Lettera aperta a Diego Fusaro
di MARCELLO VEZZOLI (FSI Brescia)
Buongiorno Professore.
Ieri l’altro, parlando con un mio carissimo amico, ho appreso di un’infruttuosa iniziativa, recentemente intrapresa dal medesimo e diretta, nello specifico, ad organizzare un convegno vertente su contenuti filosofici e connotato da valenza precipuamente politico rivoluzionaria, la cui impostazione organizzativa avrebbe dovuto polarizzarsi sulla prestigiosa presenza del Professor Diego Fusaro, ospite d’eccezione e relatore dell’evento.
L’amico, un operaio metalmeccanico (al pari dello scrivente) rispondente al nome di Antonio Percoco, coltivava da tempo l’ambizione di tradurre in essere un’esperienza culturale spiccatamente rischiaratrice, cantrassegnata da marcati tratti idealistici.
Nella veste di valente rappresentante sindacale unitario, nonché attivista neomilitante, presso un partito politico contraddistinto da un deciso profilo identitario sovranista e antiliberista, peraltro, di recentissima costituzione, l’amico, a latere, si prefiggeva ferventemente di conoscere di persona e (in grazia di quella che avrebbe dovuto essere una bella sorpresa) di far conoscere de visu anche al sottoscritto, colui che, culturalmente e moralmente, presenziava, da anni a pieno titolo, nel novero dei protagonisti più rappresentativi all’interno del paesaggio ideale, filosofico e narrativo di entrambi.
Avendo a lungo seguito, con sommo trasporto, l’impegno speculativo e umano da lei zelantemente profuso, fin dai primi passi, vale a dire dai tempi delle prime apparizioni in rete, nel corso delle quali si intratteneva a dialogare con il compianto maestro Costanzo Preve e, dapprima alquanto smarrito e disorientato, a seguito della versione riportatami circa i toni del vostro scambio in chat, ho pregato l’amico, vistosamente amareggiato, di trasmettermi la sequenza dei messaggi occorsi, la cui lettura ho poc’anzi conclusa… con il senno di poi, da persona dabbene quale è, ritengo che Antonio cercasse di risparmiarmi una delusione.
Devo ammettere che, a dir poco sconcertato, di primo acchito ho voluto convincere me stesso che si trattasse di uno scherzo di dubbio gusto, o, quantomeno, di uno sgradevole e balzano equivoco, di natura indefinita…
Sventuratamente, giunto a questo punto, dovendo conclamare senza tema di smentita, e oltre ogni ragionevole dubbio, la veridicità della vicenda narratami, vorrei concedermi il lusso (nel caso in essere, penso che tale formulazione sia particolarmente calzante) di declinare due o tre riflessioni estemporanee, certamente inutili e probabilmente parecchio noiose, che, con ogni probabilità, lei si affretterà a depennare, cestinandole indispettito.
Chiedo, altresì, scusa per aver assecondato l’impeto dominante, in quanto riconosco il medesimo, esser preminentemente sospinto e alimentato dal movente, “ahimè” egoistico, di un mio privato desiderio (a ciascuno il suo).
Premesso che, il picco di meraviglia riposa sul singolare rebus intorno a come mi sia possibile comprendere e far miei i passi teoretici più profondi della sua brillante speculazione filosofica, mentre, nel contempo, mi riesca del tutto impossibile sintonizzarmi sulle frequenze della condotta esibita, incapace di identificarmi nel suo concreto modo di agire, mi chiedo, meditabondo, se vi sia genuina coincidenza tra intenti dichiarati e pensieri sottostanti.
Comunque sia, in prima battuta, a ragion veduta, considero doveroso revocare idealmente i tanti e cospicui crediti morali, devoluti simbolicamente, in numerosi anni, alla sua persona, investita, fino a pochi giorni fa, di una ragguardevole, quanto (ora posso esserne certo) indebita aurea di stima e considerazione.
Desidero, d’altro canto, rendere note le mie più entusiastiche felicitazioni, per l’ingente, quanto involontario (in virtù del ben noto principio dell’eterogenesi dei fini) servizio, reso alla causa della cultura tout court, consistente nell’aver permesso alla mia modestissima persona di assistere ad un colloquio tra un autentico filosofo e un individuo comune.
Fin qui tutto secondo copione, se non fosse, “amico caro”, (mutuando la sua SINTASSI, al quadrato😜) per l’inopinabile svolta, rappresentata dalla sorpresa che vero filosofo, fautore della libertas philosophandi, si è consacrato Antonio Percoco!
Le rivolgo enfatico appello affinché abbia la cortesia di rileggersi con spirito critico le battute dell’orrido confronto in chat, e, facendo astrazione di nomi e riferimenti, ma ponendo mente ai contenuti trasmessi, al pathos di fondo, alla modestia, alla dignità emersa, nonché alla trasudante sincerità degli intenti, tragga le conclusioni more geometrico… dopodiché, considerazioni filosofiche a parte, ancora, voglia chiedersi lei stesso quale tra i due contendenti meriterebbe la palma dell’impegno etico, in virtù del merito di infaticabile e disinteressato promotore di nobilissima causa, a fronte di chi, con distacco glaciale, dopo essersi arroccato nella turris eburnea del proprio ego, e, in forza dell’antico adagio “pecunia non olet”, è parso inteso a mostrare esclusivamente, ironia della sorte, fedele ossequio alla categoria mercatistica del do ut des, pubblicamente tanto vituperata.
Nel merito, direi giustamente, lei sentenzia come una prestazione lavorativa purchessia debba ricevere adeguata remunerazione, e fin qui tutti d’accordo (non ci chiamiamo mica “uomo del monte”) non foss’altro che, a rigore di una disattenzione semantica non esattamente accessoria, mi pare proprio lei stia confondendo lavoro e militanza, al servizio della quale, chi predica la lotta senza quartiere al sistema capitalistico, è eternamente, inderogabilmente precettato.
Equivocando i terreni di gioco, nell’improvvida e maldestra invasione di campo, registro l’intima convizione di come lei trascuri di ricordare che la sua partita dovrebbe esser giocata, volontaristicamente, soltanto su quello stesso suddetto quadrato, laddove ci si pretenda in armonia con la ben nota vocazione di promotore e cantore di ideali ben identificati, dei quali mi pare si sia, fin dai tempi dei calzoni corti, senza posa ammantato, elevandosi a figura altamente rappresentativa, riguardo i cui imperativi assiologici, perciò, sarei fermamente propenso a non ammettere defezioni sostanziali, pena l’incorrere nella conseguenza scandalosa, imbarazzante, grottesca e dannosa (per tutti noi, beninteso), dell’aporia esistenziale insanabile…
Lei è sgrammaticato, anzitutto. In secondo luogo perché dovrei sottrarre tempo allo studio per regalarlo a lei?
A parte l’offesa gratuita e sfregiante – caratterizzante l’indole di chi pare mostrare dimestichezza con il colpo basso, più con lo stiletto che con la daga – da ritenersi tale, nella circostanza, in quanto espediente mirante ad attaccare non tanto il ragionamento, quanto, piuttosto, il ragionatore medesimo (Valery) fuor di metafora, mi permetto di concentrare filosoficamente l’attenzione sul secondo periodo della formulazione, ossia sull’interrogativo da lei posto, riguardo la motivazione per la quale dovrebbe sottrarre tempo agli studi, onde regalarlo a chicchessia… lasciando perdere che il tempo non l’avrebbe regalato proprio a nessuno, men che meno ad Antonio Percoco o a Marcello Vezzoli, ma l’avrebbe semmai conferito sine pecunia ALLA CAUSA comune, veniamo pure al sodo!
Mi perdoni l’ardire Professore, ma mi preme rispondere al suo fendente, proponendole, nella miglior tradizione pugilistica, un corretto scambio di colpi, fors’anche violenti, ma perlomeno dalla cintola in su, per cui rilancio e raddoppio la posta, animato dall’energia propulsiva di un interrogativo ben più impellente, che intendo stentoreamente rivolgerle, appellandomi, quantomeno, se non ad altro, al suo ben noto rigore logico: se assumiamo come vero l’aureo verso di Pound, secondo cui “il tempio è sacro perché non è in vendita”, nevvero a lei pare ingiusto regalare tempo prezioso, in nome DELLA CAUSA prediletta, mentre, ceteris paribus, ritiene incensurabile vendere il medesimo???
Per chi indossa vesti quali le sue, a me pare, dovrebbe essere ben preferibile DONARE il proprio tempo, lungi dal commerciarlo, contro profumato corrispettivo… devolverlo gratuitamente, a suffragio, non tanto di UNA buona e generica causa, bensì, ribadisco, DELLA CAUSA DELLE CAUSE, vale a dire LA SUA CAUSA, della cui propugnazione, repetita iuvant, si atteggia da anni a paladino infaticabile, invero, dedicando ad essa gran parte dei suoi profondi studi (forse addirittura l’intera mole delle sue fatiche intellettuali).
Se poi mi volesse rispondere che non si poteva avere a priori la certezza intorno alla bontà della suddetta, risponderei che tale condotta costituirebbe, in tal caso, aggravante, in quanto l’immediata disponibilità dimostrata ad accettare l’invito dietro pagamento, non deporrebbe di certo a favore della dimostrazione di una sua preventiva valutazione selettiva nel merito, anzi la smentirebbe inesorabilmente.
Vogliamo poi venire alla esosa richiesta di 300 euro per due o tre domande, magari davanti ad un caffè? Lasciamo perdere, dai… ma non riesco a non domandarmi, basito, quanto avrebbe potuto chiedere Costanzo Preve a lei, visto il numero considerevole di interviste concesse e delle quali, DEO GRATIAS, abbiamo goduto e continuiamo a godere… tra parentesi, per quest’opera altamente meritoria, la ringrazierò sempre di cuore.
Proseguendo, lei evoca più volte il tema del lavoro, ribadendo con tetragona imperturbabilità il concetto che le prestazioni dedotte sono da imputare alla stessa stregua di quelle espletate da qualsivoglia altro lavoratore o libero professionista.
Il suo chiarissimo pensiero in proposito, si presenta apparentemente senza pieghe (semplice), tuttavia mi permetto di decretarne la crassa speciosità, non foss’altro che per la sbadata dimenticanza di un segno decisivo… quel segno speciale, che sovverte il significato dell’intera espressione, si chiama Diego Fusaro e non Giampiero Mughini, Luciana Littizzetto, Giuliano Ferrara, Sgarbi, Valentina Nappi, il re del trash Diprè (quel simpaticone dello slogan “tutta la notte coca e mignotte”) o, che so io, Vanna Marchi (tutte persone, peraltro, riguardo le cui eventuali richieste economiche non troverei niente di sconveniente) e rivendico l’osservazione secondo la quale, guarda a caso, la stragrande maggioranza, tra le persone comuni, ha preso lo stesso nostro abbaglio e, scambiando lucciole per lanterne, ha ritenuto, e ritiene tuttora, come dato acquisito che, quantomeno la sua opera di conferenziere, sia virtuosa missione, come tale, prevalentemente gratuita (stante ovviamente la facoltà di valutare preventivamente le opzioni nel merito, ponendo discrezionalmente eventuale diniego) tolto il ricevere, giustamente, pieno rimborso per quel che concerne spostamenti, vitto e alloggio (su questo non si discute).
Mi guardo bene dall’alludere, invece, alla veste di docente, scrittore, prestigioso invitato abituale in trasmissioni TV, ovvero collaboratore di testate importanti ecc.. in tali casi è più che lecito essere lautamente ricompensati, anche perché chi remunera tali orchestre di solito sguazza in un mare di quattrini, O NO?
Per inciso, non voglio, estremisticamente, abbracciare la pretesa che lei se ne debba andare in giro vestito di sacco, giacché le conseguenze di una serrata logica argomentativa minacciano di rivelarsi, talvolta, spietatamente radicali, ragion per cui preferisco attenermi al, sia pure poco filosofico, buon senso comune.
In concreto, la nostra vexata quaestio si focalizza sulle risorse di cittadini comuni, lavoratori e padri di famiglia, i quali si arrovellano per sbarcare il lunario. In tempi di vacche grasse, come lei ci insegna, mille euro (lo scrivo pure in cifre… 1000!) alcuni di noi li guadagnano in quasi un mese di duro e, sovente, umiliante lavoro.
È maledettamente triste, per noi, operai animati dalla passione durevole per la filosofia, con la malattia della speranza e un’adamantina e ferrea volontà di combattere imperterriti affinché si possa avverare un giorno il sogno di inaugurare un modus sano di far politica e che i nostri posteri celebrino, in un quanto più prossimo avvenire, il tanto sospirato compimento di quella che oggi è solo visione utopica, anticipatrice di una futura società giusta.
È triste e demotivante apprendere che, uno tra i più autorevoli interpreti e principali mediatori dei nostri riferimenti ideali e simbolici, ispiratore di alternative rivoluzionarie, dirette ad innescare una severa controffensiva politica ai danni del pensiero unico, incarnato dal modello teocratico capitalista, costituisca alleato di lusso, che, in quanto tale, paradossalmente, NON CI POSSIAMO PERMETTERE.
Le mie conclusioni?
Continui a farsi pagare compensi faraonici, attenda ai sui studi con impegno inesausto, scriva tanti bei libri, insegni filosofia e si goda la celebrità (dopotutto, nelle logiche di un’economia liberoscambista, mi sembra che tutto questo, ad un una vedette come lei, sia normalmente e comprensibilmente dovuto)… TUTTO, purché non ci funesti più con la filastrocca delle 700 rivoluzioni francesi e 3000 russe, con la FAVOLA del pensare altrimenti, con le tetragone asimmetrie e compagnia cantante…
FAVOLA NON DI CERTO PER NOI… CI SIAMO CAPITI!
Scritte queste due o tre banalità, prendendo finalmente congedo, le prometto solennemente che NOI seguiteremo a condurre, nel corso delle nostre vite anonime, oggi più di ieri e meno di domani, rebus ipsis ac factis, la nostra battaglia indomita, obstinate contra, nemici giurati di proci e porci.
Addio!
Marcello Vezzoli
Cosa dice questa lettera? Non ho capito.
Non si poteva riassumere – invece di celebrare una supercazzola con florilegi di avverbi di modo, participi assortiti e unos tile che tradisce la difficoltà dello scrivente nel padroneggiare la lingua aulica – con 10 righe in cui si spiegava (magari anche con qualche particolare in più) che il suo amico ha cercato di coinvolgere Fusaro, il quale – infastidito – lo ha rimbalzato in malo modo?
Tutto il resto è – perdoni – pleonastico. Fusaro – come chiunque – ha il diritto di decidere in autonomia se presenziare o meno ad iniziative altrui. Se ha ritenuto di non volerlo fare – quale che sia la sua motivazione (soldi, tempo, fatica, scarsa considerazione della proposta, noia, ecc…), capisco la vostra delusione, ma non ne sono sorpreso. Nessuno è “a disposizione”, sempre e comunque, per qualunque sconosciuto che lo voglia infilare nella propria crociata. Certo, magari i modi di Fusaro son stati discutibili, ma ciascuno decide da sé a quali battaglie prender parte. Internet e l’esposizione mediatica vi fanno pensare di conoscere ed essere vicini a chiunque, ma venir tirati per la giacca da sconosciuti è – le assicuro – fastidioso.
solo per la precisione, dalla lettera sembra che avesse accettato senza andar troppo per il sottile, formulando le sue richieste che l’autore dell’invito ha declinato
Scusate ma questo post così com’è è davvero illeggibile. Perché tanti barocchismi? Tante premesse e poi i fatti di cui si parla sono appena accennati. Non sarebbe possibile una versione per noi poveri ignoranti? L’argomento mi interessa, ma qui i fatti sono presentati in maniera sommaria e poco chiara. Vi ringrazio se vorrete avere la pazienza di farne una versione leggibile ai più.
PRECISAZIONI
1) La vicenda di cui si parla nella lettera non ci riguarda direttamente, se non per il fatto che coinvolge un nostro socio, la cui iniziativa, tuttavia, è stata autonoma. La lettera è stata pubblicata su facebook, ci è piaciuta e l’abbiamo ripresa, anche perché proprio pochi giorni fa, a un nostro invito per un incontro con finalità prettamente politica e non divulgative, è seguita una accettazione accompagnata da analoga richiesta economica (seguiranno spiegazioni).
2) Il linguaggio utilizzato dall’autore della lettera, che personalmente trovo geniale, è un evidente presa in giro del linguaggio in uso al personaggio in questione ed alla sua palesata attenzione agli errori grammaticali.
3) Venendo al nocciolo della questione e, ovviamente, parlando a titolo personale, ritengo fondamentalmente sacrosanto e non censurabile decidere di non lavorare gratis (poi ci sarebbe da discutere sul valore della prestazione lavorativa e sulla coerenza con la missione che, in maniera più o meno esplicita, ci si è dati creandosi un certo tipo di personaggio).
Il discorso si riduce quindi a cosa intendere per lavoro: la divulgazione della “verità” per illuminare il Popolo e indurlo a ribellarsi in vista di un futuro migliore, può essere intesa, soprattutto per chi non se la passa poi male e attraverso questa divulgazione si è costruito un ruolo mediatico redditizio, come un lavoro?
A tal proposito suggerisco al soggetto in questione di studiare meglio il Risorgimento (evidentemente quando Preve lo spiegava lui era in bagno a provare le pose) e il sacrificio di giovani benestanti che preferirono l’eroismo, il valore, la Patria, agli agi garantiti dalla loro condizione sociale.
Resta il fatto che in questi anni di militanza, prima con l’ARS, poi con il FSI, di divulgatori ne abbiamo ospitati parecchi: molti di loro non hanno voluto neanche il rimborso spese e, cosa che ritengo ancora più significativa, alcuni hanno gradito la nostra compagnia fermandosi con noi talvolta a pranzo, talvolta a cena, dimostrando di aver piacere a conoscere i compatrioti con i quali condividono un impegno di portata storica.
Una sola persona, invece, ha chiesto di essere compensata (sbagliammo ad accettare) e, a quanto vedo, negli anni, con la fama, il suo cachet si è più che triplicato: HA VINTO IL MERCATO!