Il paradigma mediterraneo
di GEMINELLO PRETEROSSI (Università di Salerno)
Il volume curato da Danilo Zolo e Ferhat Horchani [Mediterraneo – Un dialogo fra le due sponde, ed. Jouvence, 2005, ndr] rappresenta un esempio efficace di ciò che può significare, al di là di ogni retorica, il dialogo tra culture, e di quanto prezioso possa essere tale approccio in una stagione di tristi riduzionismi e usi politici del concetto di civiltà sì caricaturali (soprattutto in Italia), ma non per questo meno pericolosi.
Danilo Zolo, sintetizzando i temi di una battaglia culturale meritoria che combatte da diversi anni, punta sul nesso forte tra dialogo serio (ovvero seriamente ‘reciproco’, non ‘occidentalizzato’ a priori), Mediterraneo e modernizzazione per individuare il terreno cruciale, ma anche problematico, di una politica alternativa al ‘globalismo occidentale’. La ‘ritorsione globale’ perseguita dopo l’11 settembre dagli Stati Uniti rischia di produrre, tra i suoi vari effetti polemogeni e distruttivi, l’isolamento e l’espulsione dell’area culturale islamica tout court dalla civiltà moderna. Ciò, peraltro, in piena coerenza con quel disegno globalistico che mira ad appiattire il pluriverso politico-culturale del mondo sul paradigma mass-mediatico occidentale, azzerando differenze e resistenze.
Americanizzazione dell’Occidente e occidentalizzazione del mondo sembrano convergere. L’Europa in tale contesto si trova in una condizione paradossale: da un lato sembrerebbe profilarsi un nuovo, rilevante compito di ponte autonomo con i paesi del Mediterraneo, di fattore equilibratore nelle crisi internazionali, dall’altro rischia di rimanere schiacciata dal ricatto occidentale neo-conservatore, dovendo scegliere se piegarsi all’Iper-sovrano che pretende di assegnare patenti etico-giuridiche da una posizione extra legem, accettando il ruolo di ‘provincia’ dell’Impero non-Impero (economicamente ricca e autonoma, ma politicamente vassalla).
In tale contesto di conflitti e duri rapporti di forza, i discorsi di legittimazione, la lotta per l’egemonia, vengono come sempre a svolgere un ruolo niente affatto secondario. Ad esempio, il mito della ‘cultura globale’ (con i suoi corollari tecnologico-informatici, mediatici, vagamente cosmopolitici), si rivela del tutto illusorio e fittizio, ma potente: è un costrutto mass-mediatico che non solo non ha memorie storiche e risonanze emotive reali da esprimere e mobilitare, ma si rende possibile proprio sulla base dell’annientamento di tale sostrato collettivo ‘radicante’. E tuttavia sembra in grado di inglobare e sostituire non solo le altre tradizioni, ma anche l’eredità dell’età dei diritti, della democrazia costituzionale, del pluralismo, del pensiero critico, cioè di quanto di diverso dalle guerre di religione e dal colonialismo la Modernità europea è pur stata in grado di produrre, spesso a caro prezzo.
Un’eredità complessa, attraversata dal ‘politico’ e quindi necessariamente più contraddittoria di quanto certe versioni bonificate dell’universalismo amino far credere, ma che merita di essere preso sul serio senza liquidazioni sempliciste, reazionarie o radicali che siano, così come senza ideologizzazioni pseudo-universaliste e quindi anti-critiche. Io credo che il compito di un pensiero all’altezza delle cosiddette ‘sfide globali’ che si prefigga di essere ancora autenticamente ‘politico’ deve certamente tener fermo il carattere irriducibilmente pluralistico del mondo.
Alla potenza ambiguamente ‘modernizzatrice’ dell’Occidente si è riusciti a porre, soprattutto nelle varie fasi di lotta per l’emersione dell’umanità esclusa succedutesi a partire dalla Rivoluzione francese, freni interni capaci di integrazioni nuove. Naturalmente, su scala globale ciò è molto più difficile, perché mancano i referenti e i portatori politici concreti di tali nuovi compromessi.
Altrimenti, il corrispettivo concreto del globalismo presuntamene post-politico, dell’eticizzazione occidentale del mondo, sarà la riedizione in forme nuove e allargate di una sorta di autoritarismo soft, che prevede la passivizzazione delle masse e l’isolamento privatistico di individui sradicati, l’identificazione regressiva nei nuovi ‘signori’ della paura e della rassicurazione, la progressiva deroga ai principi dello Stato costituzionale di diritto, la creazione di spazi di sospensione e/o indistinzione del ‘giuridico’, la produzione del consenso attraverso gli stessi meccanismi che alimentano il consumo di massa.
Questa, purtroppo, sembra essere la nuova ‘merce politica’ dell’Occidente, da esportare in fretta perché avariata. Il paradigma ‘meridiano’ può essere un katéchon rispetto al nichilismo oceanico, travestito da ‘missione’.
fonte: www.juragentium.org
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