L'Inflazione
di Andrea Mensa
Nei primi due interventi in cui ho iniziato a parlare del denaro, ho già accennato ad alcuni fattori che interessano questo fenomeno. Qui li svilupperò maggiormente per dare più chiarezza all’insieme. Come nota metodologica, con la dicitura “beni” intendo sempre sia beni materiali che servizi, ovvero tutto ciò che può avere un valore ed essere venduto. Per parlare dell’inflazione bisogna però definire cosa si intenda con tale termine, in quanto diverse scuole ne danno diverse interpretazioni. Benché quindi l’etimologia della parola indichi il tipico soffiare per gonfiare il palloncino, che riferito al mondo economico porta al concetto di aumentare la base monetaria (gonfiandola), io qui darò a tale parola il significato più comunemente accettato di quel fenomeno per cui, ad un aumento generalizzato dei prezzi corrisponde una perdita di valore della moneta.
Ho detto “fenomeno” per indicare un processo, e quindi non uno “stato” o “condizione”, ma un susseguirsi di eventi che ha come condizione finale una ridefinizione dei prezzi ad un livello superiore. Per far ciò devo ritornare a definire meglio il concetto di valore di un bene, non per cambiare la definizione già data , ma per vederne le diverse implicazioni. Una caratteristica umana è quella di discriminare anche piccolissime differenze, a patto che il confronto avvenga tra campioni molto vicini. La differenza di colore la apprezzeremo accostando i due esempi, la differenza di tono tra due suoni la apprezzeremo se uditi ravvicinati, differenze di spessore accostando i due campioni, ecc… pochissime persone hanno ad esempio l’orecchio “assoluto” sanno cioè distinguere una singola nota suonata da sola (Mozart era uno di questi). Portando il discorso sul valore, dato che normalmente possiamo definire tra due beni quale per noi abbia valore maggiore o minore, è difficile quantificare il “quanto” maggiore o minore con un numero. Una mela , ad esempio potrebbe valere come 5 caramelle, ma il problema sta nel capire il valore di QUALE caramella. Perché interviene quella definita come utilità marginale, ovvero, pensando al valore di bicchieri d’acqua richiesti da un assetato, esso sarà molto alto per il primo, minore per il secondo, addirittura nullo per il terzo. Questo principio codifica il decrescere del valore mano a mano che si dispone di maggiori quantità di un bene. Ed esso è la spiegazione del fatto per cui funziona la legge della domanda e dell’offerta, visto che il valore di una tipologia di beni decresce all’aumentare della sua disponibilità e viceversa della quale tratterò in seguito. Ma per il “confronto “ tale principio è un handicap, e bisogna ricorrere ad un’altra risorsa umana, ovvero la capacità di astrarre, proiettare, una qualsiasi emozione. Così se pensiamo al valore della prima caramella che possiamo avere, siamo perfettamente in grado di una astrazione che ci dia il valore di 5 “prime caramelle”, decisamente superiore al valore di 5 caramelle consumate tutte insieme. Pertanto quando facciamo una comparazione quantitativa pensiamo ad n volte il valore del primo bene, e non al valore di n beni. E tale comparazione sarà tanto più precisa quanto n sarà un numero piccolo. Il massimo quindi si ha per un rapporto 1 a 1 delle due tipologie di beni, ma è sufficientemente buono , almeno finché restiamo nell’ambito delle unità. Il processo mentale, consapevole o no, per definire se per noi un certo oggetto vale o no 5 € è quello di pensare a quali beni possiamo avere con 1 €, e quindi a 5 volte quel valore. La maggiore o minore capacità, per una persona, di “decifrare” il valore di un bene dipenderà poi anche dall’abitudine che avrà nel considerare determinati valori. Per la casalinga sarà normalissimo valutare le unità o al massimo le decine di euro, mentre per il venditore di automobili sarà più facile ragionare in termini di migliaia di euro, o l’immobiliarista avrà maggiore dimestichezza con le centinaia di migliaia di euro. Se io dovessi pensare a100.000€ credo che non riuscirei nemmeno a pensare alla dimensione della valigia per metterceli dentro. Tutto ciò per dire che quando usiamo la moneta per astrarre realmente il valore (moneta come “unità di misura del valore”), in effetti noi pensiamo ai beni cui tale valore corrisponde , o meglio a quante volte la quantità di denaro corrisponde al bene o ai beni con i quali abbiamo maggiore confidenza. E tutto ciò per introdurre il concetto della visibilità dei prezzi. Il venditore di auto pertanto difficilmente avrà la percezione di un aumento del prezzo del pane, cosa che invece sarà immediata per la casalinga, perché quello è un articolo che acquista quasi tutti i giorni ma anche perché il suo valore rientra nei valori che tratta normalmente. Ed ora passiamo ai prezzi. Tratto dei prezzi dei beni di largo e comune uso e consumo, e non di quelli relativi a pezzi rari, o di scarsa commercializzazione, perché è proprio ai primi che si fa riferimento per il fenomeno “inflazione”. Essi risentono di tre categorie di eventi che sempre intervengono nella formazione del prezzo finale: produzione e commercializzazione, disponibilità finanziarie degli acquirenti, e legge della domanda e dell’offerta. La produzione e commercializzazione è tutto quanto si occupa di portare i beni alla disponibilità dell’utilizzatore finale. La disponibilità finanziaria è quella parte di disponibilità propria che l’individuo, in un certo momento, decide di usare per acquisire dei beni. La legge della domanda e dell’offerta, è quella regola che fa si che produzione e commercializzazione adeguino la quantità di beni in relazione alle risorse disponibili. Essendo le prime due entità variabili in funzione di infiniti fattori, che vanno dai fenomeni naturali alle percezioni individuali, l’equilibrio economico a cui tende la stabilizzazione dei prezzi avverrà sulla base della terza che regola proprio il loro rapporto. Un aumento dei prezzi costringerà gli utilizzatori finali a comparare l’utilità marginale delle quantità acquistate con il nuovo prezzo e quindi, eventualmente, a rinunciare ad una parte di esse, facendo così calare le quantità globali richieste. Non marginale è ricordare che la prima di tali entità è costituita anche da individui, che a loro volta partecipano al processo anche come utilizzatori finali. A proposito di questi c’è da fare una netta distinzione tra chi decide autonomamente l’entità dei propri compensi, e quindi delle proprie disponibilità, e chi invece dipende da entità terze che decidono dei compensi e quindi dei redditi. E questo perché mentre i primi hanno come controparte il mercato, che può accettare o meno le variazioni dei loro compensi, ma sono liberi di aggiornarli nei tempi e nelle modalità che decidono autonomamente, i secondi possono raggiungere un adattamento dei loro compensi solo attraverso dei meccanismi che comunque richiedono tempi e contrattazioni sulle entità. Questo fatto ha molta rilevanza nel processo inflattivo, in quanto la percezione di aumento dei prezzi da parte dei primi, può ripercuotersi immediatamente oppure no sui propri compensi e quindi sui prezzi o sulle tariffe praticate, e anche variare come copertura o addirittura eccedere le variazioni registrate, mentre per i secondi si arriverà ad un aggiornamento dei loro redditi, solo dopo che tali variazioni si siano consolidate e ufficializzate, quindi con un considerevole ritardo. I primi parteciperanno quindi attivamente al processo di propagazione della percezione della variazione dei prezzi, mentre i secondi potranno al limite far ripartire un secondo processo, dopo che il primo si sia già stabilizzato. Le cause. Prima di parlare delle cause che innescano tale processo, e parlo di processo in quanto essendo un fenomeno che ha un inizio abbastanza chiaro, si propaga e si implementa con modalità “a valanga”, fino a raggiungere un punto in cui gli attori, produttori, commercianti, acquirenti, trovano un nuovo equilibrio sui prezzi e sulle quantità, devo fare una considerazione sulla massa monetaria. Facciamo l’ipotesi che in un paese abbastanza isolato circolino solo 5 banconote. Quanto si verificherà sarà che Tizio dovrà attendere di esser pagato per poter correre da Caio il panettiere a comprare il pane , il quale, venduto il pane potr
à andare da Sempronio il fruttivendolo a fare la spesa, e via dicendo, dando a quelle 5 banconote complessive una elevatissima velocità di circolazione, ma rendendo difficilissimi gli scambi. Ora immaginiamo di dare alla popolazione 1000 banconote in più. Finalmente potranno decidere come e quando andare a fare la spesa. In effetti esiste un valore critico al di sotto del quale gli scambi cominciano ad esser difficili, ed è funzione sia della quantità di denaro che della permanenza media di esso nelle tasche della popolazione. Questo limite inferiore inoltre non è influenzato e non influenza coloro che hanno basse disponibilità, in quanto finite le disponibilità , comunque , non avrebbero più denaro. Se esiste un limite critico inferiore , ne esiste anche uno superiore ? Beh , quello superiore impatta solo chi ha disponibilità che sono superiori al livello di sussistenza, ma è un condizionamento puramente psicologico. Vediamo la persona che ha un reddito tale da consentirgli di vivere, e denaro in circolazione sufficiente per pagare lui e tutti gli altri come lui alla fine del mese. Questi col denaro ricevuto, farà i suoi acquisti in alimenti, vestiario, ecc… e giungerà a fine mese avendo speso tutto. Ora ipotizziamo di dare a questa persona un reddito maggiore. Se buon amministratore il “di più” lo risparmierà per sopperire agli “imprevisti” o per la vecchiaia, e continuerà a fare gli stessi acquisti di prima. Si tratta però di una eccezione. Di norma, anche se una parte di quel “di più” venisse risparmiata per eventi futuri, l’altra parte andrebbe ad implementare le spese. La tendenza dell’individuo è quella di adattare il proprio tenore di vita al reddito, o comunque alle disponibilità finanziarie. Sono comunque pochissime le persone che, all’aumentare delle disponibilità non aumentano o migliorano i consumi, o addirittura quelli che li diminuiscono attaccandosi patologicamente al denaro. Questo vuol dire che, un aumento delle disponibilità da parte degli acquirenti, si riversa sul mercato aumentando la richiesta. L’aumento di richiesta da parte degli acquirenti, causa nella produzione/commercio, un immediato aumento dei prezzi e contemporaneamente una spinta ad aumentare la produzione dei beni, vedendo nel fenomeno una maggiore possibilità di guadagno. Ed essendo la produzione/commercio formato da individui a loro volta consumatori, un maggiore guadagno si riversa sul mercato come ulteriore spinta verso l’alto di prezzi e produzione. Questo processo rallenta e si ferma come gli aumenti riducano le possibilità di fare acquisti a quella parte di popolazione che non controlla direttamente il proprio reddito. Questo fatto praticamente toglierà spinta alla fase rialzista dei prezzi, ed essi troveranno un nuovo livello di equilibrio. Quindi, da parte dell’aumento della liquidità, per arrivare all’aumento dei prezzi, occorre che essa arrivi a persone che aumenteranno i loro consumi in funzione di una maggiore disponibilità economica. Tali persone non sono sicuramente quelle più ricche, che già con i loro redditi e disponibilità potevano permettersi tutto il desiderato. Per queste persone, un aumento delle disponibilità non causerà alcuna variazione sui mercati, al massimo influirà sui beni di alto valore e scarso commercio, che però non fanno testo per cosa riguarda il rilevamento del livello dei prezzi. D’altra parte, uno stesso fenomeno, anziché dall’aumento generale della liquidità, potrebbe esser causato da una “fuga dal risparmio” generalizzata, che porterebbe coloro che fino a quel momento hanno risparmiato parte del loro reddito, a fare acquisti, aumentando la domanda di beni. Pertanto si può si dire che, prima o poi, un aumento di liquidità si riverserà sul mercato, ma è vero anche che sui tempi lunghi saremo tutti morti. Invece per cosa riguarda la parte produzione/commercio si può dire che moltissimi fattori possono influire sui prezzi. Dalle materie prime, alle retribuzioni , al costo dell’energia o dei trasporti, ecc… considerando anche che aumenti dovuti a tali cause possono dare aumenti diversi da bene a bene. Ad esempio un aumento dell’energia, si rifletterà in modo diverso sui vari prodotti, in funzione di quanta energia richiede la loro produzione, conservazione, distribuzione. E quindi non è detto che ogni bene debba aumentare percentualmente della stessa quantità, prima che si trovi un nuovo equilibrio dei prezzi. Ma potrebbe anche accadere che, in periodi di crisi, con i consumi già in calo, eventuali aumenti in questo settore vengano assorbiti dagli operatori, e non si riflettano sui prezzi finali, in base alla considerazione che è meglio un margine di guadagno minore su ogni “pezzo” che una ulteriore contrazione delle quantità vendute, se si vede che il mercato è diventato troppo rigido, in seguito ad un calo dei redditi, soprattutto di quelli che non si auto aggiornano. Aumenti di produttività, oppure erosione dei margini di guadagno, possono portare addirittura ad una diminuzione dei prezzi, accettando la condizione che è meglio un minor guadagno che una riduzione tale da portare alla chiusura dell’attività. Ricordo a questo proposito che nella produzione vi sono costi variabili in funzione della quantità prodotta, come energia, materie prime, ecc… ma ci sono anche costi fissi, come i macchinari, i capannoni, ecc… e che pertanto c’è sempre un livello di produzione ( quantità ) che rende la produzione stessa antieconomica. Ovvio anche che la cessazione di un produttore porta un vantaggio, almeno temporaneo, ai concorrenti, ma anche questa “corsa al ribasso” è auto implementante in quanto la chiusura di un impianto porta disoccupazione, quindi ulteriore calo di acquirenti, con ulteriore calo della necessità di produzione. Un modo di “drogare” il mercato è quello di concedere prestiti, e di invogliare la popolazione a richiederli, mediante bassi tassi di interesse, pubblicità, o altri mezzi per influenzare i potenziali acquirenti, come, per contro, la riduzione del credito, imposta dalla situazione o dalla paura delle persone, porta ad una contrazione dei consumi. Nel primo caso si avranno spinte inflattive, nel secondo l’opposto ovvero spinte deflattive. Dopo aver visto come, in funzione dei vari fattori, possono variare i prezzi, passiamo all’ultima considerazione. Se in funzione di tale aumento, anche se non uniformemente e proporzionalmente distribuito su tutti i beni, con la stessa quantità di denaro, saremo in grado di acquistare meno beni, la sensazione sarà che il denaro valga di meno, e quindi di una sua svalutazione, mentre invece a causa del fenomeno opposto, con un calo dei prezzi, avremmo la sensazione di una sua rivalutazione. Quindi , di tutto ciò è importante ricordare come la legge della domanda/offerta sia generata dal criterio di utilità marginale. Esempio, se il primo panino ha un valore , il secondo sicuramente uno minore e così via, per cui, ad esempio, un aumento del prezzo potrà portare l’acquirente a considerare che il valore che lui assegna all’ultimo è inferiore al prezzo, pertanto diminuirà il numero di panini acquistati. Altro fattore importante è che un aumento di liquidità può, ripeto può causare un fenomeno inflattivo, ma solo se tale aumento si riversa in una maggiore disponibilità verso gli acquisti di maggiore e comune uso e consumo, mentre, se tale aumento verrà intercettato dalle classi che, invece di aumentare i consumi, aumenteranno il risparmio o gli investimenti vers
o beni di alto valore, avremo probabilmente la formazione di bolle, ma non di inflazione. Mentre sarà ben difficile che, in momenti di crisi economica, anche aumenti delle materie prime, causino aumenti nei prezzi, ma vengano assorbiti nella produzione/commercializzazione. Come sarà difficile che una popolazione intimidita da disoccupazione o sotto occupazione aumenti il proprio livello di indebitamento. Tutt’al più tenderà ad aumentare il risparmio, o a rimborsare debiti pregressi, a spese dei consumi, per crearsi un margine, una riserva da utilizzare nel caso di ulteriori peggioramenti. Una ulteriore considerazione è da fare sull’ambiente in cui tali fenomeni si verificano. Finora , anche se non preannunciato, si è trattato di ambienti chiusi, in cui, ad esempio, una maggiore richiesta si riflette in una spinta sia all’aumento dei prezzi che della produzione. In ambienti a libero commercio questo potrebbe non esser più vero, in quanto invece di spingere ad una maggiore produzione, potrebbe spingere a maggiori importazioni. Ma di questo tratterò nella prossima puntata. Nulla di eclatante in settimana se si considera “normale” l’aumento della disoccupazione USA di 169.030 unità ma che è leggermente inferiore a quanto abituati nel mese di novembre, per cui il dato aggiustato stagionalmente è anche un po’ positivo. Però piove sul bagnato !! Volevo quindi dedicare il commento al mondo del lavoro quando mi è capitato di leggere questo fantastico report dalla Cina che invito a leggere integralmente per farsi un’idea di che cosa ci aspetta continuando con le politiche industriali in corso. http://intermarketandmore.finanza.com/la-delocalizzazione-in-cina-e-il-suicidio-industriale-dell-occidente-21284.html Pertanto, per ora mi astengo da ulteriori commenti.
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