Metello, il mio eroe fasciocomunista per i giovani precari

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  1. Luciano ha detto:

     
    Non mi scandalizza il termine "fasciocomunista", mi infastidisce piuttosto la sua rozzezza lessicale, che rispecchia la rozzezza spirituale di chi l'ha coniato con intento ovviamente spregiativo: penso sia stato il liberal imperialista Marco Travaglio che, per esternare il suo odio verso Putin, gli appioppò appunto questa qualifica. 
    La sostanza del termine però c'è e si manifesta  in maniera cruciale nel corso del Novecento in tutto il mondo sotto forma di nazionalcomunismo, nazionalismo di sinistra ecc. tutti i grandi leader del comunismo, da Mao a Castro, da Ho Chi Mihn a Tito, sono stati anche profondamente nazionalisti: è l'imperialismo che li costringe a difendere al tempo stesso il proletariato e la patria. Poi ci sono  gli altri, non marxisti, cioè i Nasser, i Peron, i Gheddafi e tanti altri, tutti carichi ovviamente delle proprie contraddizioni, ma comunque avversati dall'imperialismo liberale euroamericano forse anche più dei primi: si tenga  presente che  il conflitto principale nel Novecento e anche oggi è sempre tra l'imperialismo e i popoli delle ex colonie, oggi a rischio di nuova colonizzazione
    Per quanto riguarda il fascismo italiano, direi che non si può proprio parlare di "coscienza di classe" -seppure latente- in seno al"fascismo di sinistra" e certo non si dimostra l'assunto prendendo in considerazione le vicende personali di Pratolini o di altri intellettuali che approdarono dal fascismo al comunismo. La coscienza  del fascismo era coscienza di classe della borghesia: questa classe, in tutte le sue stratificazioni,  fu sedotta dal fascismo e ne rimase avvinta  fino al momento in cui cominciarono a pioverle in testa le bombe angloamericane, argomenti per lei assai più convincenti dei libri di Benedetto Croce. Ma non parliamo, per favore, di "consenso superiore alle percentuali bulgare" (che brutto modo di esprimersi, fa il paio con il fasciocomunismo di Travaglio) : era il consenso della borghesia in quanto "classe generale" , non del proletariato (classe subalterna) il quale appunto, come riconosce lo stesso Pennacchi, non aspettò la pioggia di bombe per convertirsi all'antifascismo, perché lo era da sempre, seppur silente e sottomesso. Si ribellò autonomamente ben prima della "congiura di palazzo" (uso un termine caro ai fascisti!), quando la vittoria sovietica a Stalingrado gli diede il coraggio di osare, mettendo in atto il primo esempio di ribellione di massa nell'Europa dominata ancora dai nazifascisti.
    Quanto alle cose  positive (nell'interesse generale dell'Italia) realizzate dal fascismo, certamente possiamo annoverarare le bonifiche e la modernizzazione, ma non inventiamoci un welfare che non è mai esistito, se non nei film Luce della propaganda. Le case popolari "di Mussolini" avranno sì e no coperto il 2% del reale fabbisogno popolare, nelle zone del nord: a Matera i proletari continuavano ad abitare nelle grotte…
    Quanto al fascismo di sinistra, fu un fenomeno culturale e non politico, interessante ma non determinante nel profilo generale del regime, la cui evoluzione dal liberismo iniziale degli anni venti all'interventismo del decennio successivo -sempre comunque organico agli interessi di una borghesia sottosviluppata- non è ancora stata adeguatamente  sviscerata.
    Ricordo invece un libro di Ruggero Zangrandi "Il lungo viaggio attraverso il fascismo" che ricostruisce senza denigrazioni e senza apoplogie le storie e i percorsi di tanti giovani e intellettuali in quella fase unica nella storia d'Italia, nella quale era probabilmente massimo (al contrario di oggi) lo sfasamento tra l'esteriorità ufficiale e l'interiorità personale e collettiva della nazione: anche questo ci ha dato il fascismo! (ed è forse il lascito più rilevante, ben più della bonifica dell'agro pontino)

  2. stefano.dandrea ha detto:

    Caro Luciano,

    grazie per l'ottimo commento. Noto soltanto che in esso manca ogni riferimento alla "piccola borghesia". Eppure nelle Lezioni sugli avversari tenute da Togliatti a Mosca nel 1935, la piccola borghesia (compresi i contadini poveri che "cominciavano ad arricchirsi", era considerata l'elemento di massa del fascismo, al quale si affiancava l'elemento organizzativo, costituito dalla borghesia vera e propria. Il Migliore escludeva il carattere bonapartista del fascismo italiano, nel quale, appunto, comandava la borghesia. Togliatti non negava nemmeno il carattere "socialdemocratico" del fascismo e collocava tra gli avversari anche la socialdemocrazia. Ho letto metà del libro (le lezioni sono state ristampate recentemente dalla casa editrice einaudi) che si sta rivelando una lettura formativa. Non so se, a lettura finita, le Lezioni diverranno oggetto di un post o se scriverò un commento a Pennacchi, dialogando con te.

    Approfitto per dirti che se ti andasse di pubblicare (almeno) un articolo sul sito sarei molto felice.

    Ciao

  3. Luciano ha detto:

    Caro Stefano,
    ti ringrazio per l'apprezzamento.
    Nel commento non ho citato la piccola borghesia, però ho parlato della borghesia in tutte le sue stratificazioni: una struttura piramidale molto stabile la cui base era appunto  la piccola borghesia. Al di sotto (molto al di sotto)  c'era il proletariato, e i confini tra le classi erano allora molto netti. Il baricentro  economico della piramide stava in alto, quello culturale e sociale stava in basso: questo fu, secondo me,  il capolavoro politico di Mussolini, tenere insieme arretratezza e modernità.
    Raccolgo ben volentieri l'invito a collaborare e lo farò non appena avrò messo a fuoco alcune mie riflessioni

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