La Siria, il patto con Mosca e le tensioni interne: cosa rischia la Turchia?
di LOOKOUT NEWS (Rocco Bellantone)
L’omicidio dell’ambasciatore russo Karlov è un forte segnale di destabilizzazione nei giorni dei decisivi colloqui di Mosca sul conflitto siriano. L’intervista alla docente della Türk Hava Kurumu Üniveristesi di Ankara Valeria Giannotta
La difesa della sovranità e dell’integrità territoriale della Siria, un accordo politico tra il governo di Damasco e l’opposizione siriana, l’imposizione di un cessate il fuoco esteso per agevolare il libero accesso agli aiuti umanitari dei civili che si trovano nelle aree sotto assedio, la necessità di concordare una soluzione politica e non militare a questa crisi. È questo, in sostanza, quanto emerso dalla dichiarazione congiunta firmata il 20 dicembre dai ministri degli Esteri di Russia, Turchia e Iran – Sergei Lavrov, Mevlut Cavusoglu e Mohammad Javad Zarif – al termine del vertice sulla Siria organizzato a Mosca.
Un vertice condizionato, tanto nei toni quanto nei contenuti, dall’assassinio dell’ambasciatore russo ad Ankara Andrey Karlov, ucciso il 19 dicembre dal poliziotto turco di 22 anni Mevlüt Mert Altintas, che gli ha sparato in segno di vendetta per i “morti di Aleppo”. L’omicidio del diplomatico russo, le motivazioni dell’estremo gesto dell’attentatore, i suoi possibili collegamenti con gruppi jihadisti siriani (si è parlato di Jabhat Fateh Al Sham, ex Al Nusra) o con i gulenisti (ipotesi agitata, come era prevedibile, dal governo turco), sono al vaglio delle forze di sicurezza turche e soprattutto dell’intelligence russa, che ha innalzato le misure di sicurezza per tutelare da attacchi le rappresentanze diplomatiche del Cremlino nei Paesi considerati più a rischio.
Sullo sfondo di questo avvenimento prosegue nonostante la neve l’evacuazione da Aleppo est che, a detta del ministro Lavrov, potrebbe terminare entro pochi giorni. E poi ci sono i tanti interrogativi sulla “strana alleanza”, impensabile fino a pochi mesi fa, tra Putin ed Erdogan. Stringendo un patto con Mosca Ankara si è ormai rassegnata a vedere il presidente siriano Bashar Assad ancora al potere? Questo suo cedimento nei confronti di Mosca e Damasco quanto la esporrà ad azioni come l’omicidio dell’ambasciatore russo Karlov? E, ancora, mettere da parte la “soluzione militare” come auspicato nella prima dichiarazione congiunta di Mosca, significherà per la Turchia rivedere i propri piani nel nord della Siria dove con l’operazione “Scudo sull’Eufrate” sta attaccando le milizie curde?
In attesa di avere risposte dal prossimo vertice nella capitale russa, Lookout Newsha sottoposto alcune di queste domande a Valeria Giannotta, docente di Relazioni Internazionali presso la Business School della Türk Hava Kurumu Üniveristesi di Ankara.
Turchia e Russia concordano nel sostenere che l’assassinio dell’ambasciatore russo Karlov è stata una mossa per “sabotare” i rapporti tra i due Paesi e impedire che siano questi due Stati ad attestarsi la risoluzione del conflitto siriano. Questo omicidio avrà degli effetti sulle trattative in corso?
Il vertice trilaterale di Mosca ha prodotto una dichiarazione congiunta per la proclamazione di un effettivo cessate il fuoco ad Aleppo e di una road map che porti alla stabilizzazione del Paese e ne garantisca l’integrità. Al di là della dichiarazioni di intenti e della ferma condanna di ogni attività terroristica, c’è un importante “riallineamento” tra Mosca e Ankara. La Russia è consapevole di poter vincere questa guerra solo mantenendo buoni legami con la Turchia, che a sua volta ha bisogno della Russia per guadagnare terreno contro le minacce terroristiche poste da Daesh e dai gruppi armati curdi. È in quest’ottica che rientra l’operazione “Scudo sull’Eufrate” iniziata lo scorso agosto.
La necessità invocata di arrivare a una soluzione politica della crisi siriana costringerà la Turchia a rinunciare, almeno in parte, al suo intervento militare in Siria e, al contempo, ad accettare la permanenza di Assad al potere?
Allo stato dei fatti il tacito accordo (tra Mosca e Ankara, ndr) è avvenuto proprio l’estate scorsa: senza il beneplacito della Russia l’operazione “Scudo sull’Eufrate”, che ad oggi ha permesso di ripulire diversi kmq di confine turco-siriano dalla minaccia terroristica, non sarebbe partita. Ankara e Mosca, pur combattendo su fronti opposti, hanno acquisito la consapevolezza della reciproca necessità: da una parte la Russia si è già assicurata le basi militari e lo sbocco sul Mediterraneo (lungo la costa siriana, ndr); dall’altra la Turchia ha l’urgenza di prevenire e contenere le minacce terroristiche – tra cui anche quella del PYD (Partito dell’Unione Democratica la cui ala militare è l’YPG, Unità di Protezione Popolare, ndr) per evitare effetti di spill over sul proprio territorio. Il PYD è considerato infatti dalla Turchia la costola siriana del PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan) che in Turchia continua a spargere sangue. Riguardo Assad, le percezioni rimangono divergenti. Tuttavia, per la Turchia oggi la priorità assoluta non è la sua dipartita come dimostrano gli sforzi di mediazione con la Russia su Aleppo, ma il contenimento delle minacce oltreconfine.
Che idea si è fatta dell’attentato all’ambasciatore russo ad Ankara? Chi potrebbe esserci dietro questa azione?
In Turchia si enfatizza molto su dettagli che porterebbero al collegamento del killer con l’organizzazione FETO (Organizzazione del Terrore Gülenista, ndr). Nei mesi scorsi in seguito alle epurazioni avviate dopo il 15 luglio (giorno del fallito colpo di stato, ndr) anche lui era stato rimosso dall’incarico per poi essere reinserito a fine novembre. I suoi proclami ad Allah e ad Aleppo rievocano alcune istanze sociali di stampo conservatore che nelle ultime settimane sono state visibili nelle diverse manifestazioni di protesta rivolte verso l’Ambasciata russa ad Ankara soprattutto dopo la crisi di Aleppo. Le indagini sono in corso, ma il dato concreto è che la Turchia di oggi è un Paese estremamente polarizzato e fratturato sul piano sociale. Diverse sono le rivendicazioni sociali e le minacce all’integrità che solo nell’ultimo anno hanno mietuto quasi 400 vittime.
La strategia scelta da Erdogan per affrontare il dopo golpe rischia di isolare ulteriormente la Turchia a livello internazionale e trascinarla in una stagione di prolungata instabilità interna?
La Turchia sta vivendo il momento più peculiare della sua storia. Dopo il tentato golpe si vive in un esteso stato di emergenza che ha legittimato le manovre epurative e le politiche di lotta preventiva al terrorismo. Ciò ha contribuito ad accentrare il potere da una parte e a inspessire la polarizzazione sociale dall’altra, con relativa escalation di violenza. Solo negli ultimi dieci giorni sono stati tre gli episodi che hanno sconvolto il Paese: due attacchi terroristici e la barbara uccisione dell’inviato russo. Ma il tentativo di golpe, i risvolti interni e le minacce a cui la Turchia è esposta vengono guardati con circospezione da alcune cancellerie. Dall’estero c’è una certa fatica a cogliere e comprendere appieno le dinamiche turche.
Fonte: http://www.lookoutnews.it/turchia-ankara-ambasciatore-russo-attentato/
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