la ricchezza – parte prima
di Andrea Mensa
La ricchezza. Dal Devoto – Oli ricavo la definizione di: Ricchezza = larga disponibilità di beni e specialmente denaro – Quantità notevole di beni e risorse economiche. Legato al denaro c’è il concetto di ricchezza, benché il denaro ne possa rappresentare solo una parte. La ricchezza è costituita da tutto ciò che è nella disponibilità di un individuo e che abbia un valore, e cioè sia desiderato da almeno qualcun altro, al punto che per averlo sarebbe disposto a dare in cambio qualcosa di suo.
È ovvio che se io dispongo di un qualcosa cui nessuno interessa, pertanto nessuno sarebbe disposto a pagar qualcosa per averlo, quel qualcosa può avere anche un elevato valore sentimentale per me, ma nessun valore commerciale o di scambio. Insomma, la società in cui si è immersi non lo considererebbe un valore. Le due condizioni per cui tale situazione si può verificare è che tale bene sia disponibile gratuitamente in tale quantità che, pertanto, nessuno si sognerebbe di pagar qualcosa per averlo, potendolo avere gratis, mentre l’altra condizione è che il bene di cui dispongo non interessi proprio a nessuno. Tutto ciò che invece ha un valore, pertanto è desiderato da qualcun altro, rappresenta ricchezza. Da notare subito una caratteristica della ricchezza, e cioè che è relativa. Infatti la caratteristica opposta alla ricchezza, è la povertà, definita anche il desiderio inappagato riferito a dei beni o servizi, disponibili però a qualcun altro. Pertanto, per esistere ricchezza di qualcuno, deve esistere povertà di qualcun altro. Ma parlando di beni concreti, materiali, le due condizioni, ricchezza e povertà si contrappongono anche se non specularmente in quanto ciò che è posseduto da uno può essere desiderato da molti, ma anche ciò che è posseduto da molti, esser desiderato da pochi. Comunque, un valore economico viene riconosciuto ad un qualsiasi bene se qualcuno è disposto a dare qualcosa per averlo, caratteristica che però può anche cambiare nel tempo, con l’evolversi dei desideri e delle possibilità delle persone. Parlando di beni è necessario anche fare una distinzione tra due categorie fondamentali di beni: quelli che per goderli si annullano, distruggono, spariscono , e quelli il cui godimento non intacca la loro natura. Del primo il tipico esempio è il cibo. Esso deve essere prodotto, scambiato, commercializzato, e quindi consumato. È uno di quei beni il cui “ciclo” tra la nascita e la morte è relativamente breve, a volte solo ore o giorni. Del secondo tipo un quadro, una abitazione. Un quadro lo si gode (di regola) guardandolo, pertanto non lo si consuma. La casa la si abita, pertanto , salve le manutenzioni, non la si consuma. Giornalmente, ogni comunità crea e distrugge beni, valore, pertanto il livello globale di ricchezza è continuamente variabile. Livello sia personale, che riflette sia la quantità che il valore ( peraltro variabile in funzione di molti parametri indipendenti da chi possiede il bene stesso) dei beni posseduti, sia a livello di gruppo, stato, nazione. Tanto per aver chiaro il concetto, ricordo che a livello superiore, il valore globale, non è la somma dei valori disponibili ai singoli componenti. E per ricordare questa particolarità ricorro sempre al grasso di tricheco, che avrà moltissimo valore all’interno delle comunità che popolano la Groenlandia, ma valore nullo al di fuori delle comunità del nord. Un bene particolare è il denaro. C’è chi dice che la gente ama il denaro. Io non sono d’accordo. Salvo eccezioni, come i numismatici o Paperon de’ Paperoni, la gente non ama il denaro in se, ma cosa il denaro può procurare. Abbiamo visto che il denaro è essenzialmente un mezzo per facilitare gli scambi dei beni e servizi, ma è anche vero che si accumula denaro, per almeno due ragioni. Perché si stanno accumulando risorse sufficienti per procurarsi un bene molto costoso, oppure per avere la certezza di poter far fronte a possibili inconvenienti di vita. Sia per una ragione che per l’altra tale denaro smette di circolare per essere tesaurizzato. Cosa danneggia di più il denaro è la sua eventuale perdita di valore, ovvero la diminuita possibilità di venire scambiato con altri beni. Ragion per cui, accumulare denaro, presenta il rischio di potere avere in cambio di esso, domani, meno di cosa potrei avere oggi. Abbiamo però visto che il denaro è anche una risorsa necessaria a chi abbia solo sul momento una possibilità di realizzare una propria aspirazione, ma non avere le risorse per farlo, oppure voglia intraprendere o aumentare la propria possibilità di creare dei beni o servizi, e pertanto sia disposto anche a pagare un prezzo per avere tale disponibilità. L’incontro tra chi ha accumulato denaro e chi lo richiede, porta eventualmente il primo a imprestarlo al secondo , dietro il pagamento di un interesse. L’ammontare di tale interesse è in genere valutato in modo che compensi almeno la perdita di valore del denaro stesso, il sacrificio di chi ha rinunciato a spenderlo, ed eventualmente anche il rischio di non riaverlo più indietro. Di regola però tale incontro non è mai diretto ma mediato dal sistema bancario, che funge da intermediario tra la domanda di denaro e l’offerta, pagando lei, banca, un interesse a chi vi deposita il denaro e facendo pagare un interesse, superiore , a chi lo richiede. Il funzionamento del sistema bancario non è però così semplice e sarà argomento di diversi scritti successivi. Ora però voglio concentrarmi sul concetto di ricchezza. Se il denaro è una delle possibili forme di ricchezza, vi sono beni che ne costituiscono altre forme, e sono quei tipi di beni che NON si consumano, o che al massimo degradano molto lentamente nel tempo. E si chiamano “investimenti”. Ho scritto in testi precedenti che, essendo il valore una caratteristica personale associata ad ogni bene da ogni individuo in un certo ambiente, esso è naturalmente variabile nel tempo. Pertanto il valore di un bene può aumentare ma anche diminuire nel tempo. Ecco quindi che la capacità di scegliere il tipo di bene in cui investire i propri risparmi è essenziale, per una persona, se vuole preservarne il valore. Come si è visto precedentemente, però, il valore di un bene è tanto più alto quanto tale bene è desiderato e da quanti più individui tendono a contenderselo. Più alta è la contesa in un certo momento, più il valore aumenterà, a prescindere da quale sia il suo prezzo o costo di produzione. Quando il valore commerciale cresce molto al di sopra del costo di produzione, si dice che si forma una bolla. La bolla quindi è quell’eccesso di valore che un bene acquista grazie solo alla contesa tra acquirenti, ovvero grazie alla sua scarsità in relazione alla richiesta. Da notare come tale richiesta sia generata dalla volontà più o meno razionale di una quantità elevata di individui di acquisire tale bene. Due fattori sono preponderanti in tale fenomeno: la pubblicità e l’avidità. La pubblicità crea il desiderio in molti individui per un certo bene, crea le mode, il fatto che molti individui desiderino una certa cosa, non perché realmente utile a loro stessi, ma per uniformarsi ai loro compagni, amici, fino a far diventare certi beni un elemento distintivo degli appartenenti a certi gruppi. L’avidità invece gioca un ruolo essenziale nella formazione delle bolle. Essendo le bolle aumenti rapidi del valore di un certo bene, spinge molti individui a procurarselo oggi per poterlo rivendere un domani ad un valore molto superiore, e quindi lucrare la differenza. È un gioco pericoloso, perché le bolle come si creano, si sgonfiano o peggio scoppiano, e la differenza sta solo nella velocità con cui, passata la moda o venendo a mancare la spinta dovuta all’avidità o alla sua carenza, il valore di tale bene si riposiziona sul suo costo di produzione. Più è salito il valore durante la bolla, e più disastrosa sarà la caduta, con l’annichilimento di capitali anche notevoli. Sono i ca
si in cui si dice che della ricchezza è stata “bruciata”, perché proprio come in un incendio, cessa di esistere senza lasciare traccia. Nel caso di investimenti per preservare il valore dei propri risparmi, se fa piacere vedere che il valore dei propri investimenti sale rapidamente, moltiplicandone il valore, è anche molto prudente, in tal caso, salvare in tempo i propri averi, vendendo e investendo in qualcosa d’altro, meno sotto speculazione. Riuscire a vendere quando il valore è ai massimi è un’arte di pochi, che richiede estrema conoscenza dei mercati e competenza nel trattare le compra/vendite. Chi non abbia tali caratteristiche, è molto meglio che rinunci anche a un po’ di guadagni, in cambio di una certa tranquillità, e pertanto non giochi i propri averi sui mercati speculativi. In questo campo se è vero che ci possono essere anche guadagni notevoli, essi sono proporzionati ai rischi di perdere anche tutto o quasi, rischio da non sottovalutare perché nella speculazione, guadagni e perdite si compensano sempre, magari in tempi diversi e su attori diversi, ma la speculazione non crea mai ricchezza stabile e duratura. Pochissimi eventi nella settimana che ha iniziato l’anno nuovo, e soprattutto di scarsissima rilevanza. Colgo l’occasione per consigliarvi la lettura di uno stupendo studio apparso su intermarcket&more il cui link è: http://intermarketandmore.finanza.com/distribuzione-ricchezza-sperequazione-economica-22097.html riguardante la distribuzione della ricchezza, cosa che commenterò nel mio prossimo scritto per cosa riguarda i riflessi di tale distribuzione sull’economia.
"per esistere ricchezza di qualcuno, deve esistere povertà di qualcun altro"
Verissimo, nell'opulento e selvaggio West. In altre culture molto meno. La parola miseria, ad esempio (estrema mancanza di merci e difficoltà a reperire i beni) non è una parola conosciuta in alcune lingue africane, parlate da persone che pure non se la passano troppo bene, almeno secondo i nostri opulenti standard.
Tutti poveri, nessun povero. Questa è anche l'esperienza della mia infanzia.
Mi piacerebbe poi che fosse sottolineata (qualora la distinzione fosse ritenuta sensata, ovviamente) la differenza tra beni e merci. L'utilità di tale distinzione la troviamo nei biocombustibili, merci necessarie al terziario prodotte tramite la trasformazione di beni essenziali come i cereali in oli combustibili per autotrazione.
L'umanità ha vissuto la maggior parte della propria esistenza in totale assenza di merci. Non potrebbe essere sopravvissuta in totale assenza di beni (acqua, cibo).
Il fatto di confondere le due cose porta a fenomeni come la morte per inedia di migliaia di persone all'anno, causa scarsi guadagni nel procurare loro del cibo. Anche il cibo, essendo equiparato a merce, viene spostato non dove c'è necessità ma dove ci sono soldi. TV a LED o riso, l'importante è che il commercio abbia il suo tornaconto. Questo è il leit motiv del nostro opulento West…
Caro Andrea,
le bolle si creano anche perché la legislazione si muove in un certo modo. Se una norma stabilisce che il TFR deve essere investito in borsa o che alternativamente ppuò essere ritirato o investito in borsa, stai sicuro che si verificherà una bolla dei titoli quotati. Se una norma stabilisce che la riserva obbligatoria, anziché del 25% deve essere del 4%, stai sicuro che le banche presteranno denaro ad un tasso più basso di quello che altrimenti avrebbero praticato e susciteranno richieste di mutui e quindi aumento della domanda e quindi aumento dei prezzi degli appartamenti. Se una norma abroga l'equo canone essa, tramite l'aumento dei canoni di locazione fa aumentare la domanda di appartamenti (e di mutui). Le bolle le crea anche il legislatore, perché domanda ed offerta si muovono dentro un quadro normativo. Se domani reintroduciamo l'equo canone, prevediamo sgravi fiscali per le rate di canone (e non per le rate di mutuo), stabiliamo che i mutui possono essere al massimo ventennali, e vietiamo l'intermediazione immobiliare, scommetti che i prezzi degli immobili scendono in sei mesi del 40%? E che le vendite si ridurranno al minimo (in attesa che cambi di nuovo la legge) e i proprietari che hanno bisogno di denaro saranno indotti ad affittare?
@ Tonguessy
“Verissimo, nell'opulento e selvaggio West……”
Anche qui ed ora. Mi rifaccio al concetto di ofelimità Paretiana, come di quella caratteristica, applicabile su ogni bene come un post-it, ad indicare che tale bene è desiderato da qualcuno.
Ora, delle due l’una. O non appartiene già a qualcuno, ed allora chi lo desidera se ne può appropriare, oppure appartiene a qualcun altro ed allora, eventualmente lo si potrà avere col consenso del suo attuale proprietario, magari offrendogli qualcosa d’altro in cambio.
Ma di qui scaturisce anche il concetto di valore, come ho già definito in post precedenti.
Dato che il valore esprime e cerca di quantizzare il concetto di desiderabilità, è ovvio che se un qualsiasi bene non è desiderato da qualcuno, come ad esempio la stufetta elettrica dalle tribù dell’africa equatoriale, per loro, quel bene non avrà alcun valore, mentre avrà valore per popoli del nord.
Guarda che per ricchezza, non ho inteso indicare quei beni desiderati da TUTTI, ma da QUALCUNO, perché è sufficiente che ci sia qualcuno disposto a dare qualcosa di suo in cambio, affinché esista un valore commerciale. (e commerciale vuol proprio indicare il fatto che possa dar vita ad un commercio, ovvero ad uno scambio).
Anche il discorso miseria, è relativo. Un americano senza automobile è un misero, soprattutto se abita fuori dalle grandi città, perché se vi hai vissuto per qualche tempo, saprai che i paesi sono molto estesi, senza praticamente mezzi pubblici, pertanto senza un mezzo personale, è difficile anche andare a fare la spesa, andare a lavorare (se un lavoro ce l’hai), ecc..
Un afghano senz’automobile è la normalità.
Poi, in una comunità di “poveri” non ci saranno invidie, ci sarà solidarietà, ecc… ma questo non vuol dire che, da qualche parte ci siano dei “ricchi” che lo sono grazie al fatto che ci sono quei poveri.
Può benissimo essere anche che essi non si sentano affatto poveri, avendo loro tutto quanto desiderano, ma vedi che anche Paperon de Paperoni, catapultato col suo deposito in mezzo a loro, smetterebbe di essere ricco, se a quegli individui non interessasse affatto il suo denaro e il suo oro, anzi, probabilmente sarebbe lui il povero, non sapendo cosa dare in cambio del cibo che gli occorrerebbe.
Per renderti conto di questa ovvietà, pensa ad un paese, isolato dal resto del mondo, in cui tutte le persone abbiano le identiche possibilità. Essi sarebbero tutti egualmente ricchi, o egualmente poveri.
Mi rendo conto che assumere questo concetto è moralmente scomodo, permette di godere un po’ meno del proprio benessere il pensare che esista tale contrapposizione, ma purtroppo è una realtà con cui dobbiamo fare i conti con la nostra coscienza e senso etico/morale.
Differenza tra beni e merci.
Un bene è tale se ha valore per qualcuno (qualcuno, nota bene, non tutti).
Se tale valore è solo individuale, sentimentale, allora non si può parlare di valore commerciale, perché per definizione tale è soltanto se in grado di generare un “commercio” ovvero uno scambio, per il quale è necessario che abbia valore anche per qualcuno altro, oltre al suo attuale proprietario.
Il proprietario di un bene può essere oppure no disposto a cederlo, ed eventualmente a che prezzo.
Nel momento in cui il proprietario manifesta tale sua disponibilità, il bene diventa una “merce”.
Poi una merce può essere acquistata oppure no, ma è la condizione di essere “vendibile” o meglio “cedibile in cambio di….” che trasforma un bene in una merce.
poi è anche vero che normalmente non chiamiamo merce una casa, abituati a pensare alle merci come qualcosa che paghi e porti via, ma la caratteristica è la stessa.
È perfetto quanto affermi : “Anche il cibo, essendo equiparato a merce….. “ il cibo E’ una merce quando lo acquisti, quando lo si scambia, ma diventa solo più un bene quando lo consumi, proprio perché se come merce lo hai acquistato, lo hai acquistato per rivenderlo, ed allora resta una merce, oppure lo hai acquistato per consumarlo ( e quindi non hai più alcuna intenzione di venderlo) e allora è solo più un bene.
Afferrata la differenza ?
@ Admin
Attenzione che nel mio ho affrontato per ora il problema “bolle” solo come eccesso di domanda rispetto all’offerta per SPECIFICI BENI. Quando l’eccesso di domanda rispetto all’offerta interessa una quantità di beni ( che in questo caso vanno chiamati merci) soprattutto di largo e comune uso e consumo, allora non siamo in presenza di bolle ma di inflazione.
Potremmo anche chiamare inflazione l’insieme di tante bolle che interessino i beni (merci) di largo consumo.
Non ho per ora esaminato LA CAUSA di tale eccesso di domanda se non come eccesso di liquidità destinata all’acquisto di tale bene. Che sia la moda, l’avidità, le leggi che spingono verso tali beni, o quant’altro, resta il fatto che una bolla si forma per tale ragione, innalza i prezzi, non per difficoltà di produzione ma per la legge della domanda e dell’offerta, e che vede la domanda prevalere di gran lunga sull’offerta accendendo la contesa e quindi elevandone i prezzi.
Ripeto, per ora mi ero limitato a descrivere la dinamica, non le cause.
Quando applichiamo il nostro lavoro ad un materiale e ne facciamo una cosa utile per il consumo, durevole o non durevole che sia, produciamo ricchezza. Se a consumare siamo noi stessi abbiamo prodotto un valore d'uso, non quantificabile. Se lo vogliamo vendere per procurarci altri beni che non sappiamo produrre, questo bene continua ad avere un valore d'uso ma a noi interesserà il valore di scambio, ovvero quanto otterremo, che di solito è misurabile con una unità monetaria, mezzo di scambio. Oggi il mezzo di scambio è diventato un fine. Non si dovrebbe chiamare investimento l'impiego di denaro a fini speculativi, perché la speculazione non è un'attività economica. Non ci sono più solo banchieri famelici, ma famiglie "normali" che sono diventate tanti Pinocchi. Piantano gli zecchini aspettando che cresca un albero. Investimento è l'impiego di capitale per realizzare un bene o un servizio che richiede l'utilizzo d risorse materiali, ma anche umane più o meno qualificate, e perciò una certa divisione del lavoro. Non è realistico pensare che si possa tornare ad un'economia di baratto pura e semplice. In un'ottica di decrescita non ci si può basare solo sul dono, ma valutare forme morali di scambio e di impiego della moneta. Se la moneta è mezzo non ha importanza che si chiami euro piuttosto che lira, o viceversa.
cari tutti
mi sono accorto di aver omesso, sino ad ora, una premessa imprtante per cosa riguarda le considerazioni che faccio.
io faccio cioè considerazioni economiche, tratto la materia economica, non quella ne umana ne morale, ne tantomeno religiosa.
da questo fatto deriva, per cosa riguarda lo scritto sopra, una considerazione importante sulla ricchezza e povertà, e cioè parlo comunque di entità economiche ch eabbiano potenzialmente qualcosa da scambiare e quindi da possedere.
il diseredato che muore di fame, è povero rispetto ai suoi bisogni primari, di sopravvivenza, ma non è una entità economica, è un caso umano.
il bambino, è analogamente un caso umano, ma fintantochè non assuma la responsabilità giuridica delle proprie azioni, di ogni tipo comprese quelle economiche, subiirà la patria podestà di qualcuno ch einvece ce l'ha.
anche se poi, tutto un mondo economico ruota attorno alle necessità o ai diletti dei bambini, comunque però, economicamente parlando, mediati dai genitori.
mi scuso con i lettori per non aver mai sottolineato questa avvertenza, che, almeno in questo caso, riveste una certa importanza.
“Verissimo, nell'opulento e selvaggio West……”
Anche qui ed ora. Mi rifaccio al concetto di ofelimità Paretiana, come di quella caratteristica, applicabile su ogni bene come un post-it, ad indicare che tale bene è desiderato da qualcuno.
Ora, delle due l’una. O non appartiene già a qualcuno, ed allora chi lo desidera se ne può appropriare, oppure appartiene a qualcun altro ed allora, eventualmente lo si potrà avere col consenso del suo attuale proprietario, magari offrendogli qualcosa d’altro in cambio.
West=Occidente, per chiarezza. Non necessariamente pionieri californiani quindi, dato che anche Arcore è sulla stessa lunghezza d'onda.
Le merci non sono necessariamente desiderate. Lo sono da qualcuno? Affari di qualcuno, direi. Non ho nessun desiderio di possedere un SUV, quindi non capisco la psicologia di quell'acquito o del desiderio relativo. Per quello che mi riguarda i venditori di SUV sarebbero già tutti morti di fame da un pezzo. Quindi non esistono solo le due possibilità mostrate, ma ne siste una terza: indifferenza.
Se invece parlavi di bene primario, la questione si complica un po'.
Beni e merci.
Sì, la conosco la differenza tra monetizzare un bene o usarlo e basta. Questo non cambia i connotati del bene, che resta primario per la sopravvivenza dell'individuo e delle persone in generale. Per questo credo bisognerebbe usare un po' di distinzione forte tra beni e merci. Senza merci gli industriali muoiono di fame (problemi loro), senza beni chiunque muore (problemi quindi anche nostri). Confondere beni e merci è stata un'operazione molto azzeccata da parte delle elites finanziarie, al fine di monetizzare tutto, anche ciò che serve per sopravvivere: perchè dovremmo cascarci in questo gioco? Cominciare a separare beni da merci significa mandare un segnale di intolleranza verso la monetarizzazione delle risorse indispensabili alla vita. Si facciano pagare un televisore il triplo, piuttosto.
@ daniela
ogni bene che decidiamo di poter scambiare diventa un mezzo per ottenere il bene per il quale lo scambiamo il cui possesso è il fine, l'obiettivo che desideriamo raggiungere.
dici :"Non si dovrebbe chiamare investimento l'impiego di denaro a fini speculativi, perché la speculazione non è un'attività economica. "
dal Devoto -Oli ricavo la definizione di
investimento = impiego di una somma di denaro in un'impresa o nell'acquisto di valori.
mi scuso se uso , in caso di contestazione, il dizionario, ma dato che la lingua è una convenzione, il significato delle parole, salvo eccezioni dichiarate, deve far riferimento a tale convenzione certificata dal dizionario.
come vedi nel caso dell'investimento non viene specificato se speculativo o no. questo lo dovrebbe dedurre chi lo fa, visto che ci mette il frutto dei propri sacrifici, considerando che, se un investimento garantisce alti guadagni, avrà anche alti rischi, e questa regola anche il contadino più sprovveduto la conosce.
il tipo di investimento che descivi tu è quello etico, morale, buono e produttivo non solo per chi lo fa ma anche per coloro che direttamente o indirettamente ne vengono coinvolti, ma purtroppo, come ci sono uomini buoni e uomini meno buoni, così è per tutto, anch eper gli "investimenti".
per il resto sono d'accordo.
@ Tonguessy
"Le merci non sono necessariamente desiderate." non riesco a capire quale punto del mio ragionamento contesti.
quanto affermo è : "un bene commerciale (quindi non personale o sentimentale) è tale se desiderato almeno da qualcuno. QUESTO fatto conferisce a tale bene la proprietà di avere un valore economico, ovvero di scambio. basta che un individuo lo desideri, ed esso assume la caratteristica del bene commerciale, perchè potenzialmente può generare uno scambio.
su questo sei d'accordo ?
poi possono esserci moltitudini disposte anch ea offrire tutti i loro averi, per poter disporre di quel bene, oppure esserci solo un individuo, ma il fatto resta che esiste una "richiesta" di tale bene, del quale l'attuale possessore può decidere se a qualche condizione potrebbe cederlo, e allora diventa ANCHE una merce,oppure dichiarare l asua indisponibilità a cederlo e allora resta SOLO un bene.
se venisse a mancare la richiesta, ovvero più nessuno lo desiderasse, se nessuno fosse disposto a dare qualcosa in cambio per averlo, allora cesserebbe anche di essere un bene economicamente parlando.
sei d'accordo o no anche su questo ?
poi dici:
"Sì, la conosco la differenza tra monetizzare un bene o usarlo e basta".
attenzione ch eusi la parola "monetizzare" che descrive lo stadio successivo al dichiarare la disponibilità a cedere tale bene, disponibilità che lo trasforma da bene in merce.
monetizzare vuol dire scambiare un bene in cambio di denaro, ovvero vendere.
mentre in merce si trasforma dichiarando una disponibilità da parte del proprietario, l amonetizzazione prevede che ci sia già stata anche la vendita.
ti sembrerò eccessivamente pignolo, sull'uso delle parole, ma se non ci si mette d'accordo sul loro significato, è difficile capirsi.
attenzione che poi ci sono beni che in una qualche misura sono necessari alla sopravvivenza, ed altri che in alcuna misura lo sono.
d'accordo con te che si possono definire primari quelli legati alla sopravvivenza.
ma questo non altera la distinzione tra merce ( che è un bene offerto in vendita) e "bene" che è qualsiasi cosa che sia desiderato da qualcuno diverso dal proprietario.
e questo a prescindere dal fatto che serva o no alla sopravvivenza di qualcuno.
che poi delle forze economiche abbiano addirittura causato scarsità di beni necessari alla sopravvivenza di individui per alzarne il prezzo, che si facciano giochi speculativi anche su beni come medicinali o cibo, per lucrarci dei guadagni a scapito di povera gente, per quanto abominevole, non inficia la definizione delle componenti delle regole economiche. al massimo , si può esser d'accordo che chi fa simili azioni merita la galera e anche peggio
un'altra considerazione, sul discorso ricchezza/povertà è da fare sul "rispetto a cosa?"
in una comunità dove il cibo sia scarso, è ricco colui che mangia a sazietà, povero colui che ha fame, sempre che chi ha fame desideri mangiare di più.
come nell'esempio fatto del paese isolato in cui tutti hanno eguali risorse, non vi sono ne ricchi ne poveri, oppure sono tutti egualmente ricchi e poveri simultaneamente, ecco che emerge bene qual è il riferimento, ovvero quella disponibilità che renderebbe tutti uguali. tale condizione però non è sufficente per dire che chi ne ha di più è ricco e chi ne ha di meno è povero, perchè l'altra condizione necessaria, è che chi ne ha di meno desideri averne di più.
essendo il desiderio inappagato di qualcuno la condizione per dare valore a ciò che possiede qualcun altro, se anche nella situazione di minori disponibilità non nascesse in tali individui il desiderio di possedere di più, chi lo possiede avrebbe un qualcosa senza valore economico.
in un mondo globalizzato, dove la conoscenza dei tipi di merci disponibili esula dal ristretto campo locale, siamo indotti a pensare che ciò che desideriamo sia disponibile, se non nelle immediate vicinanze, da qualche altra parte del globo.
e che pertanto sia solo una questione di prezzo.
in una comunità più ristretta, eventualmente isolata, questi concetti sono più facili da acquisire, proprio perchè le richieste e le disponibilità si riducono in ambiti conoscibili perfettamente da tutti.
e faccio un esempio per chiarire. ipotizziamo la solita comunità isolata. io desidero delle fragole a dicembre. il mio desiderio, umanamente accettabile, non ha alcuna valenza economica, perchè di fragole non ce ne sono. potrei anche esser disposto a dare in cambio tutti i miei averi, per una fragola, ,ma se non c'è, non c'è e quindi lo scambio è impossibile.
se la comunità non è invece isolata, io potrò pensare che quella fragola che desidero, da qualche parte del globo (ed internet potrebbe aiutarmi a trovare dove) sia disponibile, e quindi l'appagare il mio desiderio diventa soltanto una questione di prezzo.
Investimento è parola di uso comune che ha il significato che tu, Andrea, le dai. In economia però, posto che un reddito prodotto può essere consumato o risparmiato, se viene risparmiato può rimanere inerte, se viene investito significa che viene utilizzato per produrre altra merce, materiale o immateriale, bene o servizio che sia. Speculare, a mio modo di vedere comporta un trasferimento di ricchezza da una tasca ad un'altra per effetto della variazione dei prezzi delle cose, in assenza di un'attività economica, cioè di un processo produttivo, che comincia con le risorse (input) e termina con una merce (output), tramite il quale il lavoro determina un valore aggiunto a quelle risorse. Il valore delle cose non è dato solo soggettivamente dalla utilità che le persone vi attribuiscono e dalla desiderabilità, ma anche obiettivamente da ciò che è stato impiegato per produrle. La domanda e l'offerta, secondo i liberisti è in grado di stabilire l'equilibrio ottimale tramite la concorrenza e l'assenza di vincoli. Se si volesse abbandonare il mercato globalizzato che permette di domandare tutto in ogni stagione, e ci si legasse maggiormente al luogo in cui si vive per gran parte dei consumi necessari, certamente il mercato si ridurrebbe ma, sono d'accordo, senza troppi sacrifici per i soggetti di quella comunità.
Un "bene" è qualsiasi cosa che sia desiderato da qualcuno diverso dal proprietario e questo a prescindere dal fatto che serva o no alla sopravvivenza di qualcuno.
Mi sembra questo l'elemento da chiarire. Ritengo che sia necessario distinguere beni primari, indispensabili alla sopravvivenza, dalle merci. Un bene primario non è desiderato ma necessario, indispensabile. Appartiene cioè ad una categoria più rilevante di parecchi ordini di importanza rispetto ad una merce. Se il bambino piange perchè non ha il giochino elettronico è una cosa, ma se piange perchè non ha da mangiare è tutt'altra storia.
Credo dovremmo tutti impegnarci a rifocillare il secondo e, semmai, a consolare a far ragionare i primo. Viceversa con tali deboli distinzioni corriamo il rischio di lasciare un varco aperto nelle nostre posizioni politico/filosofiche.
Per me questo aspetto è essenziale: ci vuole un muro di acciaio capace di frantumare qualsiasi tentativo di confondere la sopravvivenza con la speculazione.
che poi delle forze economiche abbiano addirittura causato scarsità di beni necessari alla sopravvivenza di individui per alzarne il prezzo… per quanto abominevole, non inficia la definizione delle componenti delle regole economiche.
Se le regole economiche sono queste, e se le regole (Nomos) sono solo convenzioni tra persone e popoli, perchè dovremmo accettarle, dato che siamo d'accordo sul fatto che sono abominevoli? Perchè invece non potremmo cominciare a porre delle basi differenti, in cui l'abominio non può più attecchire? La mia proposta è definire in modo sostanzialmente diverso beni indispensabili da merci voluttuarie, così come distinguiamo l'assassino dal proboviro.
@ Tonguessy
dici:
"Mi sembra questo l'elemento da chiarire. Ritengo che sia necessario distinguere beni primari, indispensabili alla sopravvivenza, dalle merci. Un bene primario non è desiderato ma necessario…."
lascio per ora il discorso "merce" al quale credo tu stia dando un significato sicuramente diverso dal mio, ovvero "beni NON indispensabili alla sopravvivenza".
mi sembra poi che tu dia anche un senso un po' strano alla parola "desiderare".
per cui ricorro , come al solito al mio fido Devoto-Oli
desiderare = proporsi di ottenere qualcosa per appagare le proprie esigenze o i propri gusti.
come vedi non fa distinzione se la cosa desiderata sia vitale o no, al massimo,volendo estremizzare, si potrebbe accettare un "assolutamente necessario" che però, ancora, non implica vitale. anche un telefonino, per qualcuno potrebbe essere "assolutamente necessario".
pertanto la distinzione che fai, non vale se riferita ai desideri, devi probabilmente cambiare parole. se parli di beni primari e beni accessori, allora sono d'accordo con te, che sarebbe opportuno che almeno quelli primari fossero garantiti ad ogni individuo, benchè entrambi possano essere a loro volta "merci".
poi :
merce = bene economico trasportabile, in quanto OGGETTO DI SCAMBIO COMMERCIALE.
questa definizione, corregge anche me, in quanto una casa non la si può considerare merce, in quanto non trasportabile,( e infatti la avevo inclusa con riserva) ma ho evidenziato "oggetto di scambio commerciale".
e quand'è che diventa tale ? quando il proprietario dichiara di esser disposto a cederlo, a venderlo. solo allora un eventuale scambio può avvenire ( sempre che si escluda la violenza).
continuo a scusarmi per la mia pignoleria verso l'uso di certe parole, ma dato che hanno un significato ben preciso, non si può, se si vuole comunicare correttamente, prescindere da esso.
@ Daniela
scusami se non ti avevo vista, probabilmente stavo rispondendo a tonguessy.
Dici :” …. se viene investito significa che viene utilizzato per produrre altra merce, materiale o immateriale, bene o servizio che sia …..”
No Daniela, io posso investire in un quadro, o in un francobollo … il significato di “investire” è più legato all’aspettativa del ritorno che può avere chi investe, che non dalla natura della destinazione di quel denaro.
Se investo in una produzione, mi aspetto che tale produzione ricompensi il capitale (oltre al lavoro) e quindi di qui l’aspettativa del ritorno, ma essa può derivare anche solo dall’aspettativa di un aumento di valore.
È l’aspettativa d quest’ultima situazione che identifica l’investimento di carattere speculativo.
Un investimento che non crea nulla, ma dà un ritorno grazie all’aumento di valore del bene.
Per il resto lasciamo perdere i liberisti, che si ricordano di esserlo quando c’è da dividere gli utili, ma si dimenticano non appena insorgono perdite.
Rimango della mia idea. Acquistrare un quadro come acquistare un'automobile, un giocattolo per il figlio o un chilo di farina sono tutti atti di consumo di beni o merci diversamente classificabili, se a farli sono privati, consumatori finali. Se un panettiere aumenta le scorte di farina per fare pane, fa un investimento, tanto quanto se decidesse di usare il capitale per acquistare una macchina impastatrice o assumesse un lavoratore in più. Sono d'accordo con te, Andrea, quando dici che occorre essere un po' pignoli nell'uso delle parole. Lo faccio anch'io perché solo così possiamo avere un terreno comune sul quale intenderci, non per sterile polemica. Del resto mi sembra questa la finalità delle tue lezioni. Sono d'accordo quando dici che sono beni sia quelli che soddisfano un bisogno primario sia quelli che soddisfano un bisogno di lusso se sono desiderati e se sono in commercio, aggiungo io. E' la comunità che dovrebbe porre delle regole per porre delle priorità quando il mercato perde troppo di vista l'equa distribuzione delle risorse e la scarsità delle stesse. Una comunità non dovrebbe vivere al di sopra delle sue possibilità indebitandosi senza freno pur di possedere.
Anche oggi – durante una breve pausa dal lavoro – vi lascio qualche considerazione, sperando sia gradita:
1) distinzione – che l'autore non esplicita, ma considera – tra valore di scambio e valore d'uso: non è vero che un bene non desiderato dagli altri non ha valore, esso, casomai, non avrà valore di scambio ovvero non sarà utile a procurarci altri beni; ove possa oggettivamente essere consumato (ad es. cibo) avrà un valore d'uso superiore a 0, convenzionalmente conteggiabile nel costo di produzione (forma di scambio surrettizia, peraltro);
2) definizione di investimento: più che definire investimento ciò che non si consuma o non si consuma in breve tempo, definirei investimento la spesa finalizzata (ex-ante) alla produzione di nuovo reddito e quindi all'accumulazione di nuova ricchezza; anche qui l'entità reddito (e l'incremento di ricchezza conseguente) va valutato in ragione del valore d'uso o di scambio delle utilità prodotte dall'investimento; ciò premesso è investimento non ciò che non si consuma immediatamente, ma ciò che produce utilità, reddito, ricchezza maggiori rispetto alla spesa sostenuta secondo una valutazione ex-ante (la valutazione ex-post consentirà di attribuire all'investimento la qualità di investimento giusto o sbagliato);
3) relatività del concetto di ricchezza: quanto afferma l'autore è senz'altro vero; mi permetto tuttavia di segnalare che la fondatezza dell'affermazione è riscontrabile solo su un piano "emotivo"; in altre parole è incontestabilmente vero che ci si sente più ricchi o più poveri in virtù di un paragone con gli altri, come è anche vero che tale "sentimento" viene oggettivizzato dal fenomeno inflattivo (se siamo tutti ricchi i beni costeranno tendenzialmente di più e torneremo ad essere meno ricchi) e tuttavia occorre segnalare che sul piano reale la ricchezza è misurabile in maniera oggettiva indipendentemente dai paragoni (ad es. conteggiando il numero di pasti settimanali che includono la carne, il numero di vestiti disponibili, la distanza dalle fonti d'acqua, l'aspettativa di vita ecc. e registrandone l'incremento o il decremento nel tempo);
4) la speculazione non è un male in sè, anzi il termine speculazione – fuori dall'ambito filosofico – è del tutto privo di significato poichè associa una serie di fenomeni differenti tra loro solo in base al "sintomo" dell'incremento dei prezzi oltre una misura ritenuta tollerabile;
ciao
lucio
@ DANIELA
non mi pare ci sia discordanza tra cosa affermi tu e cosa ho scritto io .
"il significato di “investire” è più legato all’aspettativa del ritorno che può avere chi investe, che non dalla natura della destinazione di quel denaro".
e tu dici
"Se un panettiere aumenta le scorte di farina per fare pane, fa un investimento,"
se il panettiere fa scorta di farina io, e nemmeno tu, pensiamo che lo faccia per buttare i soldi o la farina. lo farà per risparmiare tempo, o perchè prevede che la farina aumenti, o comunque per qualsiasi ragione che pensia gli possa portare un vantaggio.
e questo vantaggio non è forse una "aspettativa di un ritorno"?
mentre quando dici:
"se sono in commercio, aggiungo io."
allora non sono d'accordo, in quanto un bene è anche ciò che non è in commercio, ad esempio il quadro della Gioconda.
se invece è in commercio, ovvero "acquistabile" tale bene diventa una "merce", ed è questa lapiccola differenza che distingue il "bene" dalla "merce"
@ LUCIO
1) la distinzione tra valore di scambio e valore d'uso la puoi dedurre bene da un esempio del tipo: quanto vale un salvagente.
valore di scambio è il valore compreso tra il valore che l'oggetto ha per il venditore (minore) ed il valore che ha per l'acquirente (maggiore).
il valore di scambio è quello a cui i due si accordano per fare lo scambio e sarà sicuramente compreso tra questi due limiti. se non lo fosse uno dei due rifiuterebbe lo scambio.
il valore d'uso è quello che acquisisce il bene nell'occasione considerata quindi in un certo ambiente , tempo, occasione, ecc… e che può essere anche molto superiore o inferiore al prezzo pagato, ovvero al valore di scambio.
2) penso che la risposta data a Daniela, sia esaustiva.
3) se pensi che una delle definizioni di denaro è "unità di misura del valore" allora possiamo dire che la ricchezza, ovvero tutto ciò in nostra disponibilità, che è anche desiderata da qualcun altro, per il fatto di esser desiderata ha un valore (vedi definizione) e quindi misurabile con la sua unità di misura, ovvero il denaro.
4) direi che la speculazione è l'azione intesa ad avere un ritorno cospicuo da un investimento in tempi brevi, in genere inteso non come uso del bene ma come differenza tra l'acquisto e la vendita. Quando la speculazione è CAUSA di una alterazione del prezzo, segnala al mercato che la quantità di tale bene è scarsa rispetto alla domanda, e questo fatto, se di modesta entità, è sicuramente un bene, essendo un preciso indicatore alla produzione.
se invece, esso punta o a monopolizzare un bene per accrescerne il prezzo, diventa addirittura un reato che si chiama aggiottaggio.
anche e comunque il fatto che provochi aumenti troppo consistenti, che si riducono poi di colpo come il mercato comprenda che l'eventuale produzione è aumentata, o comunque la causa che ha fatto rilevare la scarsità è cessata, provocando così forti oscillazioni dei prezzi, resta comunque negativa, per tutte le conseguenze che tale aumento provoca nel mercato.