Articolo 1: Un triste e malinconico rimpianto del tempo che fu
di SENSO COMUNE
A Milano, con “Fondamenta“, il Movimento Democratico e Progressista di D’Alema, Bersani, Speranza, Rossi e Scotto muove i suoi primi passi, all’ombra di un documento programmatico, scritto da Vincenzo Visco: il paradosso è quello di una scissione che nelle intenzioni dei militanti dovrebbe riportare la barra degli ex PCI a sinistra, dopo la svolta liberista renziana, ma che nelle parole dei dirigenti è quasi una “svolta a destra”.
Il documento di Visco, negli anni ’90 come Ministro uno dei responsabili massimi delle politiche ordo-liberiste e di austerità imposte all’Italia, nel descrivere i punti programmatici di Articolo 1, fa immediatamente saltare agli occhi due cose:
1) la globalizzazione viene descritta come un fenomeno naturale, non politico; quindi è impossibile invertire la tendenza. Al massimo si possono effettuare accordi al ribasso per le classi deboli.
2) la UE e l’euro rappresentano capisaldi ai quali è impossibile rinunciare, anzi originariamente, si dice, mentendo, erano progetti di democratizzazione e di gestione sociale della globalizzazione.
A conferma di questa impostazione, troviamo le parole di Pier Luigi Bersani sull’Europa e su Macron a La Gabbia: ”“Chi pensa di risolvere i gravi problemi causati dalla finanza, dalle piattaforme informatiche, delle multinazionali ecc, cone le “mini sovranità” si sbaglia di grosso. Solo con sovranità mondiali tutto ciò può essere risolto. Macron non è Renzi, ha avuto esperienze di alto livello e governerà coi voti suoi a differenza di Renzi che lo ha fatto coi voti miei”.
Questo progetto politico, che vede D’Alema e Bersani come registi, serve solo ad annacquare e impedire (nella loro testa perché è destinato a fallire) la nascita di forze votate al recupero della sovranità politica e popolare e ispirate ad un costituzionalismo radicale. E quindi a limitare la nascita di una vera sinistra socialista e popolare. Quella operata da D’Alema e Bersani è di fatto una scissione a destra del PD, dato che immaginano un rafforzamento delle strutture sovranazionali e contemplano un riformismo reazionario fatto un passo alla volta, gestito da tecnocrati italiani.
Loro eviterebbero la troika, con le troike fatte in casa. Sorprende, ma non più di tanto, che alcuni dirigenti, anche promettenti, della sinistra italiana possano essere affascinati da una lettura così mistificatoria della realtà e così assolutoria nei confronti della vecchia stagione della Seconda Repubblica. La capacità di interpretare correttamente la Storia, in un periodo di così forti diseguaglianze, è l’unica premessa per essere credibili di fronte alla popolazione ed è l’unico modo per riuscire a parlare utilizzando il linguaggio della verità.
“Fondamenta“, da questo punto di vista, è stata un sostanziale fallimento: ai limiti enormi del documento di Visco, si unisce un D’Alema incapace di suggerire un sia pur timido processo di autonomia culturale della sinistra, ribadendo anche lui i Ciampi e gli Amato di 25 anni fa, sull’ineluttabilità dell’Europa, con una critica di facciata alla globalizzazione (quando l’euro altro non è che una manifestazione della stessa globalizzazione) e, in mancanza di un modello politico, un invito ad andare a catechismo da Bergoglio. Dimenticando però quella parte del catechismo cattolico in cui si parla di accoglienza, D’Alema ha proposto di ripristinare la Turco-Napolitano, la legge istitutiva del sistema carcerario dei Cie, pur interrompendo la kermesse per partecipare alla marcia “senza muri”.
Una posizione ondivaga, utile per raccogliere qualche voto tra la borghesia benpensante ai Parioli, ma senza nessuno spunto di analisi, pensiero critico, opposizione sociale, lotta di classe, anti-liberismo, sovranità nazionale: non pervenuti. D’Alema è tornato a criticare Renzi, salvo dire chiaramente che ci potrà essere un governo di centrosinistra, quindi evidentemente con Renzi. Bersani, rincarando la dose con involontario umorismo romagnolo, ha ribadito il no ad una alleanza con Renzi, ma sì ad una alleanza con il Pd, dimenticando che Renzi è il segretario del Pd. Tutti a strillare contro il liberismo, ma con ospiti due campioni del liberismo come la Bonino e de Bortoli.
Fondamentalmente, da “Fondamenta” è emerso un triste e malinconico rimpianto del tempo che fu, da parte di personaggi oramai superati dalla storia, che si aggrappano ad un mondo che non esiste più: l’ulivismo, inteso come coalizione di forze politiche che raggruppino liberali moderati, cattolici popolari e socialisti liberali. Un mondo che non esiste più perché la crisi economica ha spazzato via quel ceto medio a bassa differenziazione interna che, negli anni Novanta, si era espanso assorbendo e rimescolando in un mix liquido ed a bassa tensione conflittuale elementi delle tradizionali classi sociali proletarie e piccolo borghesi.
I lunghi anni di crisi ed ora di stagnazione hanno ripolarizzato la società, creando forme nuove di aggregazione sociale, fra piccola borghesia in rovina e sottoproletariato urbano in crescita, alimentato dalla caduta di componenti del proletariato industriale ed impiegatizio, e ceti emergenti, come il precariato cognitivo o i lavoratori della sharing economy, che esprimono un disagio socio-economico, accanto ad elementi ideologici vicini a quelli borghesi, e che vivono dentro una contraddizione fra struttura obbiettivamente disagiata e sovrastruttura ideologicamente orientata verso i gruppi sociali dominanti.
Questo nuovo assetto sociale è più facilmente catturabile dal populismo leghista (che interpreta bene i punti di contatto fra lumpenproletariat, ex élite operaie in crisi e piccola borghesia) e grillino (che riesce a dare una soluzione al dilemma strutturale/sovrastrutturale dei ceti emergenti, espungendo le tematiche ideologiche dalla sua proposta politica, che ne risulta così impoverita, ma più facilmente digeribile).
Il contrasto da sinistra a tale situazione richiederebbe una nuova forma di autonomia culturale e politica su temi delicati, come l’euro, l’immigrazione, il posizionamento geopolitico del Paese, una riflessione profonda sul rischio di una società lavoristica che si trovi a dover ridurre il ricorso al lavoro per via della rivoluzione tecnologica in atto.
Invece, la risposta dei pisapii-dalemian-scottian-bersaniani è un’impaurita fuga all’indietro, verso formule politiche defunte (e, diciamolo pure, inefficaci anche quando furono proposte) con tanto di ritorno al Mattarellum. La Storia schiaccerà queste posizioni, e se si continueranno a seguire posizioni come quelle di Articolo 1, l’evaporare della sinistra lascerà il campo ad un conflitto sociale che si giocherà tutto dentro la metà campo del capitale, fra piccola e media borghesia nazionale, alleata con i ceti emergenti e con il sottoproletariato urbano, e grande post-borghesia apolide e finanziarizzata, alleata con gli ultimi strati di ceto medio novecentesco disperatamente aggrappati alla speranza di non scomparire del tutto. Uno scenario in cui alla fine perderemo tutti. Con “Fondamenta” è nato non un progetto, ma una formazione sociale per conquistare un posto al sole o un Consiglio d’amministrazione per una nuova “Ditta”.
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