, al punto che correttamente annoti uno "stravolgimento del linguaggio" a fini propagandistici.
Beh, la propaganda serve proprio a rendere plausibili ciò che a mente fredda viene chiamata bugia. Non ti sembra il propugnare ad oltranza una Verità tutto questo?
Hai ragione, e l'asserzione "non esiste alcuna verità" è già di per sè una verità (o quantomeno una proposizine suscettibilie di verifica veritativa). Ma il trucco sta tutto qui: il relativismo etico è un assurdo epistemologico, è inattuabile. Non è concepibile una società senza metafisica. L'orrenda metafisica che ci domina è quella che ha dichiarato la fine di qualsiasi metafisica. Tutti i discorsi sull'esaurimento delle ideologie mirano a convincere il colto e l'inclita che lottare per qualcosa è una insensatezza, una roba da malati. Gli esseri umani ammettono senza riserve la violenza, anche estrema, purchè sia orientata ad una causa. Se si riesce a imporre una visione del mondo che non contempla le cause, il gioco è fatto, e anche un ceffone diventa "guerriglia".
Caro Claudio,
mi piace la riflessione filosofica del commento, che contribuisce a spiegare il tuo articolo.
Peraltro, la violenza della giornata del 14 dicembre non mi persuade da nessun punto di vista. Non è chiaro l'obiettivo, non è chiara la strategia, non è chiaro il soggetto, non è chiaro il nemico (i poliziotti che colpe hanno? il nemico è lo stato?), non mi è chiara l'ideologia di riferimento, non mi sono chiari i "titoli" dei violenti. Ed è chiaro che ciò che non mi è chiaro non esiste: non hanno titoli, non hanno ideologia, non sanno chi è il nemico, non hanno obiettivi, ecc. ecc. Perciò, se astrattamente esistono ipotesi in cui la violenza fa la storia – "la violenza è levatrice della storia", diceva un grande -, in questo caso, a mio avviso, siamo agli antipodi di quei casi. Molto distanti finanche da una onesta rivolta per il pane.
@ Claudio: Ottima riflessione sull'esaurimento delle ideologie come metodo di dissuasione. Non a caso ho scritto l'articolo su Wikileaks dove tra le due posizioni "classiche" (destra- sinistra) si appalesa la terza (nè destra nè sinistra) che, guarda caso, fa il gioco che denunciavi di relativizzare tutto. Nè giusto nè sbagliato è lo slogan del nuovo millennio. Discorso che avrebbe bisogno di molta calma e molto tempo per essere dipanato come merita.
In questo caso sì: le elites vogliono relativizzare tutti quegli episodi che potrebbero far risorgere la storica contrapposizione. Un iphone lì, un relativismo quì e tutto si risolve.
@Stefano: I poliziotti che colpe hanno? La stessa (pur con tutte le riduzioni di scala che la situazione pretende) di Priebke. Eseguire degli ordini va sempre e comunque bene?
Il nemico è lo Stato? Quale Stato? Quello tenuto in ostaggio dalla globalizzazione? Questo stato (minuscolo) è mio nemico. Voglio lo Stato dei Popoli, che sappia rispettarli offrendo uguali opportunità a ognuno di noi. Chi difende questo stato si merita forse rispetto (uomini pieni di larve)?
@ Martini
"Hai ragione, e l'asserzione "non esiste alcuna verità" è già di per sè una verità (o quantomeno una proposizine suscettibilie di verifica veritativa). Ma il trucco sta tutto qui: il relativismo etico è un assurdo epistemologico, è inattuabile."
"non esiste alcuna verità è già una verità" questa è la base del paradosso, come dimostrato da russell. stai parlando di due verità a "livelli diversi" pertanto non le puoi equiparare. se entri nel paradosso, qualsiasi dimostrazione può essere valida ma anche invalida.
@ Tonguessy
"Il nemico è lo Stato? Quale Stato?" fai bene a domandartelo quando lo stato è composto da territorio, popolazione e FORMA DI GOVERNO.
quest'ultimo merita di esser considerato attentamente, perchè cosa fa la polizia è direttamente emanazione di esso, e finchè non si entri nella sfera dell'"umano" un poliziotto è corretto che non discuta gli ordini, altrimenti si equiparerebbe come responsabilità al ministro dell'interno.
l'eccezione è quando un ordine intacca quanto di più intimo l'essenza umana definisce. uccidere un bambino, un inerme, è contro ilprincipio di umanità, ma se ti ordinano di respingere un corteo, devi usare tutti i mezzi a disposizione, purchè non causino offese permanenti.
ma su questo si può discutere ampiamente per trovare un punto di equilibrio.
quanto invece intendo sottolineare è la responsabilità di chi comanda le forze di polizia.
siamo in un regime democratico o no ? è un regime autoritario ?
benche ogni tot anni, la popolazione sia chiamata alle urne, ch eè UNO dei requisiti di un regime democratico, propendo per la seconda ipotesi e per due ragioni.
chi dovrebbe controllare il governo in teoria sarebbe il parlamento i cui membri vengono però scelti dal capo del governo stesso.
se poi si considera il mercato delle vacche , penoso a cui si è dovuto assistere, pensare che il governo venga controllato dal parlamento è pura illusione.
ma anche considerando la legge elettorale perfetta, che desse piena rappresentanza alla popolazione, in un sistema dove una volta eletto un parlamentare non subisce più alcun controllo da parte di chi lo ha eletto, che razza di "potere "lascia alpopolo ?
solo e soltanto quello di subire le decisioni che vengono prese dall'alto.
e questa non è forse la definizione di un sistema autoritario?
e cosa resta a chi lo subisce se non ribellarsi ad esso con tutte le armi a sua disposizzione ?
forza, che forse prima o poi arriviamo al cuore del problema e cioè a questa ipocrita definizione di democrazia che ci opprime e svilisce!!
@ a.mensa: "solo e soltanto quello di subire le decisioni che vengono prese dall'alto.
e questa non è forse la definizione di un sistema autoritario?"
Complimenti a tutti per articolo e dibattito, che merita d'esser fatto.
L'autoritarismo è notevole, e spicca per la sua assurdità, soprattutto perché non è sorretto da altrettanta autorevolezza, nel senso che il nostro Parlamento ora come ora ci mostra il peggio del Paese, non il meglio. Comincio quindi a chiedervi un'opinione in merito alle correzioni a tale deriva, per come la vedo io. Viviamo in una socialdemocrazia, assai imperfetta, cresciuta comunque nel dopoguerra all'interno di una repubblica costituzionale.
Penso che la gente tiri sassate per strada:
– o perché ha completamente perso la bussola, come dice Stefano D'Andrea (e io sono d'accordo con lui),
– … o perché resta delusa da come il Parlamento "interpreta" la delega ricevuta, al punto da ritenere che tornare a votare sia inutile (in particolare con questa legge elettorale), e meglio sia manifestare altrimentri, spaccando qualche vetrina.
Il discorso sulla delega m'interessa assai di più, ma tornerò alla fine sulla violenza.
Credo che in socialdemocrazia la delega al Parlamento sia quanto di più lontano dalla delega che – poniamo – un mandante propone a un agente a decidere per sé. Gli elementiprincipali di differenza sono:
– l'enorme numero degli interessati, "popolo di votanti" (42 o 43 milioni, maggiorenni e cittadini italiani), dato il quale sarebbe improponibile un diverso mezzo di attuazione democratica, più vicino a una democrazia "diretta";
– l'art. 67 della Costituzione, quello sulla libertà da ogni vincolo di mandato. In sostanza le fregnacce che va in giro a dire Grillo sono tali in forza di quell'articolo;
– la peculiare storia del parlamentarismo italiano, e ancor prima della classe dirigente: a me pare un miracolo aver convinto gente come Cosentino a sottostare a un comune sistema di regole, vi ricordo che mezza italia voto nel '46 contro la Repubblica, soprattutto al Sud. In ogni caso se voi doveste trovarvi un agente che gestisca per voi le faccende di famiglia (amministrazione dei conti, commercio, proposte di lavoro ecc.), vi affidereste a gente come Di Pietro? Berlusconi? Bossi? Avete presente
quella copertina di Time (o forse del Newsweek) di trent'anni fa, quella con Nixon in copertina, "comprereste un'auto usata da quest'uomo?"
Semplificando molto, direi che quei manifestanti, se ne fossero consapevoli, avrebbero qualche ragione a protestare per il livello morale e intellettuale estremamente basso di chi li rappresenta, per il fatto che la sopravvivenza di un governo già votato da circa un terzo dei votanti nel 2008 (un po' poco per la verità) sia assicurata da un mutuo da 500.000 euro a Scilipoti e chissà quale favore destinato a Miss Cepu, Catia Polidori.
E naturalmente per il fatto che ora come ora non sanno come porre rimedio. Credo che una parte di loro sappia che spaccare vetrine non è un rimedio.
Insomma in questo e nel precedente elenco di possibilità vedo già enormi ipocrisie.
Perché urge una definizione di democrazia che ne metta in luce l'aspetto ipocrita? L'ipocrisia è una costante della nostra vita, soprattutto pubblica. La domanda è come rovesciare il potere rimanendo nella legalità.
Per quanto riguarda l'incanalamento della violenza nella legalità, spero vi riconosciate in quanto scritto da Benjamin nella Critica della violenza:
https://www.appelloalpopolo.it/?p=805