Lucio Russo e Massimo Bontempelli: Il futuro della scuola italiana
Intervista risalente al 2000, a cura di Francesco Labonia (rivista Indipendenza) e Nello de Bellis (associazione culturale Punto Rosso di Salerno)
Fonte: www.rivistaindipendenza.org
Innanzitutto, per dare un senso il più preciso possibile ai contenuti di questo nostro dialogo, sarebbe necessario che tu richiamassi -tratteggiandoli sinteticamente- gli aspetti salienti della riforma Berlinguer, prima di sottoporli ad una riflessione critica.
RUSSO – L’aspetto essenziale del processo di riforma in atto consiste, a mio parere, nel drastico abbassamento del livello culturale della scuola. Si tratta del risultato di più linee di intervento convergenti. Le principali consistono nella riduzione degli anni di scolarità, nella tendenziale eliminazione dei contenuti disciplinari (realizzata soprattutto comprimendo le ore specifiche delle discipline a vantaggio di “progetti” di varia natura) e nell’abbassamento della preparazione professionale dei docenti. Probabilmente l’ultimo punto è il più importante.
L’abbassamento del livello culturale dei docenti è stato perseguito già da decenni, in particolare attraverso la riduzione del salario reale e le immissioni in ruolo senza concorso. Adesso a questi due strumenti, che continueranno ad essere usati, se ne aggiungerà un terzo: il reclutamento di docenti dotati di sola laurea breve. Per dare un ‘idea di quale sarà il livello culturale dei futuri insegnanti, si può ricordare che il principale obiettivo previsto dai recenti “decreti d’area” per i futuri laureati in lettere è una conoscenza “elementare ma solida” della lingua italiana.
È vero che dopo una “laurea” conseguita in tre anni e senza tesi gli aspiranti insegnanti dovranno frequentare una scuola di specializzazione, ma vi sono fondati motivi per ritenere che tali scuole, gestite quasi ovunque da pedagogisti, non si cureranno se non marginalmente degli specifici contenuti disciplinari e si concentreranno sulla funzione di “animatori” e “socializzatori” dei futuri docenti.
In un tuo libro, Segmenti e bastoncini, sostieni che i “segmenti” (intesi come apparati logico-concettuali indispensabili per la comprensione critica della realtà) sono in via di eliminazione dalla scuola, nella quale si parlerà solo di “bastoncini” (riducendo l’insegnamento ad istruzioni necessarie all’uso delle merci). Sottolinei inoltre e inviti a prestare attenzione al nesso tra la natura di questo tipo di riforma scolastica e la riorganizzazione della produzione su scala mondiale, in atto peraltro da alcuni decenni. Puoi circostanziare quei concetti e precisare questo nesso?
RUSSO – Vorrei innanzitutto precisare, a scanso di equivoci, che non voglio affatto suggerire l’idea di un “complotto” del capitale internazionale contro la scuola italiana. Voglio solo riferirmi a dei processi oggettivi. È un fatto che quasi tutte le produzioni ad alto contenuto tecnologico hanno abbandonato l’Italia e che la maggior parte delle multinazionali sono presenti in Italia solo con strutture commerciali. In questa situazione molte aziende sono interessate alla scuola come mercato per i propri prodotti e come luogo di formazione dei propri clienti, e molto meno alla sua funzione di formazione dei futuri lavoratori.
Sono quindi in molti casi le richieste oggettive del mondo esterno alla scuola a spingere verso la trasformazione da una “scuola per produttori” a una “scuola per consumatori”. Lo stesso processo avviene del resto in gran parte del mondo, come effetto della concentrazione della produzione (e anche delle attività del terziario), che riduce la richiesta di competenze reali ad un numero così piccolo di persone da privare la scuola di massa dal suo ruolo di formazione di competenze.
In tuoi recenti interventi hai sostenuto l’esistenza di un preciso rapporto tra l’attuale processo di riforma della scuola e il pensiero unico che riconduce ogni aspetto della società al criterio economico capitalistico. Cosa puoi aggiungere al riguardo?
BONTEMPELLI – Ritengo che la chiave interpretativa degli interventi politici sulle istituzioni sociali sia oggi quello che io chiamo totalitarismo neoliberista. Si tratta di un liberismo di tipo nuovo, perché coniuga l’assenza di intervento dello Stato ogni volta che occorrerebbe porre limiti alla ricerca sfrenata di profitto con un intervento dello Stato molto articolato e costoso a sostegno della redditività d’impresa. Si tratta inoltre di una forma di totalitarismo, perché non c’è aspetto della società che venga lasciato ad una logica diversa da quella di una subordinazione generale alle esigenze del profitto.
La sinistra è oggi la forza che con più efficacia impone il totalitarismo neoliberista. Il processo attuale di riforma della scuola si inscrive in questo totalitarismo. Abbandonata, infatti, l’idea di un’educazione intesa come trasmissione di saperi e di valori adatti a formare l’autonomia critica del cittadino, si impone una formazione scolastica costituita da una generica socializzazione, priva di supporti concettuali, che sia in grado di adattare flessibilmente l’individuo alla produzione e al consumo.
Uno degli spunti più suggestivi della tua analisi è l’individuazione della riforma scolastica come manifestazione di nichilismo inconsapevole. Puoi meglio precisare?
BONTEMPELLI – Viviamo in una società che, sottomessa ormai integralmente alla dinamica di accumulazione del plusvalore, non ha più alcuna finalità etica, e non è proiettata alla trasmissione di niente di essenziale, come se non avesse né radici né futuro. Questo è un orizzonte compiutamente nichilistico, di cui la riforma della scuola di Berlinguer è la filiazione inconsapevole. Questa riforma non ha neanche provato, infatti, a definire un asse culturale attorno a cui la scuola debba organizzarsi, e valori imprescindibili da trasmettere.
Lo spostamento dell’accento dai contenuti alle metodologie più astratte e fumose, con lo spazio dato a quei veri e propri sapienti del nulla che sono i pedagogisti, mostra chiaramente l’impianto nichilistico dell’impresa. Non a caso gli insegnanti vengono coinvolti sempre più in attività gestionali e organizzative, trasformati in semplici animatori, incoraggiati ad attività di pura immagine e a defatiganti verbalismi degli innumerevoli documenti che sono chiamati a stendere. Tutto per distrarli dall’educazione, dallo studio, dalla cultura, dall’ancoraggio ad una solida preparazione teorica. Non più intellettuali ma operatori scolastici; non più educatori ma attivisti ed animatori: ecco il nichilismo.
Questione scolastica, trasmissione del sapere e questione nazionale sono connesse?
BONTEMPELLI – Strettissimamente connesse. La questione scolastica è questione di scelta dei saperi e dei valori che meritano di venire trasmessi da una generazione all’altra. Tale scelta, per essere sensata e culturalmente efficace, non deve avere nulla di arbitrario e di soggettivo, ma deve essere radicata in un patrimonio culturale ed etico collettivo. La nazione è il deposito di tale patrimonio.
Senza una valorizzazione dell’identità nazionale, quindi, la scuola non può venire ancorata ad un coerente asse culturale, e la trasmissione dei saperi e dei valori si disperde. Uno degli aspetti più sciagurati della riforma di Berlinguer è la demolizione, attraverso la cosiddetta autonomia, del carattere nazionale della istituzione scolastica. L’autonomia scolastica voluta da Berlinguer è solo apparentemente promozione di iniziative decentralizzate: non si spiegherebbe altrimenti come essa sia affidata a burocrati statali, quali i presidi, che devono rispondere in maniera asfissiante alla gerarchia amministrativa, e sia stata accompagnata da un diluvio di prescrizioni agli insegnanti.
Quel che essa è realmente è la rinuncia a un’idea nazionale di scuola, e l’affidamento della cosiddetta offerta formativa all’arbitrio dei singoli istituti, inevitabilmente condizionati dalle sollecitazioni più contingenti e più legati all’odierna dittatura dell’economia e della merce.
L’americanizzazione della scuola secondaria superiore è basata sull’idea di una scuola fai-da-te e soprattutto sull’estensione applicativa del modello fornito dall’impresa al progetto educativo stesso, con annessa produzione in serie di individui altamente manipolabili. Tu leghi strettamente questo processo che hai definito di “deconcettualizzazione dell’insegnamento” (con ripercussioni in termini di impoverimento delle intelligenze e quindi della nazione stessa) al processo di denazionalizzazione della scuola, di cancellazione dell’identità culturale che sono gli imperativi ideologici della cosiddetta globalizzazione, in realtà una rimondializzazione capitalistica. Puoi sviluppare meglio questo passaggio?
RUSSO – Mi sembra che l’abbassamento del livello culturale della scuola sia strettamente legato in vari modi al processo in atto di globalizzazione. Innanzitutto, come abbiamo già notato, la concentrazione della produzione abbassa la richiesta di competenze diffuse. Inoltre gran parte della cultura è strettamente legata alle varie identità nazionali e quindi l’eliminazione dello studio di discipline quali la storia, la storia della letteratura o la storia dell’arte può dare un’importante contributo ad omogeneizzare il pianeta. Anche in questo caso spesso non si tratta di una scelta consapevole.
Molti accettano come positivo il processo di globalizzazione solo perché, vedendolo in atto, lo identificano con il “futuro”, che a sua volta, per lunga consuetudine, è identificato automaticamente con il “bene”. Ne deducono che tutte le caratteristiche culturali nazionali vanno eliminate, in quanto rappresentano “il passato”. Molti sono confusi dal fatto che la cancellazione delle culture nazionali è presentata come “multiculturalismo” e come accettazione della “diversità”. In realtà il processo tende proprio a distruggere le diversità, sostituendo le diverse culture con un’unica miscela indifferenziata, ottenuta sovrapponendo gli aspetti più banali e “commerciabili” delle diverse tradizioni culturali.
Poiché si tratta di un processo in gran parte già portato a compimento negli USA, la realizzazione di questo gigantesco “omogeneizzato culturale” si presenta in larga misura come un processo di americanizzazione. Si tratta naturalmente di un processo utile per realizzare grosse economie di scala in settori come l’editoria e soprattutto i nuovi media, ma che trascende largamente gli aspetti puramente economici.
Va sottolineato che le tendenze in atto presentano importanti aspetti contraddittori. In particolare l’americanizzazione della scuola europea ed asiatica finirebbe col privare i centri di eccellenza degli USA delle loro fonti di importazione di cervelli, che sono stati sempre i paesi con scuole secondarie non ancora americanizzate. Ciò che si rischia non è quindi di allargare a livello mondiale il modello americano, ma piuttosto di distruggere aspetti essenziali del modello nella sua stessa madrepatria.
Come valuti il fatto che l’interlocutore privilegiato delle oligarchie finanziarie transnazionali, ed esecutore ideale -anche nel campo della riforma della scuola- dell’attuazione di passaggi funzionali al totalitarismo neoliberista, sia in questa fase la sinistra?
RUSSO – Non credo che esista più oggi una “sinistra”. Su tutte le questioni più importanti, mi sembra, le divisioni sono trasversali rispetto ai vecchi schieramenti. In molti casi, come in quello della scuola, lo schieramento oggi al governo ha un programma sostanzialmente coincidente con quello che avrebbe un governo cosiddetto di “destra”, con la differenza che non dovendo preoccuparsi troppo dell’opposizione “di sinistra” le possibilità di realizzare il programma che fu impedito, ad esempio, a D’Onofrio, sono ben maggiori.
D’altra parte esiste un’opposizione nascente alla diffusione del modello “aziendalista” nella scuola in vari ambienti, che vanno da buona parte di Rifondazione Comunista a settori della destra, a molti ambienti cattolici. Finora l’enfasi data al problema della cosiddetta “parità scolastica”, riproponendo vecchie contrapposizioni, ha avuto un ruolo importante nell’impedire la costituzione di un’unica opposizione al disegno governativo sulla scuola.
Dopo l’imminente distruzione del vecchio “liceo europeo”, sintesi creativa della cultura illuministica e romantica, in che modo è possibile la trasmissione di un sapere critico?
BONTEMPELLI – Credo che ci stiamo avviando ad una catastrofe culturale per le nuove generazioni. Esse hanno trovato fino ad ora una scuola spesso arida, astratta, incapace di far interagire il sapere trasmesso con la loro esperienza di vita. D’ora in poi troveranno una scuola ancora peggiore, in cui non incontreranno affatto un sapere strutturato capace di fornire un orientamento razionale ed etico nel mondo. Il sapere critico sarà d’ora in poi affidato soltanto a nuclei di resistenza intellettuale, dentro e fuori la scuola.
Ciò di cui oggi c’è bisogno, e purtroppo gravissima mancanza, è un atteggiamento morale e pratico di resistenza all’omologazione nell’impoverimento culturale. La parola-chiave, rispetto alla devastazione umana promossa dalla società mercantile, e dalla sinistra politica, che ne agevola in ogni modo la diffusione, è: resistenza antropologica.
Alla luce di quanto detto, cosa ritieni si debba e si possa fare -nella scuola e fuori- per opporsi a questa dinamica? Puoi in sintesi sviluppare proposte per un possibile progetto di una seria riforma della scuola? Chi, cosa e come, insomma?
RUSSO – Spero di essere smentito dai fatti, ma non credo che oggi una “seria riforma della scuola” avrebbe alcuna possibilità di essere approvata. In questa situazione mi sembrano utili due strade. La prima è quella dell’elaborazione culturale. Tra le cause dell’attuale situazione di degrado vi è infatti, al primo posto, un vuoto culturale reale. Se il ministro ha scelto di privilegiare la distruzione dei contenuti disciplinari, non l’ha fatto per una sua particolare insipienza, ma semplicemente perché si tratta di posizioni alla moda, che hanno già vinto sia tra i pedagogisti, sia, più in generale, nell’ambito accademico e che, per i motivi già accennati, non hanno trovato una seria resistenza nel mondo delle imprese.
Occorre quindi riprendere un dibattito serio sui contenuti culturali che vogliamo siano trasmessi alle prossime generazioni: un dibattito che costituisce una parte essenziale del generale dibattito culturale, al quale è essenziale che partecipino non solo gli intellettuali, ma anche gli esponenti delle professioni e delle imprese. Un’altra strada, che credo debba essere percorsa parallelamente alla prima, può consistere nel formare qualche forma di coordinamento tra docenti e scuole impegnati a difendere la serietà degli studi. Penso a un’associazione trasversale rispetto agli attuali schieramenti politici, senza finalità sindacali, basata sull’accettazione di pochi punti caratterizzanti: essenzialmente la difesa di una funzione della scuola non subalterna rispetto al mercato, la scelta di privilegiare i contenuti disciplinari sulle forme della comunicazione e la difesa della razionalità e delle diverse identità culturali.
Una tale associazione potrebbe dar vita ad un organismo libero con funzioni di proposta, di consulenza e di valutazione sui programmi di insegnamento, quella che viene oggi detta l'”offerta formativa” delle singole scuole, i corsi di aggiornamento per gli insegnanti e, più in generale, tutti gli argomenti riguardanti i contenuti dell’insegnamento. In altri termini, poiché credo che la tendenza in atto non sia invertibile in tempi brevi, occorre preparare il futuro con la discussione teorica e possibilmente aiutando la costituzione di isole di sopravvivenza delle competenze.
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