I quattro giganti ciechi alla sfida del futuro prossimo
di Giulietto Chiesa
megachip
Dopo un quarantennio imperiale, unipolare, stiamo vivendo una parentesi multipolare. Quanto durerà nessuno può saperlo e non abbiamo una sfera di cristallo in cui guardare. L'unica cosa che sappiamo, con certezza, da molti segnali, è che siamo nella vicinanza relativa di un punto di rottura della continuità storica: quello che si può definire come un “cambiamento di fase”, qualcosa di analogo a quello che in fisica, per esempio, è il passaggio dallo stato liquido a quello gassoso. È per questa ragione che parlo di parentesi multipolare: perché non sarà lunga come la fase storica unipolare che l'ha preceduta, e perché la sua durata equivale alla nostra distanza dal punto di rottura, o cambiamento di fase.
Questa distanza si misura in anni, non in decenni e quello che avverrà in questi anni deciderà le modalità del cambiamento di fase e, in misura decisiva, deciderà anche come l'umanità uscirà dalla transizione. Dunque è molto importante capire come arriveremo al “punto di ebollizione”. Per questo occorre identificare, con la maggior precisione possibile, chi sono gli “attori” in grado, almeno in via teorica, di influire su questo percorso temporale.
Sono quattro e tali resteranno nella durata della parentesi.
Altri attori stanno per entrare nell'agone pre-ebollitorio, ma non c'è il tempo perché possano entrarci del tutto e dunque parteciperanno come comprimari e, come tali, potranno al massimo fungere da catalizzatori di processi che li travalicano.
Chi sono questi quattro? Sono gli Stati Uniti, la Cina, l'Europa e la Russia.
Sono quattro soggetti le cui “forze” sono in sommo grado disomogenee: per estensione territoriale, per situazione demografica, per dimensione finanziaria, per composizione tecnologica, per struttura industriale e commerciale, per potenza militare, per esperienza storica e cultura. Dunque è assai difficile collocarli in una scala unitaria di forze per estrarne una graduatoria.
Tuttavia la risultante che emerge da ciascuno di essi è una “qualità” grosso modo, intuitivamente, misurabile nell'agone planetario unico nel quale concorrono, cooperano talvolta, collidono e collideranno. In parole povere: sappiamo quanto ciascuno può “valere”, cioè contare, cioè influire sulla situazione globale e sul comportamento degli altri tre.
Noi già sappiamo che la globalizzazione ha assunto un livello tale che, per la prima volta nella storia umana, l'Uomo è in grado – per usare un'espressione di Freeman Dyson – di “turbare l'universo”, non c'è più decisione di uno di questi giganti che possa essere assunta senza influire sull'insieme globale.
È l'insieme globale, e non i suoi singoli componenti, che è oggi sottoposto alle smisurate tensioni che lo stanno conducendo a un cambiamento di fase. Se ne deduce che, per evitare che questo avvenga in forme totalmente incontrollate, catastrofiche, devastanti, occorre un consenso internazionale su tutte le prossime mosse concernenti i punti critici che si approssimano alla rottura (clima, denaro, energia, cibo, acqua, popolazione, etc.).
La domanda è questa: è possibile un tale consenso? Stando sulla rotta attuale, esso è altamente improbabile per molte cause, tre delle quali determinano tutte le altre:
a) l'attuale architettura internazionale è priva di strumenti in grado di far cambiare la rotta ai quattro protagonisti.
b) l'eredità storica dei quattro giganti è talmente pesante che impedisce non solo un agire comune, ma nella grande maggioranza dei casi, e dei problemi, impedisce perfino un pensare comune.
c) entro l'orizzonte temporale della parentesi multipolare i loro interessi immediati collidono. E il livello intellettuale delle classi dirigenti è del tutto al di sotto delle necessità.
Elevare la probabilità di un esito “fausto” implicherebbe un intervento radicale sui tre problemi qui appena enunciati.
È probabile che ci si riesca, data la ristrettezza del tempo a disposizione, e dato il livello culturale e intellettuale delle élites politiche ed economiche che detengono il potere reale nei quattro centri dominanti?
La risposta è ricavabile dalla stato dell'arte attuale: non possiamo cullarci nell'illusione e coltivare speranze infondate. Occorre un grande realismo, per comprendere che decisioni drammatiche, congruenti con l'immensità dei problemi, devono essere prese e che, se non saranno prese, dobbiamo attenderci sconvolgimenti imprevedibili per dimensione, portata, effetti.
Guardiamo ora in rapida sintesi dove si trovano i quattro protagonisti.
Gli Stati Uniti sono in un declino evidente e inarrestabile. Essi hanno già perduto la loro posizione imperiale, anche se non sembrano ancora essersene accorti. L'élite che li guida appare incapace di prendere atto della situazione e di riorganizzarsi di conseguenza. Al contrario appare incline, seppure confusamente, a imporre la sua supremazia anche a dispetto del proprio declino e della insostenibilità di una tale pretesa. Fino a che l'élite americana non metterà in discussione l'assioma reaganiano secondo cui “il tenore di vita del popolo americano non è negoziabile”, quel paese resterà prigioniero dell'illusione di poter continuare a crescere come ha fatto negli ultimi cento anni.
Quando apparirà evidente che ciò non è materialmente possibile, l'esito più probabile – in assenza di una guida più ragionevole dei “tea party”, e dell'élite bipartisan nelle cui mani si trova – sarà la tentazione di usare l'immensa forza militare di cui dispone per schiacciare avversari e concorrenti. Poiché i suoi avversari e concorrenti sono delle dimensioni che sappiamo, si può provare a immaginare gli scenari agghiaccianti che ci si delineano di fronte.
La Cina è il nuovo potere mondiale in formazione, anch'esso inarrestabile (con mezzi pacifici). È la Cina, esclusivamente la Cina, il martello pneumatico che sta frantumando l'Impero americano, essendo evidente che l'Europa non partecipa a questa impresa per la sua totale subalternità al modello imperiale di crescita, e essendo altrettanto evidente che la Russia non può e non vuole il declino americano e lo teme non meno della crescita politico-economica della Cina. Questa agisce già globalmente in tutte le direzioni e a ritmi che, nei prossimi cinque anni – in presenza di tassi di crescita del Pil cinese del 10% medio annuo – avremo di fronte “una Cina e mezza”, al posto dell'attuale.
Questi ritmi di crescita, si presume, porranno non pochi problemi alla stessa Cina, attuale e futura, la cui soluzione positiva possiamo soltanto auspicare, perché, in caso di fallimento del suo programma, gli effetti che dovremmo fronteggiare sarebbero probabilmente di un ordine di grandezza superiore a quelli di un suo successo. Nello stesso tempo la crescita cinese pone e porrà comunque immensi problemi al pianeta nel suo insieme, influendo su tutti i punti della crisi già in atto nel resto del mondo (clima, energia, risorse naturali, finanza, commercio).
Ma con alcune specificità essenziali: la Cina ha le risorse energetiche (carbone) per attraversare indenne tutta la parentesi multipolare; la Cina è l'immenso mercato di se stessa e, in quella parentesi potrà procedere prescindendo in gran parte dalle perturbazioni esterne che si verificheranno in parallelo; la Cina ha un sistema politico che permette decisioni centralizzate e rapide. Il controllo interno è assicurato sia da un sistema politico autoritario, sia dal consenso prodotto dalla crescita di un benessere diffuso e prima sconosciuto a ampi strati sociali.
Si può aggiungere, anzi è opportuno farlo, che la Cina ha un orizzonte e un respiro storico e temporale più vasto di quello dell'Occidente nel suo complesso, che le permette una visione più lunga. Credo che siano queste le ragioni per cui l'attuale Cina appare la meglio preparata a fronteggiare il passaggio di fase cui accennavo all'inizio. Tuttavia la Cina, come almeno due degli altri giganti planetari (Europa e USA) non dispone del freno per annullare, e neppure frenare la propria, mostruosa inerzia di crescita. Oggi si presenta come un giocatore moderato e prudente, perfino dimesso nelle forme, sorridente e amico (anche se molto fermo nella difesa dei propri interessi nazionali). Ma, quando questa Cina diverrà “due Cine”, cioè tra una decina d'anni, nessuno può prevedere né quale sarà il suo peso, né come si dispiegheranno gli effetti della sua supremazia su un mondo già sconvolto in tutti i suoi equilibri essenziali.
La Russia è – economicamente, demograficamente – il più piccolo dei quattro protagonisti. Ma è il più grande geograficamente e lo è soprattutto dal punto di vista delle risorse naturali. È un territorio sconfinato entro cui si trovano le più grandi riserve di energia, di materie prime, di cui il pianeta è dotato. Teoricamente è in condizione di affrontare la parentesi multipolare meglio di ogni altro, proprio sotto il profilo delle risorse. Ha una vasta intellighenzia tecnologica diffusa, ma ha un background industriale molto vecchio, una rete di infrastrutture inadeguata, una fisionomia commerciale assai debole. Soprattutto è un paese ancora ripiegato su se stesso vent'anni dopo il crollo sovietico, con una classe dirigente mentalmente “compradora”, in gran parte subalterna agli Stati Uniti, ma con contemporanee pulsioni nazionalistiche e ambizioni da grande potenza frustrata.
Tutto ciò in condizioni di alta ricattabilità, poiché questi ultimi vent'anni sono stati per la Russia un'imitazione forsennata del modello capitalistico americano, che ha seriamente intaccato le radici storiche della stessa cultura russa.
Nello stesso tempo questa classe di oligarchi di rapina ha fatto emigrare nelle banche occidentali gigantesche ricchezze che fanno ormai parte integrante della gigantesca macchina della speculazione finanziaria guidata da Wall Street. La Russia, senza investimenti modernizzatori, è rimasta essenzialmente un esportatore di materie prime. In queste condizioni sarà difficile che la Russia possa alzare lo sguardo sull'orizzonte per assumere un ruolo mondiale di organizzatore del consenso attorno a una visione autonoma, non conflittuale, della transizione di fase.
Men che mai questa Russia attuale può ambire a diventare un centro propulsore di una visione dello sviluppo umano capace di parlare al pianeta, di una nuova narrazione del mondo all'altezza delle mai sopite ambizioni di qualche minoranza di divenire la “Terza Roma”.
Appare ben più probabile che la Russia si schieri con l'Occidente contro la Cina: più che per l'atavica paura russa del vicino gigante, per il groviglio d'interessi che lega la Russia allo sviluppo capitalistico consumista che sta andando in rovina. Dei quattro giganti, dunque, la Russia appare il meno rilevante, nel senso di meno in grado di influenzare il comportamento degli altri, e piuttosto incline a farsi trascinare dai loro comportamenti. L'asso nella manica russa, che le permetterà di avere voce in capitolo, è la sua potenza nucleare. Dopo averne perduto il controllo nell'era Eltsin – che lo aveva consegnato, per timore di un ritorno del comunismo, nelle mani americane – oggi lo ha riacquistato e lo conserverà gelosamente nel corso di tutta la parentesi bipolare.
Ma questa carta non sarà giocabile, o lo sarà troppo tardi, quando il cambiamento di fase diventerà tumultuoso e incontrollabile. E, in quella fase, molte tecnologie avanzate diverranno probabilmente più vulnerabili di quanto siano mai state. Piuttosto sorgenti di pericolo che di sicurezza.
L'Europa, infine. Essa si trova in preda a una crisi senza precedenti, che è diretta conseguenza del “contagio” di Wall Street. Nel senso che, avendo l'Europa scelto senza equivoci il modello finanziario ultra-liberista statunitense, accodandosi al vagone britannico del treno di Washington, è oggi costretta non solo a sostenere tutte le operazioni di salvataggio della macchina imperiale, ma a pagarne le maggiori conseguenze.
La serie di attacchi speculativi organizzati dal “consenso washingtoniano” sta minacciando, in rapida successione, dopo la Grecia, una serie di paesi che stanno perdendo sovranità a vantaggio dei centri mondiali della finanza occidentale, tutti imperniati sul dollaro. La sovranità di Grecia, Irlanda, Spagna, Portogallo, e poi Italia e via via tutti gli altri, significa perdita ulteriore della stessa sovranità europea.
Il modello americano, per altro, mostra crepe talmente evidenti che nemmeno il mainstream, interamente impegnato, con il suo enorme esercito di propagandisti, a nascondere l'evidenza, riesce a nascondere alle opinioni pubbliche europee il disastro incombente. La Banca Centrale Europea, invece di affrontare di petto la crisi della finanza mondiale, assumendo una strategia autonoma e differente rispetto a quella di Wall Street, stabilendo nuove regole, che avrebbero costretto Washington a venire a patti non solo con l'Europa, ma con la Cina, il Giappone, il Brasile, l'India, si è collocata nel suolo di servizio della strategia volta a salvare il dollaro dal tracollo, e l'America (insieme alla Gran Bretagna) dalla bancarotta.
Probabilmente, con i gruppi dirigenti europei che si ritrova, l'Europa non poteva fare diversamente. Ma il fatto è ora che la crisi dell'America è divenuta la crisi dell'intero Occidente.
E, mentre in America, maturano e s'incattiviscono gli spiriti selvaggi di un capitalismo al tempo stesso di rapina e di autarchia (ormai entrambi impossibili da realizzare), che producono uno spostamento a destra dell'asse politico interno, in Europa si assiste alle prime avvisaglie di una rottura del patto sociale che aveva tenuto assieme le società europee.
Un patto sociale che, con il welfare europeo spalmato, nel periodo delle vacche grasse, su vasti strati di ceti intermedi, aveva garantito all'Europa istituzioni stabili e circondate da un relativo consenso. Adesso l'opinione pubblica, abituata al modello del welfare, lontanissimo da quello americano, si vede precipitata all'indietro nel suo tenore di vita, mentre strati intermedi sempre più vasti scendono lungo la scala sociale perdendo redditi, benefici, benessere. Questa Europa risulta indebolita economicamente e politicamente in modo che potrebbe rivelarsi irrimediabile. Avrebbe le dimensioni di scala per esercitare una influenza positiva sui processi in corso. Ha il vantaggio di non essere armata strategicamente e, quindi, di non costituire minaccia. Potrebbe svolgere appieno un ruolo mediatore prima che il cambiamento di fase assuma ritmi travolgenti. Ma tutto ciò presuppone e implica una sovranità europea che rovesci il rapporto di sudditanza verso gli Stati Uniti.
Di una tale sovranità si sono perse le tracce. E questo è uno dei motivi per cui oltre la metà dei cittadini europei non va a votare per le istituzioni europee: segno preoccupante di uno scollamento democratico profondo e di una sfiducia crescente dei cittadini di uno Stato in formazione verso le classi dirigenti che non sanno guidarlo.
In sintesi: dei quattro rematori principali, al momento attuale, uno soltanto rema, mentre gli altri tre si limitano ad annaspare. Che la barca, rappresentata dal nostro pianeta, possa rifugiarsi in un porto sicuro, sono davvero in pochi a credere. Per lo meno tra coloro che hanno il quadro reale della situazione davanti agli occhi.
La grande massa dei popoli non sa quasi nulla di ciò che accade. Non lo sa perché il mainstream è stato costruito proprio per nascondere i tratti cruciali del disastro. E questo impedisce una difesa dal basso di coloro che hanno tutto da perdere, essendo in catene.
Resta, ormai visibile, una grande inquietudine. È su questa, e su una battaglia nuova, inedita, per far giungere la descrizione vera di ciò che è accaduto e accade, agli occhi (letteralmente, proprio agli occhi) delle grandi masse, che si deve fare leva. Sapendo che tutto ciò che di positivo potremo fare, dovunque ci troviamo, sotto ogni latitudine e longitudine, dovrà accadere durante la parentesi bipolare. Un nuovo impero, se ve ne sarà uno, avrà un volto che sarà difficile guardare.
Questo articolo fa parte del numero di «AntimafiaDuemila» disponibile nelle edicole della Sicilia e nelle librerie a partire dal 20 dicembre e nelle settimane succesive
In tutta sincerità io non riesco a vedere la perentesi multipolare di cui parla Chiesa. Riesco a osservare come ci siano delle iene che si contendano la carcassa del nostro pianeta, ma non mi pare ci siano dei medici in cerca di rianimarlo per contrastare lo stato di cose.
Più esattamente: in cosa si differenzierebbe la politica dei quattro giganti (o di G8, G20, come preferite)? Esiste da qualche parte un RITORNO alle microeconomie? Esiste un qualche processo di DEURBANIZZAZIONE e RIVALORIZZAZIONE delle campagne e dell'artigianato?
Tutt'altro. Anche Chiesa annota come la Russia sia sulla frontiera della competizione internazionale grazie ai propri giacimenti e A DISPETTO della propria scarsa industrializzazione.
Quindi il modello è esattamente lo stesso per qualsiasi Stato: industrializzare, inurbare, finanziare, accentrare, modernizzare, produrre insomma per il Mercato così come lo conosciamo per alimentarlo ad libitum.
Dove sarebbe quindi la multipolarità?
Non sono medici che cercano di rianimarlo. E questo lo dice anche Chiesa. Non sono capaci. E anche questo lo dice Chiesa. Non è il loro compito primario, che è quello di soddisfare i propri interessi, soddisfacendo al livello materiale e ideologico i rispettivi popoli. E questo forse Chiesa non lo dice: la posizione del medico le grandi potenze la assumono soltanto quando reputano che sia necessario e la considerano sempre come un costo. In ogni caso, non sono capaci e non stanno tentando.
Il passaggio da una fase all'altra può consentire riposizionamenti geostrategici, con possibili vantaggi alle potenze regionali e agli stati autonomi e sovrani. E' evidente che questo in Italia non sta accadendo. Diverso, per esempio, è il caso del Brasile, che sta approfittando della situazione (anche se il carattere sistemico della crisi comporta che la eventuale svalutazione del dollaro possa colpire molto duramente l'economia brasiliana).
Direi che l'analisi geopolitica di Chiesa è molto esatta e che andrebbe completata con una analisi specifica dell'Italia, anche in vista di proposte politiche. Purtroppo credo che l'essere stato parlamentare europeo e corrispondente all'estero per importanti testate, spinga Chiesa a non scegliere (per ragioni psicologiche, più che ideologiche) nettamente e dichiaratamente il punto di vista della "microeconomia" (ottimo termine) italiana (anzi da oggi potremmo cominciare a scrivere della "microeconomia italiana"). Egli, per ora, sta con l'Europa e con l'Italia. Posizione che, a mio avviso, non tanto è sbagliata (la posizione sbagliata è collocarsi dal punbto di vista dell'Europa), quanto incoerente (o si sta con l'una o si sta con l'altra).
Dal punto di vista della microeconomia italiana subiamo oltre alla primazia degli Usa, anche quella della Cina e della "Germania europea" (la vogliamo chiamare eurogermania, visto che l'europa non esiste?), oltre che quella del capitale finanziario internazionale. Inoltre non comandiamo più il nostro capitale che è libero di investire (in realtà "fuggire") all'estero. Perciò siamo messi malissimo, al punto che il sistema multipolare ci danneggia. Ma il sistema multipolare è transitorio. La crisi-transizione si concluderà con crolli e disintegrazioni di economie e stati ovvero con guerre.
Io credo che noi dovremmo rinchiuderci tra le nostre montagne e i nostri mari e curare "la nostra microeconomia" – interessarci della nostra vita e di quella dei nostri figli – coltivando rapporti di pace con tutti e tuttavia liberandoci della sudditanza politica e culturale nei confronti degli Stati Uniti (qui servono divieti: di film, di telefilm, di riconoscimento di brevetti, ecc.), che, dagli anni cinquanta e in misura massiccia dalla metà degli anni ottanta, hanno colonizzato il nostro immaginario e pervertito la nostra anima.
Chiesa mi pare preoccupato.
Dice questa è una "parentesi multipolare" poi ……" Un nuovo impero, se ve ne sarà uno, avrà un volto che sarà difficile guardare."
Sicuramente gli Stati Uniti che arretrano e la Cina che emerge: sono questi i due "mostri" che preoccupano Chiesa.
Il primo potrebbe comportarsi come una bestia ferita, incapace di accettare la perdita della sua posizione egemonica nel mondo; il secondo consapevole della nuova irreversibile forza sullo scenario internazionale potrebbe mostrarsi molto meno morbido, in futuro, sul versante della "dialettica diplomatica".
La Russia e l'Europa, potenze di secondo rango, potrebbero assurgere al ruolo di ago della bilancia o, al contrario, sbilanciare la situazione a favore dell'uno o dell'altro "mostro".
In ogni caso, il cozzare di questi quattro blocchi l'uno contro l'altro e, l'inevitabile loro collisione nei prossimi anni, produrrà uno sconquasso tale, che difficilmente riconosceremo il mondo di domani da quello che vediamo oggi.
comprendo il punto di vista di chiesa, ma non lo condivido. se a dare gi obiettivi fosse la politica, oppure la sua sottostante potenza militare, tutto il ragionamento sarebbe perfetto.
io credo invece che a tenere la barra sia l'economia, quella reale, solida, che apparentemente è stata surclassata dalla finanza.
alla fine della 2°ww chi si è arricchito è chi aveva i terreni, ed i soldi li ha fatti coloro che gestivano il mercato nero.
non che questo mi rallegri, vorrei un mondo più morale, più etico, ma se questa è la vera forza che spinge il mondo non si possono escludere il giappone, con i suoi satelliti asiatici, che sta finanziando col suo debito gran parte delle economie occidentali campione nell'organizzazione dei processi, l'India che si prepara a fornire la base culturale al nuovo mondo, avendo programmato di creare 40 milioni di ingegneri per tutti i settori in maggiore spinta tecnologica, dalle energie pulite, all'informatica e poi l'america latina che sta preparandosi a diventare il fornitore alimentare di una grossa fetta del pianeta.
senza contare che , pur non essendo "potenza globale" come gli altri, l'area mediorientale, con Israele, Iran, Turchia può invece essere l'innesco per i prossimi sconvolgimenti violenti, per il semplice fatto che è e continuerà ad essere ancora per molto il crocevia delle rotte dell'energia fossile.
secondo il principio che non è il valore intrinseco di un bene, ciò che economicamente conta, ma il valore che gli viene assegnato, sulla base del controllo sulla sua disponibilità che può essere o meno esercitato, ognuno di questi attori tenderà a valorizzare quanto esso sa fare meglio, e questo fattore costituirà l'elemento di aggregazione o di scontro.
con questa visuale gli attori diventano sette, con l'obiettivo, per quelli che lo hanno capito , di far diventare più importante, diciamo essenziale per tutti, il settore in cui punta ognuno all'eccellenza.
US con gli armamenti, la russia con le materie prime, la cina con la forza lavoro, l'europa deve purtroppo ancora deciderlo ma ci sono tanti abbozzi nazionali, l'india con l'istruzione specializzata, il giappone con l'organizzazione dei processi, e l'america latina con gli alimenti, questi sono i settori che ognuno di essi tenderà a valorizzare, e per raggiungerne la supremnazia sarà disposto ad unirsi o scontrarsi con altri, in una geometria continuamente variabile.
senza attaccarsi frontalmente ma cercando di metter via via in difficoltà gli avversari, con l'uso della finanza, delle guerre regionali e marginali, ecc….
questo è quanto "vedo" io per il prossimo futuro, dove a differenza del passato bipolare, quando USA e URSS si spartivano pacificamente (si fa per dire) le aree di influenza con una telefonata, nessuno potrà contarte stabilmente su nessuna alleanza o spartizione concordata di potere.
Certamente l'analisi geopolitica di Chiesa è corretta. Non è questo il punto che volevo sottolineare. Per dirla un due parole: cosa cambierebbe se invece di avere gli USA come modello di riferimento avessimo la Cina, dalla Russia o qualsiasi altro Paese?
Che ci sia un avvicendamento ai vertici dei paesi leader è fuori dubbio. Il dubbio, semmai, è quali cambiamenti possa portare tale avvicendamento nelle vite di milioni di salariati Italiani (per restare qui da noi).
Multipolare per me (e al di là di ogni significato geopolitico attuale) significa avere orizzonti differenti. Non lo stesso identico orizzonte con nomi diversi a seconda della prospettiva. L'universo delle potenze mondiali non ha significativi margini di spostamento. Per loro esiste solo la macroeconomia dell'era finanziaria, dove beni, merci e lavoro salariato sono le pedine da spostare per creare quel plusvalore che le fa mantenere sul ponte di comando dell'impero globale.
PS: Se (come è vero) la produzione Hollywoodiana ha "colonizzato il nostro immaginario e pervertito la nostra anima" hai idea di cosa potrebbe fare l'equivalente cinese o russo? Trovo altrettanto preoccupanti certe produzioni asiatiche. Bhollywood!
Direi che l'analisi di Chiesa è rigorosa ma si sofferma soltanto sulle quattro "potenze". Andrea l'ha completata segnalando almeno altre tre paesi o aree che apspirano al ruolo di potenze con influenza planetaria. Peraltro, Chiesa tenta di elaborare una "graduatoria", che Davide sembra condividere e che Andrea sembra rifiutare. Direi, però, che, sebbene sia difficile fare una graduatoria, la influenza sull'equilibrio o lo squilibrio che verrà nel prossimo decennio è necessariamente diversa da potenza a potenza. Sicché una graduatoria, magari diversa da quella di Chiesa, si dovrebbe fare per completare l'analisi. Ora io penso, come Chiesa, che le "mosse" di Cina e Russia potrebbero nel breve medio termine essere decisive dell'evolvere degli eventi. Perciò se considero importanti le precisazioni di Andrea, credo al tempo stesso che esse non inficino l'analisi di Chiesa.
Il problema, peraltro, è quello segnalato da Tonguessi. Infatti, queste analisi potrebbero essere svolte da chiunque nel mondo e in ogni luogo. Ma svolta l'analisi, resta da decidere in che modo si dovrebbe agire per soddisfare il nostro interesse e il nostro punto di vista. Qui la singola persona che svolge l'analisi diventa parte di un noi.
Ora noi italiani che svolgiamo l'analisi geopolitica manchiamo di un noi che renda sensate le proposte politiche. Noi europei? Così credono alcuni. E allora il discorso, anche nella fase propositiva è un discorso di partecipazione alla lotta tra le volontà di potenza.
Noi italiani, come credo io? E allora il discorso diventa un discorso di "microeconomia". Costruire una microeconomia che si sottragga per quanto possibile all'influenza delle potenze e che pur perseguendo un sufficiente di benessere economico non sia improntata al consumismo, al debito e al sacrificio della giustizia e dell'ambiente, bensì al contrario persegua ideali spartani, il risparmio, la solidità, la cultura, un fondamento socialista e la bellezza e il rispetto della terra.
La padania, le macro regioni o gli interessi localistici come sostengono altri?
Se non si sceglie il punto di vista è inutile discutere sulle proposte. La coerenza o la incoerenza di queste ultime; le priorità e le difficoltà strategiche vanno sempre commisurate al punto di vista dal quale si muove. Chiesa ha evitato di prendere una posizione politica, perché avrebbe dovuto scegliere tra l'europa e l'italia o dimostrare che non c'è contrasto tra i due punti di vista (da altri scritti sembra essere questa la sua posizione; ed è uno dei pochissimi punti in cui io dissento da lui; dissento perché credo che si tratti di posizione incoerente che verrà travolta dalla storia). E' chiaro, invece, che il passo ulteriore è effettuare la scelta. Soltanto dopo sarà possibile riflettere sul che fare.
@ stefano
condivido quasi interamente ciò che dici, e faccio un passo in più, indicando quello che a mio avviso è quanto potremmo fare per intervenire in questa "partita" di potere.
come i vari ducati e regni hanno dovuto riunirsi in una ITALIA per poter contare qualcosa a livello europeo, così il destino ci porta a doverci riunire, come europa, per avere un peso sullo scacchiere mondiale.
se ciò non viene compreso, se gli egoismi nazionali prevarranno, e questo oltre la moneta unica, ma con una vera federazione politico/reconomico/militare, allora resteremo tante piccole entità ininfluenti sullo scacchiere mondiale.
e non si illuda la germania dipoter contare qualcosa solo in base alla sua attuale posizione economica. senza popolazione e territorio, una potenza resta monca.
quindi, supponendo che possa avverarsi un miracolo, e che questa convergenza sugli interessi reali si verifichi, su cosa potrebbe puntare una eventuale europa unita ?
questo è il vero interrogativo se si vuole dare un obiettivo concreto alle popolazioni europee.
e tale obiettivo, potrebbe essere lo sviluppo di un salto culturale, con l'indicazione di come perseguirlo, grazie al fatto di esser le popolazioni che maggiormente hanno sperimentato cambiamenti, negli ultimi secoli, e dimostrare a tutti che da divisi ci si può unire in funzione di un obiettivo più grande. Se non noi europei, chi ?
grazie alle culture e alla storia dei nostri popoli che hanno anticipato tutte le evoluzioni sociali degli ultimi secoli, potremmo farci alfieri di quel nuovo modo di concepire il progresso, non più basato sui consumi, della valorizzazione dell'individuo, e non da quanto possiede, per smontare finalmente il paradigma che vede l'uomo prigioniero di quanto da lui stesso creato, e trasformato nella sua prigione.
ecco,in altre parole farci promotori e sperimentatori di quella società nuova, sostenibile dal pianeta, più aderente all'uomo ed alle sue caratteristiche e necessità.
un sogno ? forse, ma a me piace ogni tanto sognare, e pensare che il sogno potrebbe anche diventare realtà.
Un Italia che persegua autonome politiche di potenza scardinerebbe gli equilibri del mediterraneo, dei balcani, medio oriente, e cambierebbe la faccia del mondo. A mio parere sbagliano quelli che sostengono che, per contare qualcosa a livello mondiale, è necessario coalizzarsi in una unione europea sovranazionale: lungi da me qualsiasi intento auto-celebrativo, ma questo può valere per il Portogallo o la Lituania, ma non per noi, abitanti di uno dei paesi cardine dell'ordine mondiale.
Scrive Andrea: "come i vari ducati e regni hanno dovuto riunirsi in una ITALIA per poter contare qualcosa a livello europeo….". Sinceramente non mi risulta. Mi pare invece che la Serenissima (un nome tra tanti) abbia fatto della propria repubblica mercantile un centro di potere enorme, dati gli esigui confini entro cui era nata. Ambasciatori accreditati presso le principali capitali, influenze architettnoniche e linguistiche in tutto il bacino mediterraneo (marangon, ovvero falegname è ancor oggi un termine corrente della lingua greca) e così via.
Vorrei anche ricordare che molte delle meraviglie architettoniche che rendono l'Italia il più grande sito mondiale nacquero proprio per la frammentazione del territorio, quella frammentazione che generò quella meravigliosa pletora di dialetti simbolo della italica biodiversità culturale e ormai quasi sparita. E che lasciò in loco le ricchezze invece di consegnarle a qualche burocrate.
Detto questo mi domando: ma a noi interessa veramente "avere un peso sullo scacchiere internazionale"? Quanto saremmo disposti a "spendere" per avere una posizione di quel tipo? Personalmente trovo prioritarie altre finalità, come sganciarsi dall'egemonia USA (o di qualsiasi altra superpotenza) , onorare più fedelmente lo spirito della nostra Costituzione e così via….
@ tonguessy
il mio riferimento mancava della componente temporale.mi scuso.
non solo la serenissima, ma genova, livorno, tutte le famose repubbliche marinare, ed anche entità territoriali, hanno avuto in alcuni momenti una ragione di gloria.
la formazione degli stati nazionali con l'evoluzione industriale che ha richiesto mercati sicuri e di una certa ampiezza quando ancora dazi e protezionismi limitavano fortemente gli scambi.
l'industria, con le produzioni di scala, ha imposto la necessità di avere dimensioni minime dei mercati superiori a quelledella singola regione, e parlo solo del 19° secolo, non di periodi diversi
Caro Andrea,
sei arrivato al punto che mi premeva sottolineare: è stata l'evoluzione industriale a permettere l'acquisizione di posizioni di rilevanza geopolitica tramite l'accorpamento di varie realtà locali (diciamo microeconomie).
Lavorare in chiave antimodernista significa provare a rovesciare tale andamento e ridare spazio e dignità alle microeconomie. Questo comporta forse (ahinoi?) abbandonare velleità geopolitiche per concentrarsi sul localismo.
La politica dei grandi numeri contro la politica dei piccoli numeri.
Cina vs Mondo e le tensioni della green economy
La corsa alle terre e ai metalli rari sarà fondamentale per la supremazia nella green economy. Molti minerali all'attuale tasso di consumo rischiano di esaurirsi in 30-40 anni. La Cina allora ha deciso di conservare all'interno le proprie vaste risorse e al tempo stesso puntare su forti incentivazioni alle rinnovabili, creandosi l'ostilità di alcuni paesi e degli Usa in particolare.
L'articolo completo che mitrova pienamente in accordo lo trovate qui:
http://www.qualenergia.it/view.php?id=88&contenuto=Editoriale